La Corte di Cassazione si è pronunciata su una tematica del più recente dibattito dottrinale e giurisprudenziale del diritto del lavoro: la qualificazione del rapporto di lavoro dei cosiddetti “rider”. Su di essa si è sviluppata una pregevole letteratura scientifica, la quale non ritiene sufficiente una rilettura aggiornata in senso estensivo della norma giuridica che definisce il lavoro subordinato. Un dibattito dottrinale reso ancora più pregnante e attuale dall’irrompere nel sistema produttivo dall’Economia 4.0, dalla Gig Economy e dai lavori in piattaforma, e dall’esigenza di una corretta applicazione dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, il quale ha posto in essere un’estensione della «disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro».
The Court of Cassation ruled on a topic of the most recent doctrinal and jurisprudential debate on labor law: the qualification of the employment relationship of the so-called “riders”. A valuable scientific literature has developed on it, which does not consider sufficient an updated rereading of the legal norm that defines subordinate work. A doctrinal debate made even more meaningful and current by breaking into the production system from Economy 4.0, from the Gig Economy and from the work on the platform, and the need for a correct application of art. 2, paragraph 1, of Legislative Decree n. 81/2015, which has put in place an extension of the «discipline of the employment relationship also to collaborative relationships that result in exclusively personal, continuous work services and whose methods of execution are organized by the client also with reference to times and place of work».
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1. Il dibattito dottrinale su subordinazione e autonomia - 2. Il contrasto giurisprudenziale - 3. La sentenza della Cassazione 24 gennaio 2020, n. 1663 sui rider - NOTE
Sulla tematica della ridefinizione della nozione di subordinazione si è sviluppata una pregevole letteratura scientifica, la quale non ritiene sufficiente una rilettura aggiornata in senso estensivo della norma giuridica che definisce il lavoro subordinato [3]. Già sul finire del ’900 il diritto del lavoro si è interrogato sulla definizione di un nucleo di base di tutele per qualsiasi attività di lavoro, interpretato come “lavoro senza aggettivi” [4], un contenitore ben più grande di quello della subordinazione in cui allocare il pluralismo delle figure contrattuali tradizionali e non [5] nell’ambito di un nuovo paradigma sociale in cui coniugare uguaglianza, uniformità e differenza nel diritto del lavoro [6]. La linea di teoria giuslavoristica indicata al tempo, ancora più attuale ai giorni nostri, è quella del superamento della dicotomia tra subordinazione e autonomia, con la creazione di un sistemi di diritti, di tutele e di garanzie sociali anche per quei lavori che si ritengono «fuori dal mercato, del fine di lucro e quindi globalmente fuori dal diritto del lavoro» [7], per uno statuto giuridico riconducibile allo status della “cittadinanza sociale” [8], funzionale ad integrare la democrazia politica con quella sociale [9]. Tale linea evidenzia la crisi del tradizionale paradigma della subordinazione intesa in via esclusiva come etero-direzione, basata sulla gerarchia datoriale e su elementi quali l’inserimento continuativo, la continuità e il coordinamento spazio-temporale [10], con la conseguenza che «la pregnanza qualificatoria della nozione di subordinazione quale modo d’essere – eterodeterminato – della prestazione lavorativa è fragile» [11]. Queste tesi prospettano un’opportuna riconsiderazione del concetto di subordinazione quale species di un lavoro inteso nella sua accezione generale, come base comune del pluralismo delle forme contrattuali con cui il lavoro è integrato nelle attività altrui [12]. Un dibattito dottrinale reso ancora più pregnante e attuale dall’irrompere nel sistema produttivo dall’Economia 4.0, dalla Gig Economy e dai lavori in piattaforma [13] e dall’esigenza di una [continua ..]
Con sentenza n. 1853 depositata il 10 settembre 2018, il Tribunale di Milano ha definito come non subordinata l’attività dei rider: «Nel rapporto di lavoro tra una multinazionale del food delivery e il rider, il fatto che il lavoratore possa stabilire la quantità e la collocazione temporale della prestazione, i giorni di lavoro e quelli di riposo, e il loro numero, rappresenta un fattore essenziale dell’autonomia organizzativa, incompatibile con il vincolo della subordinazione (nel caso di specie, il rider non aveva vincoli di sorta, in fase di prenotazione degli slot, nella determinazione dell’an, del quando e del quantum della prestazione)» [28]. Il Tribunale di Torino, a sua volta, il 7 maggio 2018 con sentenza n. 718, aveva rigettato la richiesta del riconoscimento di un rapporto di subordinazione di alcuni rider con Fodora, affermando, tra l’altro, che: «La determinazione del luogo e dell’orario di lavoro non veniva imposta unilateralmente dall’azienda che si limitava a pubblicare su Shiftplan gli slot con i turni di lavoro; i ricorrenti avevano la piena libertà di dare o meno la propria disponibilità per uno dei turni indicati dall’azienda. La verifica della presenza dei riders nei punti di partenza e dell’attivazione del loro profilo sull’applicazione rientra a pieno titolo nell’ambito del “coordinamento” perché è evidente che Foodora aveva la necessità di sapere su quanti riders poteva effettivamente contare per le consegne, anche in considerazione del fatto che un non trascurabile numero di lavoratori dopo l’inserimento nel turno non si presentava a rendere la prestazione senza alcuna comunicazione preventiva» [29]. Nei fatti i Tribunali del Lavoro di Milano e Torino si sono pronunciati [30] nel solco della giurisprudenza consolidata sul punto [31], non riprendendo, invece, i caratteri di innovazione ermeneutica in materia di subordinazione, della “storica” sentenza del Pretore di Milano del 20 giugno 1986 sui cosiddetti “Pony express” [32], che apriva le porte della giurisprudenza a quel fenomeno che la dottrina ha illustrato come «detipicizzazione della subordinazione» [33], né il richiamo della [continua ..]
La Corte di Cassazione è intervenuta con la sentenza 24 gennaio 2020, n. 1663, rigettando il ricorso di Foodora nei confronti dell’avvenuto riconoscimento dell’applicabilità alla fattispecie litigiosa dell’art. 2, d.lgs n. 81/2015 (c.d. “Jobs Act”) e, quindi, ribadendo il diritto dei lavoratori appellati alla corresponsione alla retribuzione prevista per i dipendenti inquadrati al V livello del CCNL della “Logistica trasporto merci”. Tale statuizione, secondo la Cassazione, in ragione della utilizzazione prevista nella prefata norma della nozione di etero-organizzazione «anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro» e, quindi, per le prestazioni di lavoro esclusivamente personali e continuative come quelle dei rider. Un’impostazione della Suprema Corte sulla fattispecie, che ha suscitato primi dissensi in campo dottrinale [38]. Infatti, il coordinamento tra le parti, definito consensualmente nei casi di para-subordinazione, nella fattispecie è determinato dall’esterno, configurandosi, quindi, come “etero-organizzato” nella fase funzionale e di esecuzione, da cui la sua necessaria riconduzione alla previsione di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs n. 81/2015. La conseguenza è che la legislazione giuslavoristica trova applicazione, oltre che ai rapporti di lavoro subordinati (ovvero etero-diretti), anche ai quei rapporti che, pur non avendo il carattere della eterodirezione, siano continuativi e di natura personale, purché le modalità di esecuzione vengano organizzate dal committente anche in ragione dei tempi e dei luoghi di lavoro [39]. La Suprema Corte non ha riconosciuto, come invece sentenziato dalla Corte d’Appello di Torino, l’esistenza di un tertium genus che si colloca quale «intermedio tra autonomia e subordinazione, con la conseguente esigenza di selezionare la disciplina applicabile», poiché «più semplicemente, al verificarsi delle caratteristiche delle collaborazioni individuate dall’art. 2, comma 1, del d.lgs n. 81 del 2015, la legge ricollega imperativamente l’applicazione della disciplina della subordinazione. Si tratta, come detto, di una norma di disciplina, che non crea una nuova fattispecie». E a supporto di tale [continua ..]