Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


Le collaborazioni organizzate dal committente: la Corte di Cassazione mette un punto (quasi) fermo (di Luigi Fiorillo)


La nota, dopo aver illustrato la ratio ed il campo di applicazione dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 all’interno della cornice normativa del lavoro autonomo, commenta la decisione della Corte di Cassazione n. 1663/2020 che ha affrontato la fattispecie relativa alla estensione o meno dell’intera disciplina del lavoro subordinato ai riders, evidenziandone i punti fermi e le zone d’ombra. A tale ultimo riguardo propone come soluzione di diritto positivo lo strumento del contratto collettivo, legittimato in materia dalla legge.

Collaborations organized by the client: the Court of Cassation (almost) puts a stop

The note, after illustrating the ratio and the scope of art. 2, d.lgs. n. 81/2015 within the regulatory framework of self-employment, comments the decision of the Corte di Cassazione n. 1663/2020 which dealt with the matter of the extension of the entire discipline of work subordinate to riders, highlighting the fixed points and the shaded areas of the decision. In this latter regard, it proposes the instrument of the collective agreement as a positive solution.

   
SOMMARIO:

1. La ratio e il campo di applicazione dell'art. 2, d.lgs. n. 81/2015 all'interno della cornice normativa del lavoro autonomo - 2. L'avallo da parte del Giudice di legittimità della funzione 'anti-elusiva e rimediale' dell'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81-2015 - 2.1. Il 'quantum' della disciplina propria del lavoro subordinato ap­plicabile alla collaborazione etero-organizzata e l’obiter dictum della sentenza della Corte - 2.2. Il ruolo del contratto collettivo ai sensi dell'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81-2015 e la possibile qualificazione di una specifica tipologia contrattuale - NOTE


1. La ratio e il campo di applicazione dell'art. 2, d.lgs. n. 81/2015 all'interno della cornice normativa del lavoro autonomo

L’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, ha suscitato un «vivace dibattito in dottrina» [1] sin dalla sua apparizione nel nostro ordinamento, e ciò per il tentativo, da parte del legislatore di prospettare un approccio innovativo nelle tecniche di tutela apprestate dall’ordinamento giuslavoristico all’attività lavorativa considerata nella sua più ampia accezione. La norma, nel testo originario, stabilisce che la disciplina del lavoro subordinato «si applica (...) anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e luoghi di lavoro». A seguito della rivisitazione ad opera del decreto legge n. 101/2019 – convertito dalla legge n. 129/2019 – l’art. 2, cit. ha subito delle modifiche che, se pur non deputate a disciplinare la fattispecie oggetto della vicenda di cui si è occupata la Corte di Cassazione, meritano di essere segnalate in quanto sono comunque necessarie per una riflessione di carattere generale sulla portata ed il significato della disposizione normativa nella sua formulazione vigente [2]. La prestazione lavorativa può essere svolta in modo “prevalentemente” personale e non più “esclusivamente”; viene eliminato il “riferimento ai tempi e luoghi di lavoro” al fine di meglio individuare le caratteristiche proprie dell’etero-organizzazione; rientrano in tale tipologia di collaborazione anche quelle la cui modalità di esecuzione della prestazione avviene attraverso piattaforme digitali. Il comma 2 dell’art. 2, cit., poi, esclude dal campo di applicazione del comma 1 alcune specifiche tipologie di attività nonostante le stesse siano caratterizzate da lavoro personale, continuatività ed etero-organizzazione. Si tratta di ipotesi tassative nelle quali rientrano: le collaborazioni per le quali accordi collettivi nazionali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, «prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore»; le collaborazioni prestate nell’esercizio [continua ..]


2. L'avallo da parte del Giudice di legittimità della funzione 'anti-elusiva e rimediale' dell'art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81-2015

Nel contesto normativo brevemente descritto si inserisce la sentenza della Suprema Corte di Cassazione 14 novembre 2019-24 gennaio 2020, n. 1663 che, prima ancora di essere esaminata nelle sue motivazioni, merita un plauso, sia per la rapidità con la quale è intervenuta (la decisione è stata adottata appena 10 mesi dopo la pubblicazione della sentenza della Corte di Appello di Torino), sia per l’attenzione al dato normativo non circoscritta alla originaria formulazione dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 (quale norma vigente al momento dei fatti di causa oggetto della sentenza) ma rivolta anche all’attuale versione dell’art. 2 cit. così come risultante dalle modifiche apportate dal decreto legge n. 101/2019, tenendo conto altresì delle modificazioni che hanno investito l’art. 409 c.p.c., con la conseguenza che le sue indicazioni, nella loro funzione nomofilattica, potranno essere utilizzate dai giudici di merito anche per l’interpretazione del nuovo contesto normativo. Entrando nel merito delle motivazioni della sentenza, in via preliminare, è interessante sottolineare l’approccio metodologico che utilizza il Giudice di legittimità che si caratterizza per una lettura contestualizzata della norma. Le ragioni dei criteri applicativi dell’art. 2, comma 1, cit. vengono spiegati dopo aver evidenziato il contesto normativo nel quale la norma si inserisce. In pochi ma incisivi passaggi, viene ricostruito lo spirito complessivo dell’intera legislazione pro­dotta in attuazione della legge delega sul Jobs Act per valorizzare la finalità della norma oggetto d’esame ed evidenziarne la funzione “anti-elusiva” e “rimediale”. La sentenza, mostrando grande sensibilità al dinamismo del mondo del lavoro e prendendo atto «della complessità e varietà delle nuove forme di lavoro e della difficoltà di ricondurle ad unità tipologica», coglie la portata dell’azione strategica ideata dal legislatore che ha inteso superare il problema qualificatorio sulla natura della prestazione lavorativa, decidendo di proteggere con la disciplina propria del lavoro subordinato collaborazioni che presentano «taluni indici fattuali significativi (personalità, continuità, etero-organizzazione)». A quest’ultimo proposito si evidenzia [continua ..]


2.1. Il 'quantum' della disciplina propria del lavoro subordinato ap­plicabile alla collaborazione etero-organizzata e l’obiter dictum della sentenza della Corte

La sentenza in esame, i cui tratti salienti si è cercato di evidenziare nel precedente paragrafo, costituisce un significativo esempio di diritto vivente ad opera della giurisprudenza che si caratterizza per il suo pragmatismo [13] e per il suo “ragionevole equilibrio” [14]. L’unico passaggio della sentenza che potrebbe apparire contraddittorio e destabilizzante rispetto alla stretta conseguenzialità logica che caratterizza la motivazione nel suo complesso è costituito dall’affermazione contenuta nel punto 41 per la quale «non possono escludersi situazioni in cui l’applicazione integrale della disciplina della subordinazione sia ontologicamente incompatibile con le fattispecie da regolare, che per definizione non sono comprese nell’ambito dell’art. 2094 c.c.». Siccome non può concepirsi, logicamente, che la sentenza in esame dica tutto e il contrario di tutto bisogna leggere l’affermazione appena riferita tenendo conto del contesto generale nel quale la stessa si inserisce ed in quello, più circoscritto, che trova il suo fondamento in un tecnicismo strumentale alla conferma integrale della sentenza della Corte di Appello di Torino, pur avendone la Cassazione radicalmente cam­biata la motivazione in punto di diritto. Se si legge l’affermazione tenendo conto del contesto generale nel quale è inserita, è di tutta evidenza che la stessa non può sovvertire la chiara ed inequivocabile posizione assunta in materia dalla sentenza in esame. In un crescendo argomentativo, strettamente conseguenziale, la Corte afferma categoricamente che l’art. 2, comma 1, «impone una protezione equivalente» nei confronti del collaboratore etero-organizzato che non può che sostanziarsi nell’«applicazione integrale della disciplina del lavoro subordinato», precisando che «la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione» e chiarendo che «la norma non contiene alcun criterio idoneo a selezionare la disciplina applicabile» la cui individuazione «non potrebbe essere applicata ex post alla variabile interpretazione dei singoli giudici». A corollario delle sue argomentazioni la sentenza sottolinea che «in passato, quando il legislatore ha voluto assimilare o equiparare situazioni diverse al [continua ..]


2.2. Il ruolo del contratto collettivo ai sensi dell'art. 2, comma 2, d.lgs. n. 81-2015 e la possibile qualificazione di una specifica tipologia contrattuale

Cercando di tirare le fila del discorso fin qui avviato, è indubbio che la sentenza in esame ha il merito di aver fornito una serie di elementi che contribuiscono indiscutibilmente a fare chiarezza sulla natura e la funzione della norma che, prima del­l’intervento del Giudice di legittimità, si caratterizzava, sotto il piano strettamente operativo, per interpretazioni contrastanti da parte della poca giurisprudenza di merito intervenuta in materia [17]. I punti fermi messi dalla sentenza, al di là del giudizio sulla tecnica argomentativa utilizzata per arrivare alla soluzione [18], hanno il pregio di aver anche individuato le zone d’ombra che ancora permangono in materia, poche ma di decisiva rilevanza. Da una parte, per il diritto vivente di derivazione giurisprudenziale, è certo che l’art. 2, comma 1, cit. non crei una tipologia di collaborazione a se stante, ma ha lo scopo di scoraggiare un uso fraudolento di forme di lavoro autonomo che rendono “comparabile” il collaboratore al lavoratore subordinato [19]. A fronte di questa certezza, dall’altra, non è dato sapere, in caso di accertamento ex post da parte del giudice dell’esistenza di una collaborazione etero-organizzata, il “quantum” di disciplina propria del lavoro subordinato applicabile. Sotto questo aspetto le suggestioni interpretative sono molteplici [20], ma la questione necessita di certezze che la fonte legale, allo stato, non fornisce in modo univoco. Tuttavia, la stessa fonte legale in qualche modo traccia una strada percorribile per raggiungere l’obiettivo. Il riferimento normativo è costituito dall’art. 2, comma 2, cit. che indica le ipotesi nelle quali «la disposizione di cui al comma 1 non trova applicazione» e tra queste inserisce «le collaborazioni per le quali gli accordi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti trattamento economico e normativo», precisando che condizione prodromica alla produzione di questa disciplina collettiva deve essere costituita da «particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore». La normativa appena menzionata costituisce, in una prospettiva di costruzione futura della disciplina giuslavoristica sempre più attenta alle [continua ..]


NOTE
Numero straordinario - 2020