Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Contratto a termine: nuove causali e vecchi dilemmi (di Paolo Pizzuti, Professore associato di Diritto del lavoro – Università del Molise.)


Il presente saggio esamina il tema delle causali nel contratto a termine, dopo la riforma introdotta dal decreto legge 12 luglio 2018, n. 87 (c.d. Decreto dignità). Dopo una breve rico­gnizione storica della normativa in materia, vengono analizzate puntualmente le nuove con­dizioni giustificative previste dalla legge, mettendo in evidenza le analogie e le differenze rispetto al passato. Viene inoltre valutata la possibilità di applicare la contrattazione di prossimità in materia di contratto a termine, nel rispetto dei vincoli imposti dalla disciplina comunitaria. Il saggio si conclude con qualche cenno sul tema della causalità nei rapporti di somministrazione a termine, sempre alla luce delle nuove disposizioni del 2018.

Fixed-term employment contract: new reasons and old dilemmas

The essay examines the discipline of the legal reasons to subscribe a fixed-term employment contract in the italian legal system up to the recent legislative changes made to the institute by the s.c. “Dignity Act” (Legislative Decree n. 87/2018). Through the analysis of the normative evolution on the subject, together with the indication of the most important case law on the subject and the exposure of the different doctrinal opinions, the study proposes some interpretative solutions, particularly the problematic use of derogatory collective bargaining agreements. The essay ends with some references to the issue of causality in the fixed-term and staff leasing employment contracts.

Keywords: Fixed-term employment contract – causes – derogatory collective bargaining agreements.

SOMMARIO:

1. La (ennesima) riforma del contratto a tempo determinato - 2. Contratto a termine e causali: una lunga storia - 3. Le nuove “condizioni” del c.d. Decreto dignità. Le esigenze temporanee, oggettive e non ordinarie - 4. Segue: le esigenze sostitutive - 5. Segue: gli incrementi temporanei dell’attività ordinaria - 6. Il requisito di forma - 7. Accordi di prossimità e causali - 8. Una nuova causalità nella somministrazione di lavoro a termine (cenni) - NOTE


1. La (ennesima) riforma del contratto a tempo determinato

Il contratto a termine, istituto tradizionale e tormentato [1] del nostro Diritto del lavoro [2], è stato oggetto di una ennesima riforma che, pur non sconvolgendo l’im­pianto base del d.lgs. n. 81/2015, introduce importanti novità e solleva non poche questioni sul piano interpretativo [3]. Secondo le nuove regole, il primo contratto a termine può essere stipulato senza causale soltanto se non supera la durata di dodici mesi, mentre sopra tale soglia è necessaria una causale giustificativa tra quelle espressamente previste dalla legge, e cioè: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attività; b) esigenze di sostituzione di altri lavoratori; c) esigenze connesse ad incrementi temporanei, si­gnificativi e non programmabili, dell’attività ordinaria. In ogni caso, il termine non può superare i ventiquattro mesi altrimenti si converte in un contratto a tempo indeterminato dalla data di superamento del limite massimo. Anche nel caso di successione di contratti a termine non è possibile superare il limite complessivo dei ventiquattro mesi. Si computano, come in passato, tutti i contratti e i periodi di somministrazione a termine intercorsi in qualunque tempo tra i me­desimi soggetti per mansioni di pari livello e categoria legale. Tale soglia è tutt’ora superabile stipulando presso l’Ispettorato del lavoro un ulteriore contratto a termine per una durata non superiore ai dodici mesi. Inoltre, ed è questa una delle novità più rilevanti, a partire dal primo rinnovo è sempre necessaria una delle causali previste dalla legge, anche se non si superano i dodici mesi complessivi. Non solo, il rinnovo è causale anche quando ha ad oggetto mansioni e categorie legali diverse rispetto ai contratti precedenti [4], nonché quando viene stipulato presso l’Ispettorato del lavoro per il superamento del limite massimo di durata [5]. È stata altresì modificata la disciplina delle proroghe, contenuta nell’art. 21, d.lgs. n. 81/2015. Il numero massimo di esse è sceso da cinque a quattro, con obbligo di causale soltanto se il singolo contratto prorogato supera la soglia dei dodici mesi, mentre il numero massimo delle quattro proroghe non riguarda il singolo contratto ma tutta la serie di contratti stipulati nell’arco [continua ..]


2. Contratto a termine e causali: una lunga storia

La riforma conferma (ed anzi, accentua) l’idea tradizionale secondo cui il contratto a termine costituisce una deroga rispetto al modello comune di contratto (quello a tempo indeterminato), che viene ammessa dall’ordinamento soltanto nei casi giustificati dalla “specialità” del rapporto [12]. Così, se si fa eccezione per il codice del 1865, che prevedeva il divieto di stipulare contratti di lavoro per tutta la vita del lavoratore, consentendo soltanto di obbligarsi «a tempo o per una determinata impresa» (art. 1628) [13], tutte le regolamentazioni successive hanno introdotto limitazioni di ogni sorta a tale forma negoziale, sia sul piano formale che sostanziale [14]. Molto rigida era la legge n. 230/1962, che si basava sul principio per cui «il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato» e che prevedeva una elencazione tassativa di fattispecie legittimanti la stipulazione del contratto, tutte caratterizzate dal requisito della specialità e/o straordinarietà dell’attività richiesta e comunque giu­stificate da esigenze temporanee dell’impresa. La forma scritta e la causalità necessaria diventavano requisiti cumulativi e non alternativi, come invece stabiliva l’art. 2097 c.c., pena la conversione del rapporto a temine in rapporto a tempo indeterminato. Una sanzione che, nel tempo, aveva acquistato una “carica dirompente” [15] nei confronti delle imprese di maggiori dimensioni (sottoposte al regime di tutela reale nel caso di licenziamento), per le quali il riconoscimento giudiziale di un rapporto a tempo indeterminato equivaleva ad un aumento stabile dell’organico. A partire dalla seconda metà degli anni ’70, il legislatore, preso atto del mutamento dei sistemi produttivi e degli scenari economici globali, ha progressivamente allargato le maglie dei vincoli posti alla stipulazione dei contratti a termine: così, per limitarci alle modifiche principali, nel 1978 è stata aggiunta l’ipotesi delle c.d. “punte stagionali” (prima settoriale [16], poi generalizzata nel 1983 e condizionata a una autorizzazione amministrativa [17]); con la legge n. 84/1986 si è concessa una larga quota di flessibilità al settore aeroportuale, poi estesa anche al settore postale (con limiti al contratto a termine solo sul piano della durata [continua ..]


3. Le nuove “condizioni” del c.d. Decreto dignità. Le esigenze temporanee, oggettive e non ordinarie

Con il decreto legge n. 87/2018 il legislatore ha dunque scelto di reintrodurre la regola della motivazione per l’apposizione del termine (sopra i dodici mesi), quale li­mite interno al contratto basato sulla necessaria temporaneità della esigenza imprenditoriale [33]. La prima causale prevista dalla legge presenta tre requisiti: la temporaneità del­l’esigenza, l’oggettività di essa e la estraneità rispetto alla ordinaria attività azien­dale. Questa ipotesi non ha precedenti specifici nel nostro ordinamento, poiché la legge n. 230/1960 riguardava opere o servizi «definiti e predeterminati nel tempo» aventi carattere «straordinario od occasionale» [34], non necessariamente estranei alla ordinaria attività aziendale; a sua volta, la causale unica del d.lgs. n. 368/2001 si riferiva ad una qualsiasi ragione, anche ordinaria, che rendesse utile in concreto il con­tratto a termine. Il primo requisito, quello della temporaneità, può ormai considerarsi il cardine della disciplina sul contratto a termine e, come detto, si ritrova in tutte le nuove causali. Difatti, mentre quella sostitutiva è ontologicamente temporanea, nella prima e nella terza causale, relative ad esigenze estranee all’attività ordinaria ovvero ad incre­menti dell’attività ordinaria non programmabili, la temporaneità è espressamente prevista dalla legge. Nella vigenza del d.lgs. n. 368/2001 si è discusso a lungo in dottrina se le ragioni “tecniche, produttive ed organizzative” presupponessero la mancanza di un’occasio­ne permanente di lavoro ovvero se fosse sufficiente una qualsiasi ragione oggettiva, purché non illecita o arbitraria, che rendesse preferibile il lavoro a termine rispetto a quello a tempo indeterminato [35]. Attualmente, il requisito della temporaneità è espres­samente previsto dal nuovo art. 19, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, sicché è sicuro che l’occasione di lavoro che genera il contratto non può essere stabile o definitiva. Tuttavia, la temporaneità, in sé, non significa che la condizione che giustifica il termine debba essere imprevedibile e non programmata, o riguardare attività straordinarie, potendo invece derivare anche da scelte organizzative [continua ..]


4. Segue: le esigenze sostitutive

La seconda causale introdotta dalla riforma del 2018 è quella, ormai collaudata, relativa alle esigenze sostitutive dovute all’assenza di altri lavoratori. Tale causale era già presente nella legge n. 230/1962, ove veniva riferita ai lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto, il che pacificamente limitava la possibilità di ricorso all’istituto soltanto nelle ipotesi di cui agli artt. 2110 e 2111 c.c. (infortunio, malattia, gravidanza, puerperio e servizio militare). Successivamente, nella vigenza del d.lgs. n. 368/2001 si era ben presto ritenuto che il legislatore avesse accolto una nozione ampia di esigenza sostitutiva, comprensiva anche delle assenze senza diritto alla conservazione del posto. Così, tra le ragioni di carattere sostitutivo potevano ad esempio rientrare l’assenza per ferie del lavoratore, il distacco, la trasferta, l’aspettativa, ecc. [46]. Attualmente, data la formulazione generica della nor­ma, non vi è dubbio che le esigenze sostitutive possano riguardare sia ipotesi di assenza con diritto alla conservazione del posto sia ogni altra assenza giustificata da una previsione di legge o di contratto collettivo o individuale. Inoltre, è stato generalmente ammesso il fenomeno dello “scorrimento”, nel quale il soggetto assunto a termine non va a sostituire il lavoratore assente bensì il collega che è stato assegnato al posto rimasto temporaneamente scoperto [47]. Ciò che importa è che vi sia una correlazione tra l’assenza e la assunzione a tempo determinato, nel senso che la seconda deve essere effettivamente determinata dalla necessità che si è generata nell’azienda per effetto della prima. L’indicazione nel contratto del nome del lavoratore sostituito non viene richiesta dalla attuale normativa, come non era richiesta nel d.lgs. n. 368/2001. Al riguardo, la Corte Costituzionale aveva inizialmente affermato la necessità che «tutte le volte in cui l’assunzione a tempo determinato avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti per iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua sostituzione» [48]. Tuttavia, la giurisprudenza di legittimità ha interpretato la posizione della Consulta nel senso che l’indicazione del nominativo del lavoratore as­sente non [continua ..]


5. Segue: gli incrementi temporanei dell’attività ordinaria

La terza causale prevista dalla nuova disciplina si riferisce ad esigenze connesse ad incrementi temporanei dell’attività ordinaria, che siano “significativi” e “non programmabili”. Anche questa causale, come quella sostitutiva, non è del tutto nuova, poiché – come detto – la legge n. 230/1962 consentiva l’apposizione del termine in ca­so di un’opera o un servizio definiti e predeterminati nel tempo aventi caratterestra­ordinario od occasionale. Inizialmente, la giurisprudenza di legittimità aveva ricondotto nella ipotesi in que­stione anche la intensificazione della ordinaria attività aziendale, senza richiedere una differenza nel tipo di attività, ma stabilendo, come requisito essenziale, proprio la non programmabilità della punta di lavoro [56]. Successivamente, però, veniva autorizzata la apposizione del termine “in determinati e limitati periodi dell’anno”, per la «intensificazione dell’attività lavorativa, cui non sia possibile sopperire con il nor­male organico» [57]: la novità era significativa, poiché veniva meno il requisito della non programmabilità dell’esigenza e si consentiva agli imprenditori di ricorrere all’istituto in questione anche per esigenze ripetitive e prevedibili, cioè per i veri e propri picchi di attività. Sul punto, l’inversione di tendenza è totale, poiché nella formulazione attuale del­l’art. 19, d.lgs. n. 81/2015, ove si prevede il requisito della “non programmabilità” dell’incremento, è sufficiente la prevedibilità dei flussi di lavoro per impedire la possibilità di stipulare un contratto a tempo determinato, ponendo l’imprenditore nella alternativa tra scegliere un lavoratore diverso o assumere lo stesso soggetto concontratto a tempo indeterminato. Pertanto, se è vero che gli incrementi dell’attività ordinaria di solito non vanno oltre i 12 mesi, e dunque possono essere gestiti – la prima volta – con il contratto acausale, è altresì scontato che nelle ipotesi di intensificazione periodica il contratto a termine non potrà essere rinnovato, a meno che non sia inquadrabile nell’ambito del lavoro [continua ..]


6. Il requisito di forma

Nella legge n. 230/1962 il requisito della forma scritta riguardava solamente la clausola appositiva del termine ma non le circostanze di fatto che giustificavano il contratto, fatta eccezione per le assunzioni volte a sostituire i lavoratori assenti con diritto alla conservazione del posto. Diversamente, il d.lgs. n. 368/2001, oltre a prevedere la forma scritta della clausola sul termine finale, aveva stabilito anche l’ob­bligo che nell’atto scritto fossero “specificate” le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo per le quali le parti stipulavano il contratto (art. 1, comma 2). La funzione della prescrizione formale era chiara: mentre in preceden­za, nel regime di tassatività delle causali, non doveva essere indicata la singola ragione e in caso di contestazione il datore di lavoro si difendeva allegando la sussistenza di una delle causali previste dalla legge, nel sistema successivo la causale era diventata aperta, ma l’allegazione di essa doveva essere effettuata al momento della stipu­la del contratto e non più a posteriori [62]. Successivamente, venute meno le causali, la prima versione del d.lgs. n. 81/2015 aveva semplicemente stabilito che l’apposizione del termine al contratto era priva di effetto se non risultava da atto scritto, fatta eccezione per i rapporti di durata non superiore ai dodici giorni. Ora la situazione è di nuovo cambiata, e l’attuale versione del decreto prevede l’obbligo di specificare le causali soltanto “in caso di rinnovo” ovvero «in caso di proroga dello stesso rapporto […] quando il termine complessivo eccede i dodici mesi» [63]. Dalla formulazione (non pulita) della disposizione in questione, sembra dunque che l’obbligo di specificazione per iscritto delle causali si riferisca soltanto alle ipotesi del rinnovo e della proroga (che ecceda i 12 mesi), mentre non riguardi il primo e unico contratto superiore ai dodici mesi. Volendo dare un significato a tale assetto normativo, si potrebbe ritenere che il legislatore per il primo rapporto a termine (superiore ai 12 mesi) abbia scelto una impostazione formale più blanda, che non contempla l’indicazione della causale nel contratto (come avveniva nella legge n. 230/1962), mentre in caso di reiterazione del rapporto, dato il più elevato rischio di abusi, abbia previsto [continua ..]


7. Accordi di prossimità e causali

La riforma del 2018 in materia di contratto a termine ha concesso minori spazi alla contrattazione collettiva, che può intervenire sul tetto massimo dei 24 mesi e sulla percentuale di contingentamento, ma non può toccare le causali previste dalla legge. È dunque normale che si discuta [68] sulla applicabilità dell’art. 8 del decreto legge n. 138/2011, conv. nella legge n. 148/2011, il quale, come è noto, autorizza la contrattazione collettiva di prossimità (aziendale o territoriale) ad intervenire (anche) sul contratto a termine e quindi sul tema delle causali. In realtà, l’attribuzione alla contrattazione collettiva di poteri normativi integrativi, sostitutivi o derogatori in questa materia non costituisce una novità, come dimostra l’esperienza della legge n. 56/1987, che attribuiva ai contratti collettivi stipulati dai sindacati maggiormente rappresentativi la facoltà di introdurre ipotesi di utilizzo del lavoro a tempo determinato ulteriori rispetto a quelle previste dalla legge. È evidente tuttavia che la tecnica dell’art. 8 del decreto legge n. 138/2011 è affatto diversa rispetto a quella utilizzata in passato, stante la (discussa) [69] possibilità che viene attribuita alle intese di prossimità di derogare le norme di legge con efficacia generalizzata. L’istituto ha, però, dei limiti, relativi alla necessaria sussistenza delle finalità indicate dalla norma stessa (quali, ad esempio, la crescita dell’occupazio­ne, l’incremento di competitività e di salario, la gestione delle crisi aziendali, l’av­vio di nuove attività, ecc.), e soprattutto richiede il rispetto delle regole della Costituzione italiana e dell’ordinamento europeo. Sotto il primo profilo, quello delle finalità tipiche indicate dalla norma, l’utilizzo dell’istituto sembra poter essere giustificato dalla esigenza di favorire una “maggiore occupazione”, specie se agganciata ad un piano di futura stabilizzazione [70], ovvero mediante il richiamo ad esigenze di tipo diverso, come ad esempio l’incremento di competitività dell’azienda o l’avvio di nuove attività [71]. Quanto agli altri profili, in mancanza di un preciso vincolo costituzionale, il punto di riferimento per valutare la [continua ..]


8. Una nuova causalità nella somministrazione di lavoro a termine (cenni)

Con riferimento alla somministrazione di lavoro, la riforma ha stabilito l’appli­cabilità di tutta la disciplina del Capo III del d.lgs. n. 81/2015 relativa al contratto a tempo determinato, con le sole eccezioni degli artt. 21, comma 2, 23 e 24. Dunque al lavoratore assunto a termine da una agenzia di somministrazione non si applica la norma sugli intervalli tra un contratto e l’altro anche se non cambia l’utilizzatore, quella che regola la percentuale massima di contratti a termine e quella che disciplina il diritto di precedenza [81]. Si applica, invece, l’art. 19, d.lgs. n. 81/2015, relativo: alla durata massima del singolo contratto a termine pari a 12 mesi (acausale) o 24 mesi con indicazione della causale; alla durata massima di tutti i contratti a termine e di somministrazione in­tercorsi tra le parti, che non può superare i 24 mesi (salvo deroghe contrattuali collettive e attività stagionali); alla possibilità di stipulare l’ulteriore contratto presso l’Ispettorato del lavoro per una durata non superiore ai 12 mesi. Si applica anche il comma 1 dell’art. 21, in base al quale la proroga del contratto è libera fino a 12 mesi e con causale fino a 24 mesi, mentre è prevista la causale obbligatoria per tutti i rinnovi a prescindere dalla durata del contratto. L’art. 2, comma 1 ter, del decreto legge n. 87/2018, aggiunto dalla legge di conversione n. 96/2018, prevede però che le nuove causali «si applicano esclusivamente all’utilizzatore», sicché le condizioni organizzative e produttive richieste dalla norma devono essere verificate con riferimento all’impresa utilizzatrice (e non al­l’agenzia). Ne deriva che il controllo sull’eventuale abuso dell’istituto, cioè la reiterazione delle missioni a termine a fronte di necessità strutturali e permanenti del­l’imprenditore, verrà misurato con riferimento alle esigenze dell’utilizzatore e non dell’agenzia che stipula il contratto di lavoro [82]. Sarà dunque compito dell’agenzia di somministrazione richiedere all’utilizzatore la specificazione delle condizioni prima della stipula del contratto. La responsabilità, comunque, rimane in capo all’agenzia, sicché l’eventuale sanzione tipica di conversione a tempo indeterminato del contratto per vizio [continua ..]


NOTE