Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Il lavoro nel terzo settore (di Domenico Garofalo, Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università di Bari.)


Il contributo analizza i profili lavoristici della riforma del Terzo settore (c.d. social act), attuata nel 2016-2017, in funzione di supporto all’attività svolta dagli enti no profit nel settore dell’assistenza. Viene esaminata la disciplina del lavoro prestato sia dai dipendenti sia dai volontari, con un focus sul servizio civile universale.

The labour in the third sector

The essay focuses on the reform of the Third sector (so-called social act), enforced in 2016-2017 from a Labour Law point of view. The aims are, on the one hand, to underline the role carried out by non profit organizations in the Care Sector and, on the other hand, to analyse the legal frameworks applicable to workers and volunteers, including civil service people.

Keywords: Third sector – volunteers workers.

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SOMMARIO:

1. Dal Jobs Act al Social Act - 2. Il servizio civile universale - 2.1. I principi enunciati dalla legge delega - 2.2. Il decreto attuativo n. 40/2017 - 2.3. Il servizio civile - 3. La riforma del Terzo settore - 4. Lavoro e volontariato nella riforma del Terzo settore - 5. La riforma dell’impresa sociale - 6. L’impresa sostenibile - 7. Populismo vs. volontariato: è solo una questione di voti! - NOTE


1. Dal Jobs Act al Social Act

La XVII legislatura da poco trascorsa è stata caratterizzata da un’azione di Governo sovente criticata in modo aprioristico, specie a livello mediatico, sintomo di scarsa conoscenza delle iniziative legislative varate, con una personalizzazione delle critiche che ha contribuito a sviare l’attenzione dell’opinione pubblica. Una delle riforme fortemente volute dal Governo Renzi, portata a termine da Gentiloni e dal Ministro Poletti, è rappresentata dalla legge 6 giugno 2016, n. 106 [1], recante delega al Governo per la riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e della disciplina del servizio civile universale, meglio nota come “Social Act” [2], parafrasando il più noto “Jobs Act” e perseverando nel ricorso ad un anglicismo lessicale di cui, a ben guardare, non si avverte il bisogno. Tale riforma, però, parte da più lontano, cioè dalle Linee guida per una riforma del Terzo settore, con le quali lo stesso Governo Renzi evidenziò l’importanza del privato sociale per l’economia del Paese, invitando gli operatori, gli stakeholders, i cittadini sostenitori o utenti finali del settore no profit a formulare proposte e suggerimenti da utilizzare per la elaborazione del testo della legge delega, con una consultazione on line aperta il 13 maggio 2014 e terminata il 13 giugno 2014. Per comprendere l’importanza del Terzo settore è sufficiente dare uno sguardo ai suoi numeri e pensare alle esperienze positive disseminate in Italia e in Europa [3]. Il Ministero del Lavoro ha recentemente stimato che il numero di volontari in Italia sia superiore ai 6 milioni, di cui 4 milioni circa svolgono la loro attività in modo strutturato nell’ente di riferimento. A sua volta un italiano su otto svolge attività gratuite a beneficio di altri o della comunità, all’interno di associazioni, riconosciute o non, fondazioni o altri organismi, attivi nel settore della sanità, della cultura, della protezione civile o dell’ambiente [4]. Il settore costituisce altresì un bacino occupazionale decisamente interessante, se si considera che le cooperative sociali contano oltre 500.000 addetti e 40.000 volontari, con un volume d’affari pari a 10 miliardi di euro; le imprese sociali annoverano oltre 16.000 addetti e quasi 3.000 volontari con un valore della produzione [continua ..]


2. Il servizio civile universale

2.1. I principi enunciati dalla legge delega

La delega per l’istituzione del servizio civile universale, che sostituisce quello civile nazionale istituito nel 2001, è contenuta, come già detto, nell’art. 8, legge n. 106/2016 ed è stata esercitata con l’emanazione del d.lgs. n. 40/2017. Giova ribadire che il servizio civile universale è finalizzato, ai sensi degli artt. 52, comma 1, e 11 Cost., alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, anche con riferimento agli artt. 2 e 4, comma 2, Cost. Come si può notare, i riferimenti costituzionali elevano il servizio civile universale a modalità elettiva di difesa non armata (e quindi anche non violenta) della Patria, all’interno delle formazioni sociali ove si sviluppa la personalità umana ed in omaggio al dovere sociale posto in capo ad ogni cittadino di contribuire al progresso materiale e spirituale della società, secondo le proprie possibilità e la propria scelta. Il servizio civile dovrà prevedere un meccanismo di programmazione [12], di norma triennale (il c.d. Piano triennale), dei contingenti di giovani italiani e stranieri regolarmente soggiornanti, di età compresa tra 18 e 28 anni, che possono esservi ammessi tramite bando pubblico e di procedure di selezione e avvio dei giovani, improntate a principi di semplificazione, trasparenza e non discriminazione. Inoltre, il decreto delegato dovrà definire lo status giuridico dei giovani ammessi al servizio civile universale, con l’instaurazione fra i giovani e lo Stato di uno specifico rapporto di servizio civile non assimilabile al rapporto di lavoro, e l’esclusione di tale prestazione da ogni imposizione tributaria. Dal punto di vista delle competenze, allo Stato vengono attribuite le funzioni di programmazione, organizzazione, accreditamento e controllo del servizio civile uni­versale, nonché la realizzazione, con il coinvolgimento delle regioni, dei programmi da parte di enti locali, altri enti pubblici territoriali ed ETS [13]. A loro volta regioni, enti locali, altri enti pubblici territoriali e ETS hanno facoltà di attivare autonomamente progetti di servizio civile con risorse proprie, da realizzare presso soggetti accreditati [14]. In particolare, le Regioni e le PATB sono coinvolte dallo Stato in mo­menti concertativi e di [continua ..]


2.2. Il decreto attuativo n. 40/2017

L’attuazione della delega, esercitata con il d.lgs. n. 40/2017, che non si interseca con il d.lgs. n. 117/2017 sulla disciplina del Terzo settore [15], tiene ovviamente conto dei principi e criteri direttivi innanzi richiamati, confermando la funzionalizzazione del servizio civile universale alla difesa non armata, all’educazione, alla pace tra i po­poli ed alla promozione dei valori fondativi della Repubblica, nell’ottica tipicamente solidaristica al fondo degli artt. 2 e 4, comma 2, Cost. a) I settori di intervento non possono che essere perfettamente sintonici rispetto alle finalità istituzionali del servizio, per cui le attività ad esso riconducibili vanno realizzate nel campo della assistenza, protezione civile, patrimonio ambientale e riqualificazione urbana; patrimonio storico, artistico e culturale; educazione e promozione culturale e dello sport; agricoltura in zona di montagna; agricoltura sociale e biodiversità; promozione della pace tra i popoli, della non violenza, e della difesa non armata; promozione e tutela dei diritti umani; cooperazione allo sviluppo; promozione della cultura italiana all’estero; sostegno alle comunità di italiani all’estero. b) A livello di competenze, il vero braccio esecutivo è costituito dagli enti di servizio civile universale (soggetto pubblico, ma potrebbe anche essere privato) iscritti all’albo degli enti di servizio civile universale, aggregabili anche sotto forma di reti di soggetti, con il compito di presentare i programmi di intervento e curarne la realizzazione [16]. Inoltre, essi provvedono alla selezione, alla gestione amministrativa e al­la formazione degli operatori volontari; attuano la formazione dei formatori; svolgono le attività di comunicazione, nonché quelle propedeutiche per il riconoscimento e la valorizzazione delle competenze acquisite dagli operatori volontari durante lo svolgimento del servizio [17]. A loro volta gli enti possono iscriversi al relativo albo (distinto in sezioni regionali), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ovviamente senza nuovi e maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato [18]. I servizi operano attraverso la c.d. “Sede di attuazione”, cioè una articolazione organizzativa dell’ente di servizio nella quale si svolgono le attività previste nel progetto, [continua ..]


2.3. Il servizio civile

Lo svolgimento del servizio, come previsto dalla delega, è su base volontaria ed è consentito ai giovani italiani, ai cittadini di Paesi appartenenti all’Unione europea e agli stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, che abbiano compiuto il diciottesimo e non abbiano superato il ventottesimo anno di età e che non abbiano già svolto il servizio stesso ovvero il servizio civile nazionale [24]. La finalità dell’istituto inibisce l’accesso agli appartenenti ai Corpi militari e alle Forze di polizia; per altro verso costituisce causa di esclusione l’aver riportato condanna, in Italia o all’estero, anche non definitiva, alla pena della reclusione superiore ad un anno per delitto non colposo ovvero ad una pena anche di entità inferiore per un delitto contro la persona o concernente detenzione, uso, porto, trasporto, importazione o esportazione illecita di armi o materie esplodenti ovvero per delitti riguardanti l’appartenenza o il favoreggiamento a gruppi eversivi, terroristici, o di cri­minalità organizzata [25]. La previsione della condanna, anche non definitiva, non inibisce la presentazione della domanda da parte degli aventi diritto quando indagati, o imputati in primo grado, per reati che possano produrre la successiva esclusione in caso di sopraggiunta condanna. L’accesso è affidato ad una procedura di selezione con bando pubblico, al cui esito i vincitori selezionati dall’ente accreditato per accedere al servizio sottoscrivono un contratto con la Presidenza del Consiglio dei ministri in forza del quale si instaura il rapporto di servizio civile universale, expressis verbis non assimilabile ad alcuna forma di rapporto di lavoro di natura subordinata o parasubordinata e che non comporta la sospensione e la cancellazione dalle liste di collocamento o dalle liste di mobilità. Ancora una volta, il legislatore non eccelle per tecnicismo e precisione nell’uso del linguaggio giuridico, come emerge proprio dalla disciplina del rapporto di servizio. Senza volerci soffermare a lungo sulla qualificazione giuridica dell’istituto non destano più di tanto sconcerto i riferimenti alle liste di collocamento e alle liste di mobilità appartenenti al passato del diritto del mercato del lavoro. Inoltre, l’esplicita non assimilabilità del rapporto di servizio ad alcuna forma [continua ..]


3. La riforma del Terzo settore

La parte più cospicua per l’attuazione del Social Act è rappresentata sicuramente dal d.lgs. 3 luglio 2017, n. 117, recante il “Codice del Terzo settore, a norma del­l’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”, con cui si provvede al riordino e alla revisione organica della disciplina in materia di ETS, funzionale al sostegno dell’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono, anche in forma associata, a perseguire il bene comune, all’elevazione dei livelli di cittadinanza attiva, di coesione e protezione sociale, a favorire la partecipazione, l’inclu­sione e il pieno sviluppo della persona, e a valorizzare il potenziale di crescita e di occupazione lavorativa, in attuazione degli artt. 2, 3, 4, 9, 18 e 118, comma 4, Cost. Si riconosce così il valore e la funzione sociale degli ETS, dell’associazionismo, dell’attività di volontariato e della cultura e pratica del dono quali espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, promuovendone lo sviluppo, salvaguardandone la spontaneità ed autonomia, e favorendone l’apporto originale per il perseguimento di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, anche mediante forme di collaborazione con lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti locali. Si tratta di un provvedimento di ampio respiro, dal campo di applicazione pressoché generalizzato, operando, in assenza di deroghe espresse ed in quanto compatibili, anche per le categorie di ETS che hanno una disciplina particolare Per i profili non disciplinati dal d.lgs. n. 117/2017, agli ETS si applicano, sempre in quanto com­patibili, le norme del Codice civile e le relative disposizioni di attuazione. Prima di illustrare la disciplina lavoristica presente nel d.lgs. n. 117/2017, è indispensabile una sintetica ricostruzione di quella generale, fermo restando che la riforma non è immediatamente operativa [30]. In primo luogo, va evidenziato il campo di applicazione che abbraccia una serie di soggetti privati individuati dall’art. 4, comma 1, d.lgs. n. 117/2017 [31], negando detta qualificazione ad amministrazioni pubbliche, nonché a soggetti privati caratterizzati da finalità specifiche [32]. Una posizione ad hoc ricoprono gli enti religiosi civilmente riconosciuti ai [continua ..]


4. Lavoro e volontariato nella riforma del Terzo settore

La riforma organica del Terzo settore non poteva non riguardare anche l’attività lavorativa prestata al suo interno, sia dai lavoratori subordinati, sia dai volontari. Sotto questo profilo vanno tenute distinte le ODV (organizzazioni di volontariato) e le APS (associazioni di promozione sociale), in ragione dei soggetti a favore dei quali le attività sono svolte. Infatti, le APS svolgono attività in favore dei propri associati, di loro familiari o di terzi, mentre le ODV espletano la propria attività prevalentemente in favore di terzi (art. 32). Con riferimento alle ODV, possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo o di altra natura esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure nei limiti occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta. In ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati non può essere superiore al 50% del numero dei volontari, senza alcuna specificazione del­l’impiego orario dei primi rispetto ai secondi, non prevedendosi il riproporzionamento in caso di part time. Tale rigido rapporto percentuale tra lavoratori e volontari pone l’interrogativo su cosa accada ove venga superata la percentuale. A benguardare due sono le possibilità: aumentare il numero di volontari, ovvero licenziare i la­voratori eccedentari rispetto alla citata percentuale, in quanto sovrannumerari. Nel silenzio del d.lgs. n. 117/2017, la scelta non è scontata, poiché dipende dal tipo di situazione non solo economica, ma complessiva dell’ETS. L’art. 16, d.lgs. n. 117/2017, come detto, prevede che i lavoratori degli ETS abbiano diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’art. 51 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81. Tale disposizione richiama alla mente l’art. 3, comma 1, legge n. 142/2001, sul trattamento dei soci di cooperativa lavoratori subordinati, che fissa tale parametro retributivo, assistito, ex art. 6, comma 1, dal crisma dell’inderogabilità, salve le due ipotesi del piano di avviamento e di quello di crisi, ove previsti nel regolamento interno [42]. Le norme sono accomunate dalla eadem ratio, essendo finalizzate a contrastare pratiche o condotte di concorrenza sleale, pur se rischiano di generare detto fenome­no, ma a parti invertite. [continua ..]


5. La riforma dell’impresa sociale

Il d.lgs. 3 luglio 2017, n. 112, attuando la delega di cui all’art. 2, comma 2, lett. c), legge 6 giugno 2016, n. 106, revisiona la disciplina in materia di impresa sociale, che ha destato notevole interesse a livello comunitario e nazionale per la capacità di dare risposte innovative alle attuali sfide economiche, sociali e, in certi casi, ambientali, sostenendo, al contempo, un’occupazione considerata “di qualità” (stabile e poco delocalizzabile), l’integrazione sociale, il miglioramento dei servizi locali, la coesione territoriale [45]. Il motivo di tanto interesse risiede nella formula imprenditoriale a doppia garanzia; in primis, nei confronti dei cittadini (fruitori e clienti dei servizi offerti), per motivazione valoriale di fondo e per meccanismi di partecipazione e democraticità (valori che la contraddistinguono), oltre che per un approccio gestionale ove il profitto è mezzo, e non fine, della propria attività; in secondo luogo, nei confronti dello Stato (sussidiarietà orizzontale e circolare) che si affida all’impresa sociale, la cui formula imprenditoriale offre stabilità continuativa, efficienza, efficacia ed economicità [46]. Già la norma delegante si preoccupava di formulare una prima definizione del­l’impresa sociale, tale essendo l’organizzazione privata che svolge attività d’impre­sa per le finalità genericamente perseguite dagli enti del Terzo settore, indicate a loro volta nell’art. 1, comma 1, legge n. 106/2016, con la destinazione dei propri utili prioritariamente al conseguimento dell’oggetto sociale, nei limiti di cui al successivo art. 6, comma 1, lett. d) [47]; con l’adozione di modalità di gestione responsabili e trasparenti, favorendo il più ampio coinvolgimento dei dipendenti, degli utenti e di tutti i soggetti interessati alle sue attività. La legge delega indicava quale criterio direttivo ulteriore l’individuazione dei settori in cui può essere svolta l’attività d’impresa sociale, nell’ambito delle attività di interesse generale relative agli enti del Terzo settore, nonché l’acquisizione di diritto della qualifica di impresa sociale da parte delle cooperative sociali e dei loro consorzi. Ai nostri fini, rileva poi, come già illustrato innanzi, il [continua ..]


6. L’impresa sostenibile

Contiguo, sia pure distinto, al tema testé trattato è quello sull’impresa sostenibile, al quale si vuole dedicare una breve riflessione dall’angolazione giuslavoristica, senza trascurare le suggestioni che vengono da altre scienze, come quella economica, e da altri settori del diritto, come quello europeo ed internazionale. La crisi del diritto del lavoro spinge alla ricerca di nuovi paradigmi valoriali, uno dei quali potrebbe essere lo sviluppo sostenibile, assurto anche a nuovo valore-guida nell’interpretazione delle norme, soprattutto nel caso di conflitto tra interessi economici e sociali. L’interazione tra lo sviluppo sostenibile e il diritto del lavoro porta ad indagare le possibili applicazioni del primo al secondo, sia in termini di solidarietà intergenerazionale, sia in termini di bilanciamento tra prospettive assiologiche differenti. Il concetto di sostenibilità secondo le scienze ambientali ed economiche è condizione per uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità per quelle future di realizzare i propri. Ed infatti, la sostenibilità esprime bisogni di carattere intergenerazionale e si riflette su settori estremamente eterogenei tra loro. Il concetto di sostenibilità, nato dall’esigenza di mediazione tra sviluppo economico e tutela dell’ambiente (secondo la nota locuzione dello eco-sostenibilità), ha finito per impattare sulla qualità dello sviluppo sociale, nella prospettiva di garantire adeguati livelli di qualità di vita non solo per le generazioni attuali, ma anche per quelle future. Quello della sostenibilità, apparentemente lontano dal diritto del lavoro e della previdenza sociale, è un tema che può non solo impattare con la nostra materia, ma rivitalizzarla; infatti, alla base del concetto di sostenibilità v’è il soddisfacimento di un bisogno attuale e, in nuce, di uno futuro; appare, quindi, evidente come tracce di essa pervadano la stessa Costituzione, imponendo direttamente o indirettamente limiti all’iniziativa economica privata, in funzione di tutela del lavoro (si pensi agli artt. 35, 37, 38, 41 e 45 Cost.). L’evoluzione dell’impresa negli ultimi settant’anni si accompagna al tema della sostenibilità, per cui se prima essa doveva essere conculcata [continua ..]


7. Populismo vs. volontariato: è solo una questione di voti!

È possibile, a questo punto, formulare qualche breve osservazione conclusiva. Analizzando le norme della legge delega e dei tre decreti delegati, rimbalzano parole oggi sulla bocca di tutti, quali giovani, occupazione, svantaggio, povertà, solidarietà, espressioni di altrettanti fenomeni sociali che connotano l’odierno vivere quotidiano. Non è casuale, quindi, che il Terzo settore appaia sempre più imprescindibile e necessario per puntellare l’intervento pubblico ormai in dichiarato affanno e a corto di risorse, ma anche di idee. Quindi un intervento non più di supporto, da guardare con simpatia, ma da primo attore sulla scena del sociale, da guardare e seguire con la massima attenzione. Solo per fare un esempio, ci si chiede se vale la pena investire risorse su inefficienti centri per l’impiego per gestire il reddito di cittadinanza o se non sia più efficace dirottare risorse sul Terzo settore, pur con tutti i controlli e gli adattamenti opportuni, che ha dimostrato di saper intercettare ed accompagnare bisogni insoddisfatti dall’attore pubblico. Peraltro il Terzo settore appare il terreno ideale dell’invecchiamento attivo, di cui tanto si parla in questo periodo. Quanto sia coerente e compatibile con tale prospettiva il robusto taglio delle risorse finanziarie destinate al Terzo settore, deciso dall’Esecutivo in carica [77], è lecito chiederselo; e soprattutto è doveroso chiedersi se al fondo di tale scelta vi sia ignoranza del fenomeno o avversione nei confronti dello stesso, perché a seconda della risposta cambia radicalmente la valutazione della stessa. Senza alcuna pretesa “scientifica” si opta per la seconda lettura per la sua valenza “elettoralistica”, in quanto il Terzo settore intercettore di bisogni, può intercettare voti.


NOTE