Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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La sostenibilità del sistema pensionistico italiano tra equilibri ed equilibrismi (di Valeria Filì, Professoressa ordinaria di Diritto del lavoro – Università di Udine.)


L’A. riflette sulla sostenibilità del sistema pensionistico italiano partendo dai dati relativi al sistema di Welfare complessivamente inteso. L’invecchiamento della popolazione, la scarsa occupazione femminile, la bassa fecondità e le riforme in cantiere (quota 100 e reddito di cittadinanza) sono mine per la sostenibilità del sistema se non si mettono in campo adeguate ed efficaci azioni di approvvigionamento finanziario, nel tentativo di coniugare equità sociale e stabilità finanziaria del sistema di Welfare pubblico.

The sustainability of the italian public pension system between balances and balancing acts

The A. analyses the Italian public pension system sustainability starting from the Italian public Welfare system data. The ageing of the Italian population, the low female labour market participation, the declining fertility rate, and the reforms in the pipeline will have consequences on the whole system because without adequate financial resources it impossible to balance equity and sustainability.

Keywords: Retirement age – population ageing – pensions.

SOMMARIO:

1. I numeri - 2. Le entrate - 3. Problemi di sostenibilità e riforme in cantiere - 4. Il secondo Welfare - 5. Alla ricerca di equilibri - NOTE


1. I numeri

Riflettere sulla sostenibilità del sistema pensionistico italiano significa innanzi tutto analizzare i dati relativi al sistema di Welfarecomplessivamente inteso, stante la sostanziale inscindibilità della “parte” rispetto al “tutto”. I numeri contenuti negli ultimi rapporti dell’INPS ci raccontano come si struttura la spesa del sistema pubblico di assistenza e previdenza (con l’ovvia esclusione di quanto di competenza dell’INAIL). La spesa pensionistica in Italia, nell’anno 2017, è stata pari al 32,5% della spesa pubblica e al 15,2% del PIL; i pensionati risultano essere 687 ogni 1.000 assicurati INPS; la spesa per prestazioni a sostegno delle politiche sociali e della famiglia è pari al 2,3% del PIL, mentre quella per prestazioni a sostegno delle politiche per il lavoro è pari al 2,4% del PIL [1]. Va evidenziato che il bilancio dell’INPS è il più rilevante nel settore pubblico, dopo quello dello Stato, e il volume del flusso finanziario complessivo nel 2017 è stato di 860 miliardi di euro [2]. I numeri sono enormi: 22,5 milioni sono i contribuenti, 1,5 milioni le aziende iscritte, 15,5 milioni i beneficiari di trattamenti pensionistici e 4,8 milioni i beneficiari di prestazioni a sostegno del reddito. Andando a scavare nelle voci di bilancio, si nota che nel 2016 circa il 90% della spesa pensionistica è stato imputato alla componente assicurativa (nel 1995 era del 86% circa), voce in cui vengono ricomprese tutte le prestazioni che sono erogate a fronte di un passato versamento contributivo, a prescindere però dall’entità della contribuzione e dal legame attuariale con la prestazione vista la prevalenza del calcolo retributivo (vecchiaia, reversibilità, invalidità INPS, invalidità INAIL, prepensionamenti) [3]; circa il 3% della spesa pensionistica ha riguardato interventi redistributivi a favore delle prestazioni di tipo assicurativo, la cui erogazione è condizionata generalmente all’individuazione di situazioni di disagio economico (es. integrazioni al minimo, quattordicesima, maggiorazioni di prestazioni previdenziali; dato che nel 1995 era dell’11% circa); infine, circa il 7% della spesa è stato imputato a prestazioni che per essere erogate non richiedono il versamento di contributi sociali ed hanno una e­splicita [continua ..]


2. Le entrate

Le fonti di finanziamento dell’INPS sono fondamentalmente costituite dai contributi previdenziali e dai trasferimenti dal bilancio dello Stato [5]. Negli anni 2016 e 2017 le entrate contributive sono state rispettivamente di 220.537 e 224.627 milioni di euro, mentre i trasferimenti dal bilancio dello Stato si sono concretizzati rispettivamente in 107.302 e 110.278 milioni di euro [6]. Con riferimento alla composizione delle entrate contributive, si noti che, nel 2017, il 62,4% sono relative all’impiego privato, il 24,5% all’impiego pubblico, il 9,1% ai lavoratori autonomi e il 3,4% agli iscritti alla Gestione separata [7]. Relativamente a quest’ultima emerge che i contributi in essa versati spesso non producono alcuna prestazione per mancata maturazione dei requisiti minimi. Stando ai dati, al 31 dicembre 2017 l’incidenza delle pensioni dei parasubordinati sul totale delle pensioni erogate è pari a 2,4% (quasi 413 mila pensioni) per un importo medio mensile di euro 183 [8]. Certo, in futuro verranno sempre più attivati i meccanismi della totalizzazione, della ricongiunzione e del cumulo, ma in ogni caso è necessaria la maturazione di requisiti minimi in ciascuna gestione e ciò non è scontato stante la discontinuità lavorativa che caratterizza il mercato del lavoro contemporaneo. In conclusione, visto che alle entrate contributive della Gestione Separata corrisponde una prestazione minima o nulla, questo è diventato un polmone finanziario a disposizione delle altre gestioni. Tornando ai dati generali, nel 2017, a fronte delle entrate prima citate, le prestazio­ni complessivamente erogate sono state pari a 312.149 milioni di euro [9]. Il saldo finan­ziario dell’anno 2017 è stato positivo [10] mentre quello dell’anno 2016 era negativo [11]. L’equilibrio finanziario dell’INPS va valutato nel suo complesso proprio in ragione dei diversi canali di finanziamento, senza dimenticare che si tratta di un sistema pubblico, obbligatorio, solidaristico e strutturato a ripartizione e che delle 440 tipologie di prestazioni erogate solo 150 hanno natura previdenziale. Provocatoriamente – ma non troppo – il Presidente dell’INPS nella sua relazione annuale per l’anno 2017, ha proposto che il nome dell’Istituto sia trasformato in “Istituto Nazionale della Protezione [continua ..]


3. Problemi di sostenibilità e riforme in cantiere

Nella fotografia del Paese tratteggiata dai rapporti dell’INPS, un dato emerge con forza e si pone come condizionante le prospettive evolutive dell’intero sistema: la popolazione italiana sta inesorabilmente invecchiando come conseguenza del­l’aumento della speranza di vita e della bassissima natalità e questo impatta in modo preoccupante sulla sostenibilità del sistema pensionistico e di Welfarecomplessivo dal momento che, da un lato, le coorti di anziani che si avvicinano alla pensione sono molto numerose – in quanto costituite dai c.d. baby boomer –dall’altro, ormai le nascite sono più che dimezzate proprio rispetto al baby boom degli anni ’60 [15]. La previsione dell’ISTAT è che nel 2040 la popolazione italiana si sarà ridotta di oltre 7 milioni di unità, nonostante venga ipotizzata una quota costante di immigrati ogni anno [16]. Nelle sue ultime due relazioni annuali (2018 e 2017), il presidente dell’INPS mette in risalto come il nostro sistema pensionistico non sia strutturato per reggere un calo delle coorti in ingresso nel nostro mercato del lavoro: il sistema a ripartizione necessita di giovani che paghino i contributi e che creino nuove attività. Per la sostenibilità del sistema è quindi indispensabile che nascano più bambini e che ci siano più persone occupate che paghino i contributi [17]. Inevitabilmente allora l’attenzione si sposta sulle donne e sulle politiche per aumentarne l’occupazione e la fecondità, nonché sull’immigrazione. Nell’agenda politica l’emergenza demografica non sembra al primo posto, come invece dovrebbe essere, e non appare tra le priorità nemmeno una dovuta attenzione per le politiche di incremento dell’occupazione femminile e per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Le donne rappresentano una leva essenziale per aumentare contemporaneamente il gettito contributivo e il tasso di fecondità. Lo stesso presidente dell’INPS evidenza come i dati riferiscono di «una relazione positiva tra occupazione femminile e natalità» [18]. Visto che la sotto occupazione femminile e il divario occupazionale di genere nel nostro Paese sono dati acquisiti [19] e che solo aumentando l’occupazione femminile possiamo aumentare [continua ..]


4. Il secondo Welfare

A fronte delle difficoltà di sostenibilità del Welfare statale, sta emergendo, con una sempre maggior definizione e articolazione, un meccanismo di tutela autofinanziata. Si tratta del c.d. Welfare privato o secondo Welfare, non necessariamente collegato alla dimensione aziendale. Si pensi infatti ai Fondi bilaterali di sostegno al reddito, a meccanismo di flessibilità nell’uscita quali l’ape (volontaria e aziendale) e la rita. Il sistema di Welfare nazionale ha ormai bisogno della stampella del privato per poter reggere obbligandoci a riflettere sulla legittimità di questa evoluzione ai sensi degli artt. 3, 32 e 38 Cost. La risposta non può che essere affermativa dal momento che l’autofinanziamen­to tramite risorse private è diventato essenziale per garantire l’erogazione di servizi a tutti i cittadini e i lavoratori. Le aumentate esigenze di intervento pubblico necessitate dalle nuove emergenze, specie assistenziali, impongono un intervento privato sempre meno additivo e sempre più strutturale per erogare quei servizi essenziali che il sistema di Welfare pubblico non è (più) in grado di erogare o non è mai stato in grado di farlo ma che in ogni caso soddisfano esigenze di benessere dei lavoratori e delle loro famiglie. Di questa esigenza sono perfettamente consapevoli sia i sindacati sia le imprese, tanto che è esponenzialmente aumentata la contrattazione collettiva in questo ambito. Le parti sociali nell’accordo interconfederale del 28 febbraio 2018 sottolineano la funzione strategica dell’intervento in tema di Welfare da parte della contrattazione collettiva, di primo e secondo livello, manifestando la necessità di un coordinamento e di una governance degli interventi per ottimizzarne i risultati. Dai dati pubblicati [37] emerge che nella contrattazione di livello aziendale negli anni 2016-2017 gli accordi su misure di Welfaresono aumentati e sempre più orientati nella definizione di misure di sostegno al reddito come il c.d. carrello della spesa, i rimborsi per spese scolastiche, il servizio mensa, il trasporto, asili nido in convenzione, borse di studio; molti contratti prevedono anche altre forme di servizi e benefit come il fondo sostegno affitto, coperture assicurative agevolate, permessi aggiuntivi per cure parentali [continua ..]


5. Alla ricerca di equilibri

Come evidenziato dal presidente dell’INPS «un sistema di protezione sociale non sarà mai capace di fronteggiare i cambiamenti strutturali se non è in grado di proteggere chi non ce la fa, quali che siano le condizioni del ciclo» [42]. Un afflato universalistico della tutela in ambito assistenziale è emerso nel nostro sistema con la misura denominata REI (d.lgs. n. 147/2017) e, stando alle anticipazioni, continuerà con quella (al momento in cui si scrive) annunciata dal Governo nel def ed etichettata come “reddito di cittadinanza”. Le modifiche intervenute nel corso del 2018 [43] con riferimento alle condizioni categoriali previste in origine, hanno sicuramente ampliato lo spettro delle persone in condizioni di indigenza che possono essere ricomprese nella misura, così spingendo il Presidente dell’INPS ad appellarlo come «strumento universale selettivo» [44]. Si arriverà ad una misura davvero universalistica quando il sostegno a chi si trova in stato di bisogno sarà condizionato unicamente dall’accertamento delle condizioni patrimoniali e reddituali al di sotto di una certa soglia predeterminata e se la durata della misura è condizionata al comportamento del beneficiario. Le proposte di un “reddito e di una pensione di cittadinanza” contenute nel programma di Governo e nel def paiono porsi in questo solco. Ragionare di universalità o selettività delle misure, ci pone sul piano del an della tutela, creando potenzialmente una illusione di protezione sociale per il mero fatto dell’esistenza della stessa. Un ragionamento a tutto tondo dovrebbe però prevedere anche una valutazione del quantum della misura che potrebbe anche far riconsiderare la valutazione espressa in merito all’esistenza della tutela, in quanto meramente formale o comunque insufficiente. È di tutta evidenza che, a finanziamenti invariati, una estensione del campo di applicazione della tutela non può che comportare una diminuzione dei livelli quantitativi della prestazione. Ragionare allora di finanziamento del sistema di Welfare induce a toccare il tema delle prestazioni e viceversa, cioè qualunque nuova azione in ambito previdenziale o assistenziale incide necessariamente sul sistema di finanziamento di Welfare. Proprio la struttura a vasi comunicanti, fa sì che [continua ..]


NOTE