Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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I criteri legali di determinazione delle indennità risarcitorie nei licenziamenti (di Marco Gambacciani, Professore associato di Diritto del lavoro – Università "Roma Tre".)


Prendendo spunto dalla recente sentenza della Corte cost. n. 194/2018, il saggio ricostruisce l’evoluzione del sistema normativo in materia di criteri di determinazione delle indennità risarcitorie nei licenziamenti. Il saggio esamina poi la natura e la funzione dell’inden­nità prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, per ipotizzare infine soluzioni ad alcuni dei principali problemi interpretativi ed applicativi posti da tale sentenza.

The legal criteria for determining compensations in the event of dismissals

On the basis of the recent Consitutional Court’s ruling n. 194/2018, the essay discusess the regulatory system development in the field of criteria for determining compensations relating to dismissals. Then, the essay examines the nature and the purpose of allowances provided for in art. 3, sect. 1, Legislative Decree n. 23/2015, in order to explore possible solutions to some of the major interpretation and enforcement issues posed by this ruling.

Keywords: Dismissal – compensation – allowance – criteria for determing.

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. Tra diritto (speciale) del lavoro e diritto comune - 3. L’indennità risarcitoria variabile entro soglie predefinite. I criteri di quantificazione nell’evoluzione del sistema normativo - 4. Segue: i primi affinamenti - 5. Segue: i criteri aggiuntivi a supporto - 6. Segue: l’articolazione di criteri e discipline - 7. L’indennità risarcitoria corrispondente alle retribuzioni perse nel periodo di estromissione - 8. Segue: l’incremento della specialità ed i ridotti spazi di intervento del giudice - 9. I criteri di determinazione delle indennità risarcitorie utilizzati in altri ambiti e materie del rapporto di lavoro - 10. I principali problemi applicativi posti dalla sentenza della Corte cost. n. 194/2018 - 11. La natura speciale e composita (anche) dell’indennità prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. Le molteplici funzioni svolte - 12. I criteri di quantificazione che il giudice deve applicare - 13. Gli effetti sulle altre disposizioni del d.lgs. n. 23/2015 che richiamano espressamente o riproducono il meccanismo di quantificazione dichiarato incostituzionale - NOTE


1. Premessa

La sentenza della Corte cost. n. 194/2018 pone al centro dell’attenzione di dottrina e giurisprudenza il tema, o forse sarebbe meglio dire il problema, dei criteri di determinazione delle indennità risarcitorie nel rapporto di lavoro, e in particolare nella materia dei licenziamenti. Com’è noto, infatti, tale sentenza ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015 nella parte in cui quantificava l’indennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato [1] esclusivamente ed in modo automatico con riferimento al dato dell’anzianità di servizio (2 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo ed un massimo prima di 4 e 24 mensilità, e poi di 6 e 36 mensilità [2]), eliminando qualsiasi discrezionalità del giudice nell’opera di quantificazione [3]. E com’è altrettanto noto la stessa Corte Costituzionale, nella parte finale della motivazione della sentenza, ha poi affermato che, entro i limiti minimo e massimo dell’intervallo predeterminati (ora, come detto, 6 e 36 mensilità di retribuzione), il giudice deve quantificare l’indennità tenendo conto «innanzi tutto» dell’anzianità di servizio [4], ma anche («nonché») degli altri criteri («già prima richiamati») «desumibili in chiave sistematica dalla evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti» (e che la Corte subito dopo individua tra parentesi in quelli del «numero dei dipendenti occupati», delle «dimensioni dell’attività economica» e del «comportamento e condizioni delle parti») [5]. Dunque, dopo l’intervento della Corte Costituzionale la determinazione dell’in­dennità spettante al lavoratore ingiustamente licenziato, nel campo di applicazione del regime di tutele previsto dal d.lgs. n. 23/2015, non è più rigida ed uniforme in base all’unico criterio dell’anzianità di servizio, ma è ora (ri)affidata alla valutazione discrezionale del giudice. La discrezionalità del giudice nella quantificazione dell’indennità non è assoluta, ma si esercita innanzitutto e sempre entro un rangeprefissato dal legislatore (sia pure amplissimo, [continua ..]


2. Tra diritto (speciale) del lavoro e diritto comune

Nell’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti, fino a quello dichiarato oggi incostituzionale, il legislatore ha sostanzialmente utilizzato due diversi mec­canismi per determinare l’indennità risarcitoria spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. Si tratta di meccanismi che, se pure sempre di derivazione civilistica, derogano ai principi generali in materia di responsabilità contrattuale e risarcimento del danno caratterizzandosi rispetto ad essi per significativi elementi di specialità. Deroghe alla disciplina codicistica che sono necessarie per tenere conto delle specificità del rapporto di lavoro non soltanto in funzione (esclusiva) di protezione degli interessi del lavoratore ma anche, com’è espressione di una tendenza ormai in atto da tempo, in funzione di una maggiore considerazione del punto di vista delle imprese (anche per l’esigenza di perseguire superiori interessi pubblici generali, quali sono quelli della salvaguardia e dell’incremento dell’occupazione, e del sostegno del­l’intero sistema produttivo ed economico) [8]. E ciò in coerenza con l’intero impianto sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi regolato da una legislazione speciale che sempre più spesso non utilizza le categorie del diritto civile, o comunque le adatta (con variazioni più o meno rilevanti) alla speciale materia trattata [9]. Entrambi i meccanismi quantificano l’indennità spettante attraverso una predeterminazione legale del danno (sia pure diversa) e utilizzano come (primo e naturale) parametro per il relativo calcolo la retribuzione percepita dal lavoratore, anche se la nozione di retribuzione presa come riferimento non è sempre la stessa. Nel corso del tempo, infatti, si è passati dalla nozione di ultima retribuzione senza ulteriori specificazioni [10] a quella di retribuzione determinata secondo i criteri di cui all’art. 2121 c.c. [11], fino ad arrivare alle nozioni di ultima retribuzione globale di fatto [12] e, più recentemente, di ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto [13].


3. L’indennità risarcitoria variabile entro soglie predefinite. I criteri di quantificazione nell’evoluzione del sistema normativo

Il primo meccanismo di quantificazione del risarcimento del danno è quello introdotto dall’art. 8 della legge n. 604/1966 [14]. Con esso l’indennità (che è qualificata espressamente come risarcitoria) [15] è determinata dalla legge entro limiti minimo e massimo prefissati (individuati entrambi in un certo numero di mensilità di retribuzione), entro i quali l’importo dell’indenni­tà spettante è poi quantificato discrezionalmente dal giudice in base a criteri di valutazione autonomi e predefiniti. In tal modo, in deroga alle regole del diritto comune, da un lato, il lavoratore è esonerato dall’onere di provare concretamente l’esistenza del danno (che è liquidato in via preventiva e forfettaria, con un’indennità nella misura minima dovuta sempre e comunque) [16], e dall’altro però, non gli è consentito di dimostrare l’esistenza di un maggiore danno risarcibile (non essendo consentiti incrementi oltre la soglia massima) [17]. Insomma un «risarcimento sui generis» [18] non tanto diretto a compensare il lavoratore del danno subito (anche perché il rapporto di lavoro interrotto si estingue e non è ripristinabile) [19], ma piuttosto configurabile come una sorta di “penale” (o sanzione) legale che, escludendo il diritto ad un distinto o più elevato risarcimento del danno (cfr. art. 1382 c.c.) [20], rende l’indennizzo economico riconosciuto non soltanto immodificabile ma anche certo, almeno nell’importo minimo e in quello massimo [21]. Nel tempo questa speciale modalità di calcolo dell’indennità spettante ha caratterizzato sia l’area della tutela reale che quella della tutela obbligatoria riguardando prevalentemente i casi di licenziamento ingiustificato. Essa poi, almeno fino ad ora, è stata prevista dal legislatore sempre quando l’indennità è (esplicitamente, o nei fatti) l’unica tutela riconosciuta al lavoratore (ossia quando non è associata alla reintegra). Inizialmente è stata applicata ai datori di lavoro di medie e grandi dimensioni (precisamente, quelli con più di 35 dipendenti) [22]. In particolare, nel testo originario della legge n. 604/1966, era previsto che l’indennità risarcitoria [continua ..]


4. Segue: i primi affinamenti

Con la riforma del 1990 il legislatore inizia ad affinare il meccanismo introdotto dall’art. 8 della legge n. 604/1966 (meccanismo che resta tuttora applicabile ai “vecchi assunti”, ossia ai lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015, sempre nell’area della tutela obbligatoria per i casi di licenziamento ingiustificato). Si riduce innanzitutto il range della misura dell’indennità risarcitoria, prevista sempre in alternativa alla riassunzione, tra 2,5 e 6 mensilità di retribuzione [29], in conseguenza del fatto che il suo campo di applicazione, già ristretto dopo l’introduzio­ne dell’art. 18 della legge n. 300/1970, si riduce ulteriormente ai datori di lavoro più piccoli o minori (in sostanza, quelli con meno di 15 dipendenti) [30], oltreché a quelli che svolgono, senza fini di lucro, attività che esprimono una tendenza ideologica, a prescindere dal requisito dimensionale (le c.d. organizzazioni di tendenza) [31]. Dunque, in tali ambiti di applicazione, l’importo dell’indennità forfettizzata può variare ora da un minimo di 2,5 ad un massimo di 6 mensilità di retribuzione. Il legislatore, inoltre, precisa meglio i criteri che il giudice deve utilizzare per garantire una calibrata modulazione dell’indennità in relazione alla situazione concreta, sempre senza stabilire (almeno in prima battuta) una graduazione gerarchica [32]. Si mantengono i criteri dell’anzianità di servizio del lavoratore, delle dimensioni dell’impresa e del comportamento delle parti [33]. Ed al criterio dell’anzianità di servizio è sempre attribuita una maggiore rilevanza rispetto agli altri criteri, in quanto è previsto che il limite massimo possa essere aumentato fino a 10 e 14 mensilità per i lavoratori con anzianità di servizio rispettivamente superiore a 10 e 20 anni [34]. Si aggiungono invece i nuovi criteri del numero dei dipendenti occupati e delle condizioni delle parti [35]. L’aggiunta dell’autonomo criterio del numero dei dipendenti occupati consente di chiarire il significato da attribuire al confermato (e similare) criterio delle dimensioni dell’impresa, utilizzato sempre in chiave sanzionatoria nei confronti del datore di lavoro. Quest’ultimo ora sembra riferirsi piuttosto alle dimensioni [continua ..]


5. Segue: i criteri aggiuntivi a supporto

Nel 2010 il legislatore detta ulteriori criteri per determinare concretamente la misura dell’indennità (prevista) sempre in caso di licenziamento ingiustificato per i datori di lavoro di dimensioni minori. Si tratta di criteri parzialmente innovativi, alcuni mai utilizzati in precedenza. Innanzitutto è previsto che il giudice, oltre (ed in aggiunta) [39] ai criteri già indicati nell’art. 8 della legge n. 604/1966, debba tenere conto anche di «elementi e parametri» fissati dai contratti collettivi stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi e persino dai contratti individuali di lavoro se stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione [40]. Per la prima volta, quindi, anche la contrattazione collettiva e quella individuale certificata vengono direttamente coinvolte nella concreta determinazione della misura dell’indennità spettante, potendo esse stesse fissare propri ed autonomi criteri di valutazione. Il coinvolgimento dell’autonomia sindacale è opportuno anche perché si tratta di competenze già da tempo esercitate dalla contrattazione collettiva per alcune particolari categorie di lavoratori come i dirigenti [41]. Non risulta tuttavia che, almeno fino ad ora, le parti collettive abbiano mai esercitato la competenza ad esse attribuita. È poi previsto che il giudice «comunque» deve «considerare» anche «le dimensioni e le condizioni dell’attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l’anzianità e le condizioni del lavoratore, nonché il com­portamento delle parti anche prima del licenziamento» [42]. Si conferma quindi, in particolare, l’attenzione del legislatore sia per il criterio che considera le dimensioni dell’attività del datore di lavoro (dovendosi intendere anche in tal caso il riferimento all’attività economica), sia per quelli che considerano le condizioni e il comportamento delle parti (con le precisazioni che oggetto di valutazione è in modo particolare il comportamento delle parti prima del licenziamento, e che le condizioni riguardano anche l’attività esercitata dal datore di lavoro). Innovativi invece sono i criteri della situazione del mercato del lavoro locale e (almeno parzialmente) [continua ..]


6. Segue: l’articolazione di criteri e discipline

Anche con la successiva riforma del 2012 il legislatore utilizza in più occasioni lo stesso meccanismo di determinazione dell’indennità risarcitoria (quello, cioè, in cui il risarcimento del danno è forfettizzato, e quindi la legge ne predetermina importo minimo e importo massimo, ed è previsto come tutela esclusiva per il lavoratore). Ritornando alle origini, il suddetto meccanismo è nuovamente utilizzato anche con riferimento ai datori di lavoro medio grandi, ossia essenzialmente quelli con più di 15 dipendenti (e si tratta di disciplina anch’essa tuttora applicabile ai rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015) [45]. Com’è noto, infatti, con tale riforma anche per i lavoratori alle dipendenze di datori di lavoro di dimensioni maggiori la tutela esclusivamente indennitaria ha sostituito quella reale nei casi di vizi del licenziamento ritenuti meno gravi (ossia il licenziamento ingiustificato nelle ipotesi di minore gravità ed il licenziamento illegittimo per vizi di motivazione e procedimentali). Per quanto riguarda poi i criteri di calcolo dell’indennità, proseguendo il processo di affinamento già intrapreso, il legislatore svolge una ulteriore opera di razionalizzazione anche introducendo significative novità. E così, nel caso di licenziamento ingiustificato meno grave (ossia le «altre ipotesi» in cui il giudice accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo od oggettivo, o della giusta causa), è previsto che l’indennità risarcitoria (l’unica tutela prevista per il lavoratore) sia determinata dal giudice tra un minimo di 12 ed un massimo di 24 mensilità di retribuzione «in relazione all’anzianità del lavoratore e tenuto conto del numero dei dipendenti occupati, delle dimensioni del­l’attività economica, del comportamento e delle condizioni delle parti, con onere di specifica motivazione a tale riguardo» [46]. E nello stesso modo la legge individua l’indennità risarcitoria spettante anche nel caso di licenziamento collettivo illegittimo (riguardante sempre i “vecchi assunti”) per violazione degli adempimenti procedurali [47]. Come detto, le novità sono diverse, alcune di una certa rilevanza. Per evitare ogni possibile dubbio, è precisato ora che [continua ..]


7. L’indennità risarcitoria corrispondente alle retribuzioni perse nel periodo di estromissione

Il secondo meccanismo per quantificare il risarcimento del danno spettante al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo è invece quello introdotto dall’art. 18 della legge n. 300/1970, e poi confermato nella sostanza (pur con alcune significative variazioni) anche dalle successive riforme del 1990, del 2012 e del 2015. Con esso il risarcimento del danno corrisponde alle retribuzioni perse durante il periodo di estromissione dal lavoro, ed è quindi commisurato a tutte le retribuzioni non percepite dal lavoratore per l’intero periodo intercorrente dal giorno del licenziamento fino a quello della sentenza prima, e della effettiva reintegrazione poi. L’indennità prevista dalla legge, infatti, ha sia la funzione di risarcire il lavoratore del danno subito derivante dal licenziamento illegittimo (e dalla conseguente inattività risultando leso il suo interesse alla prosecuzione dell’occupazione) [72] e, per il periodo successivo alla emanazione della sentenza, dalla mancata reintegrazione, sia (ed anche) la funzione di indiretta coazione dell’adempimento del datore di lavoro all’ordine di reintegra [73] e, allo stesso tempo, di sanzione all’eventuale inottemperanza di tale ordine. Come per il meccanismo precedente quindi, nonostante l’esplicita qualificazione risarcitoria, il danno subito dal lavoratore è presunto (con predeterminazione legale) [74] ed il lavoratore è esonerato dalla relativa prova ex art. 1223 c.c. [75], ed anche in tal caso l’indennità spettante, oltre a risarcire il danno, è caratterizzata anche da una valenza sanzionatoria nei confronti dal datore di lavoro [76]. Questo tipo di meccanismo di calcolo (anch’esso di natura speciale) [77] assicura tendenzialmente un risarcimento più sostanzioso di quello precedente, ed è stato previsto quando l’indennità risarcitoria si aggiunge alla tutela ancora più forte ed incisiva della reintegrazione nel posto di lavoro. Esso, quindi, è stato previsto più spesso per i datori di lavoro di dimensioni maggiori ed ha riguardato allo stesso modo (almeno nel momento in cui è stato introdotto) tutti i casi di licenziamento illegittimo (e quindi non solo i casi di annullamento per mancanza di giusta causa o giustificato motivo, ma anche i casi di [continua ..]


8. Segue: l’incremento della specialità ed i ridotti spazi di intervento del giudice

Con la riforma del 2012, tuttora applicabile (solo) ai rapporti di lavoro instaurati prima del 7 marzo 2015, il legislatore introduce significative novità, poi quasi tutte confermate anche con la successiva riforma del 2015, applicabile invece ai rapporti di lavoro instaurati dal 7 marzo 2015. Per quanto riguarda il calcolo dell’indennità risarcitoria, la novità più rilevante (e di maggiore interesse sistematico) è l’introduzione, in alcuni casi di licenziamento illegittimo, di un importo massimo predeterminato. Sia nella riforma del 2012 che in quella del 2015 (nei rispettivi ambiti e regimi di applicazione), il diritto al risarcimento integrale del danno senza predeterminazione di un limite massimo (sempre in aggiunta alla reintegrazione nel posto di lavoro) è conservato soltanto nei casi di vizi del licenziamento ritenuti più gravi, ossia nei casi di licenziamento nullo e inefficace perché intimato in forma orale (con applicazione ora anche ai datori di lavoro di piccole dimensioni), e di licenziamento collettivo intimato senza forma scritta [97]. In tali casi, recependo e codificando il consolidamento orientamento giurisprudenziale, il legislatore conferma anche esplicitamente, in applicazione dei principi civilistici sulla quantificazione del danno, che dall’indennità debbono essere detratti i redditi percepiti per effetto di attività lavorative svolte nel periodo di estromissione. La formulazione del testo delle norme però ha suscitato dubbi interpretativi non soltanto per l’assenza di ogni riferimento anche all’aliunde percipiendum [98], ma anche in relazione all’arco temporale costituito dal «periodo di estromissione» (ossia, se esso possa estendersi anche al periodo successivo alla sentenza) [99] e ad alcuni profili processuali (soprattutto l’onere della prova e l’ampiezza dei poteri istruttori del giudice) [100]. E sempre in tali casi è confermata anche la previsione di carattere speciale rispetto alla disciplina comune secondo cui la misura minima del risarcimento, in ogni caso (e inderogabilmente), non può essere inferiore a 5 mensilità di retribuzione [101]. Mentre nei casi in cui anche nel licenziamento ingiustificato ed in quello collettivo è conservata la tutela reale (nei casi, cioè, in cui il vizio del licenziamento, pur meno grave [continua ..]


9. I criteri di determinazione delle indennità risarcitorie utilizzati in altri ambiti e materie del rapporto di lavoro

Come si è accennato in premessa, indicazioni e spunti utili per ricostruire il sistema dei criteri di determinazione delle indennità spettanti in materia di licenziamento potrebbero essere forniti anche dall’analisi dei criteri di determinazione delle indennità risarcitorie utilizzati in ambiti e materie del rapporto di lavoro diversi dal licenziamento. Certamente il riferimento più interessante a tal fine è quello del contratto a termine. Com’è noto, anche in tal caso il legislatore fin dal 2010, superando le oggettive incertezze e divergenze applicative a cui aveva dato luogo la disciplina previgente [118], ha predeterminato l’importo minimo e massimo spettante a titolo di risarcimento del danno in caso di illegittima apposizione del termine al contratto di lavoro [119]. In particolare, il legislatore ha previsto che, nel caso di trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, in aggiunta a tale sanzione fondamentale («la protezione più intensa che possa essere riconosciuta ad un lavoratore precario») [120]al lavoratore spetti anche una tutela di tipo risarcitorio costituita da un’indennità di importo compreso tra 2,5 e 12 mensilità di retribuzione [121] (indennità ritenuta proporzionata, ed anche sufficientemente effettiva e dissuasiva, dalla Corte Costituzionale anche e proprio perché «complementare e funzionale al riaffermato primato della garanzia del posto di lavoro») [122]. Fin dalla sua introduzione e anche in tal caso per evitare possibili dubbi, il legislatore ha precisato che tale indennità è onnicomprensiva ristorando per intero il pregiudizio subito dal lavoratore (e quindi ogni suo credito, indennitario o risarcitorio) [123],comprese le conseguenze derivanti dalla perdita della contribuzione che avrebbe potuto maturare ove il rapporto di lavoro non si fosse interrotto a causa della scadenza del termine illegittimamente apposto [124]. Con l’ulteriore precisazione, ora esplicitata ma già ricavata in via interpretativa dalla Corte Costituzionale [125], che il danno forfettizzato dall’indennità copre soltanto il periodo c.d. “intermedio”, ossia quello dalla scadenza del termine fino alla pronuncia con cui il giudice ordina la ricostituzione del rapporto di lavoro [126] (e ciò [continua ..]


10. I principali problemi applicativi posti dalla sentenza della Corte cost. n. 194/2018

Ricostruito il “sistema” dei criteri di determinazione delle indennità risarcitorie nella disciplina limitativa dei licenziamenti, e più in generale nell’intero rapporto di lavoro, è ora possibile tentare una risposta ai più delicati e complessi problemi applicativi posti dalla sentenza della Corte Costituzionale. I maggiori dubbi si concentrano su due problematiche, entrambe aventi rilevanti effetti pratici. La prima è quella di capire sulla base di quali criteri il giudice deve ora quantificare l’entità dell’indennità spettante nei casi di licenziamento illegittimo previsti dal­l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. La seconda, strettamente connessa alla prima, è quella di capire quali effetti possa avere la sentenza della Corte Costituzionale anche sulle altre disposizioni del d.lgs. n. 23/2015 che richiamano espressamente il criterio di quantificazione dell’indennità dichiarato incostituzionale, o che comunque ad esso fanno riferimento o riproducono.


11. La natura speciale e composita (anche) dell’indennità prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. Le molteplici funzioni svolte

Ancora preliminare è però l’indagine sulla individuazione della natura giuridica e della funzione dell’indennità prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015. L’indagine si presenta assai complessa e deve necessariamente tenere conto delle contaminazioni che, come si è già ricordato, le tradizionali tecniche risarcitorie civilistiche (incentrate sull’idea della personalizzazione del danno) hanno sempre subito nella speciale materia dei licenziamenti (ancora di più negli ultimi tempi) [147]. E per questo a me pare che, come già quelle analoghe (ed assimilabili per identità di ratio) previste dall’art. 8 della legge n. 604/1966 e dall’art. 18, commi 5 e 6, della leg­ge n. 300/1970 [148], anche l’indennità in questione abbia natura speciale e composita. È indubbio però che, per come l’indennità è strutturata, la funzione sanzionatoria sembra in effetti prevalere su quella risarcitoria. Al punto che una parte della dottrina ha attribuito ad essa natura e funzione puramente ed esclusivamente sanzionatoria [149], svincolata (quasi del tutto) da parametri risarcitori in quanto stabilita forfettariamente (prima in misura fissa ed inderogabile, ed ora in misura variabile e derogabile ma solo entro le soglie prefissate). Mentre la dottrina che appare prevalente ne afferma il carattere polifunzionale, in cui la funzione riparatoria convive (e si mescola) con quella più propriamente sanzionatoria e dissuasiva [150]. Ed ora questa ricostruzione (polifunzionale) è stata autorevolmente affermata anche dalla stessa Corte Costituzionale [151]. Esclusa quindi la possibilità di ricondurla ad una funzione unica ed unitaria (se non sacrificando le altre), soprattutto a ragione delle sue caratteristiche eterogenee deve essere confermata la natura speciale e composita anche dell’indennità prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, con l’aggiunta delle considerazioni e precisazioni che seguono. Nonostante il legislatore non la qualifichi espressamente come tale, la natura (al­meno in parte) risarcitoria dell’indennità di cui trattasi sembra confermata dal fatto che essa è prevista comunque a fronte di un atto unilaterale illecito adottato in violazione di una disposizione imperativa di legge [152], qual [continua ..]


12. I criteri di quantificazione che il giudice deve applicare

Confermata e precisata ulteriormente la natura speciale e composita (o mista) anche dell’indennità prevista dall’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, si possono ora affrontare i due profili della sentenza della Corte Costituzionale che si ritengono maggiormente problematici sul piano applicativo. Riguardo la prima problematica di cui si è detto, nell’ultimo capoverso della motivazione della sentenza, la Corte Costituzionale, come si è già ricordato in premessa, ha fornito al giudice indicazioni di carattere applicativo per colmare la lacuna derivante dal venir meno dell’unico criterio di determinazione dell’indennità previsto dalla norma censurata [179]. Non è, però, chiaro il valore da attribuire a tali indicazioni. Si è già discusso quindi se si tratti di indicazioni additive (come tali direttamente vincolanti nei confronti del giudice, integrando formalmente il dispositivo della sentenza) [180] oppure di indicazioni soltanto interpretative (come tali prive di efficacia direttamente vincolante nei confronti del giudice, non essendo idonee ad integrare il dispositivo della sentenza) [181]. Ed infatti, mentre è certo che quella della Corte Costituzionale è una sentenza di accoglimento parziale testuale (in quanto ha dichiarato l’incostituzionalità di un sin­golo segmento della norma riducendo il testo della disposizione) [182], resta incerto se ed eventualmente in che termini essa possa essere considerata anche una sentenza manipolativa [183], nella specie di tipo additivo [184](o integrativo) [185]. I dubbi sono determinati sia dal fatto che è tuttora oggetto di discussione la compatibilità con la Costituzione delle stesse sentenze additive (per alcuni ritenute compatibili solo se circoscritte nell’ambito di un’attività interpretativa, attribuendosi altrimenti alla Corte Costituzionale una funzione legislativa che non le è propria) [186], sia dal fatto che il frammento normativo non è aggiunto dal dispositivo (come nelle tradizionali sentenze additive autoapplicative contraddistinte dalla declaratoria di incostituzionalità della disposizione «nella parte in cui non prevede» un qualcosa che dovrebbe prevedere), ma è aggiunto (se mai) soltanto nella motivazione della sentenza [187], sia infine anche dal fatto [continua ..]


13. Gli effetti sulle altre disposizioni del d.lgs. n. 23/2015 che richiamano espressamente o riproducono il meccanismo di quantificazione dichiarato incostituzionale

Resta da capire infine se, ed eventualmente in che termini, la pronuncia della Corte Costituzionale possa essere estesa anche alle altre disposizioni del d.lgs. n. 23/2015 che richiamano formalmente o riproducono il criterio di liquidazione dichiarato incostituzionale. Vengono in rilievo, in particolare, le disposizioni dell’art. 4, dell’art. 9 e dell’art. 10, d.lgs. n. 23/2015, ossia tutte quelle in cui, a fronte della previsione di una indennità risarcitoria, vi è un accertamento della illegittimità del licenziamento (mentre resta esclusa invece la disposizione dell’art. 6 regolando una fattispecie di conciliazione stragiudiziale, diversa dal licenziamento) [215]. Nell’art. 4 è disciplinato il caso in cui il licenziamento individuale sia dichiarato illegittimo per vizio formale e procedurale. In tal caso non v’è un rinvio formale alla norma censurata, ma l’ammontare dell’indennità spettante è determinato direttamente con lo stesso meccanismo di calcolo rigido ed automatico dichiarato incostituzionale. Dunque la norma, pur senza richiamare l’art. 3, comma 1, d.lgs. n. 23/2015, riproduce lo stesso modello di calcolo dell’indennità (nella specie, 1 mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio, con un minimo di 2 ed un massimo di 12 mensilità). Così formulata la disposizione, credo sia molto difficile pervenire ad una estensione della pronuncia della Corte Costituzionale attraverso una interpretazione adeguatrice costituzionalmente conforme. E ciò non tanto perché la questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 è stata dichiarata inammissibile dalla Corte per difetto di rilevanza [216] o perché la Corte non ha dichiarato anche tale norma costituzionalmente illegittima come conseguenza della decisione adottata, come pure avrebbe potuto fare (anche d’ufficio) in base a quanto previsto dall’art. 27 della legge n. 87/1953 [217]. Ma soprattutto perché è lo stesso sistema normativo di riferimento che esclude la possibilità di una estensione automatica degli effetti. Ed infatti, si è già ricordato che la legge, nel caso analogo di vizi formali e procedimentali del licenziamento riguardante i “vecchi assunti”, prevede che l’indenni­tà spettante non debba essere quantificata in [continua ..]


NOTE