Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Lo ius variandi tra categorie e livelli (di Domenico Garofalo, Già Professore ordinario di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”)


Il saggio riflette sulla “rivitalizzazione” delle categorie legali previste dall’art. 2095 del codice civile ad opera del novellato art. 2103 del codice civile, soffermandosi poi sulla nuova configurazione del potere del datore di lavoro di modificare le mansioni del lavoratore.

 

Change of duties, categories and grade levels

The A. examines the revitalization of legal categories set out in the article 2095 Civil Code as a result of the renewed article 2103 Civil Code and focus on the new configuration of the employer’s power to change employee’s duties.

Keywords: change duties – legal categories – collective bargaining – individual autonomy – repechage.

SOMMARIO:

1. Lo ius variandi nel lavoro in trasformazione - 2. La “riscoperta” delle categorie legali nel novellato art. 2103: criteri distintivi e variabili giurisprudenziali - 3. Categorie legali e ius variandi dopo la riforma del 2015 - 4. Le ipotesi di ius variandi ulteriori rispetto all’art. 2103 c.c. - 4.1. Contratto di prossimità, mansioni e inquadramento dei lavoratori - 4.2. L’assegnazione a mansioni inferiori nel caso di eccedenza di personale - 4.3. Inidoneità sopravvenuta, disabilità e conservazione del rapporto di lavoro: un’altra ipotesi di ius variandi conservativo - 5. Lo ius variandi verso l’alto - NOTE


1. Lo ius variandi nel lavoro in trasformazione

La riforma dell’art. 2103 c.c., attuata con l’art. 3, d.lgs. n. 81/2015 [1], ha coinciso con l’esplosione del fenomeno della Gig economy [2], con innovazioni di processo [3] e di prodotto sempre più rapide e con riflessi sulla vita sociale ed economica ancora non del tutto espressi [4]. Il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale, ma forse sarebbe più corretto dire a quella telematica [5], incide anche e soprattutto sul lavoro [6], non tanto e non solo sul suo quid, ma anche sul quomodo, e forse in futuro anche sullo stesso an, basti pensare all’intelligenza artificiale e alla robotica massiva quali fattori di sostituzione rispettivamente delle prestazioni manuali labour intensive e di quelle intellettuali di tipo esecutivo [7]. E così nel volgere di mezzo secolo, e cioè da quando Alain Touraine nel 1969 ha teorizzato il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale [8], intesa quale società in cui la maggioranza dei lavoratori non è coinvolta nella produzione di beni materiali, si è giunti alla condizione di impiego attuale, nella quale i prestatori che svolgono mansioni prevalentemente manuali raggiungono appena il 33% della forza lavoro, mentre una percentuale identica è rappresentata da quelli impiegati in mansioni intellettuali di tipo esecutivo [9]. Il futuro del lavoro sarà appannaggio di chi svolge attività intellettuali di tipo creativo, difficilmente rimpiazzabili (ad oggi) dall’intelligenza artificiale [10], con l’effetto di rendere potenzialmente più occupabile chi abbia realizzato un investimento più elevato in istruzione e formazione [11] con un’ulteriore drammatizzazione delle dinamiche del mercato del lavoro italiano per la scarsa attenzione all’active ageing, vista anche la bassa propensione dei lavoratori anziani verso percorsi formativi e verso l’hi-tech. All’interno di questo complesso panorama socio-giuridico si colloca la tematica dello ius variandi, e cioè di come possa essere modificato (in senso orizzontale o verticale) l’oggetto dell’obbligazione principale del lavoratore subordinato, di norma determinabile ai sensi dell’art. 1464 c.c., visto che esso è assunto per l’esecuzio­ne di una serie di attività inserite [continua ..]


2. La “riscoperta” delle categorie legali nel novellato art. 2103: criteri distintivi e variabili giurisprudenziali

Il novellato art. 2103 c.c. tra le tante novità si segnala per la “riscoperta” del­l’antistorico [13] e vetusto [14] concetto di «categoria legale» [15], nuovo «bene-interesse posto a limitazione della discrezionalità datoriale» [16], richiamato ben quattro volte nell’articolato, che pur non operando un rinvio espresso all’art. 2095 c.c. [17], di fatto lo evoca, riproponendo così la quadripartizione codicistica (dirigenti, quadri, impiegati, operai) sulla cui perdurante attualità si vuole riflettere proprio alla luce delle profonde modifiche dell’organizzazione del lavoro intervenute dal 1942 ad oggi. Come ben ricorda Edoardo Ghera, le categorie legali ex art. 2095 c.c. hanno «ragione di sopravvivere fino a quando sussistano leggi che individuano il proprio campo di applicazione con riferimento alle categorie previste in tale articolo» [18], storicamente contrapposte alle c.d. categorie contrattuali, così definite per distinguerle dalle prime; con l’introduzione dell’inquadramento unico [19], che ha contribuito alla «devitalizzazione» dell’art. 2095 c.c. [20], il termine ‘categoria’ è pacificamente riferito, nei testi contrattuali, non più alle sotto articolazioni delle categorie legali, ma ai c.d. livelli di inquadramento [21]. La riproposizione in funzione delimitativa del concetto di categoria legale ad opera dell’art. 2103 c.c., obbliga l’interprete a tener conto di un dato normativo ritenuto in larga misura superato, considerando che secondo una tesi il nuovo articolo non solo vieterebbe l’uso indiscriminato dello ius variandi da parte del datore [22], ma inciderebbe sulla modalità standard di inquadramento del personale adottata dai contratti collettivi, e cioè l’inquadramento unico, «preservando la posizione di lavoro di provenienza (e, dunque, la tipologia base della professionalità del lavoratore) e precludendo una indiscriminata “fungibilità” delle mansioni (pur incluse nel medesimo livello contrattuale di inquadramento)» [23]. In sostanza, secondo questa lettura, il lavoratore potrebbe essere chiamato a svolgere tutte le mansioni riconducibili al proprio livello di inquadramento [24], accomunate solo dal medesimo valore di mercato e da nessun [continua ..]


3. Categorie legali e ius variandi dopo la riforma del 2015

La novella dell’art. 2103 c.c. ha prodotto una sua mutazione assiologica, non essendo più qualificabile come norma “inderogabile”, resistente anche ai “patti contrari” [56], e al contempo ha determinato anche un riassetto delle posizioni in campo, con lo scardinamento del rigido assetto che connotava la vecchia disposizione, ed uno spostamento verso l’interesse dell’impresa del baricentro della tutela della mobilità professionale, a partire dalla modifica della rubrica della disposizione che da «Mansioni del lavoratore», torna ad essere quella originaria del codice civile, «Prestazione del lavoro» [57]. L’incipit dell’art. 2103 c.c. consente di cogliere sin da subito la misura dell’in­tervento complessivo; infatti, nonostante una apparente somiglianza del comma 1 dell’art. 2103, vecchio e nuovo testo, ove si fa riferimento al diritto del lavoratore all’adibizione a mansioni coerenti con quelle di assunzione [58], la sostituzione del riferimento alla «categoria superiore» con l’«inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte» [59], elide il riferimento al concetto di equivalenza delle mansioni, perno della vecchia disposizione ed affida alla contrattazione collettiva un ruolo determinante nella tutela della posizione professionale del lavoratore e nella perimetrazione dell’«area del debito relativo allo svolgimento della prestazione lavorativa» [60]. Appare evidente, quindi, come il radicale cambiamento delineato nella riforma del 2015 [61] tenda a potenziare lo ius variandi datoriale, a tutto vantaggio della flessibilità organizzativa e gestionale, consentendo all’impresa di realizzare operazioni in orizzontale e/o in verticale, funzionali alle proprie necessità [62], fermo restando il diritto del lavoratore ad ottenere le informazioni necessarie all’esecuzione della prestazione [63]. In primo luogo, giova evidenziare che lo ius variandi orizzontale, di cui all’art. 2103, comma 1, c.c., è stato sdoganato dal vincolo del criterio dell’equivalenza delle mansioni [64], a sua volta ostaggio di opzioni giudiziarie, tali da rendere l’esercizio del diritto in questione [continua ..]


4. Le ipotesi di ius variandi ulteriori rispetto all’art. 2103 c.c.

La riscoperta del limite interno della categoria legale sembra costituire una sorta di recinto invalicabile rispetto all’esercizio di uno ius variandi “hard”, specie in situazioni di crisi o di riassetto aziendale che necessitino di una robusta ridefinizione dei ruoli del personale (si pensi ad una impresa ove abbondino gli impiegati o i qua­dri e sia necessario riqualificare, ad esempio, i primi come operai o i secondi come impiegati). In effetti, il comma 2 dell’art. 2103 c.c. appare decisamente tranchant, considerando la possibilità di esercizio del repechage, ma entro il limite della medesima ca­tegoria legale e con l’assolvimento dell’obbligo formativo. Esistono, però, al di fuori dell’art. 2103 c.c. delle “porte di servizio” per aggirare l’apparente impenetrabile presidio di garanzia della categoria legale.


4.1. Contratto di prossimità, mansioni e inquadramento dei lavoratori

Una possibile “backdoor” può rintracciarsi nell’art. 8, d.l. n. 138/2011, che abilita (tutti) i contratti collettivi di lavoro ivi selezionati [113] alla realizzazione di specifiche intese aventi efficacia nei confronti di tutti i lavoratori interessati, a condizione di essere sottoscritte sulla base di un criterio maggioritario relativo alle predette rap­presentanze sindacali, finalizzate alla maggiore occupazione, alla qualità dei contratti di lavoro, all’adozione di forme di partecipazione dei lavoratori, alla emersione del lavoro irregolare, agli incrementi di competitività e di salario, alla gestione delle crisi aziendali e occupazionali, agli investimenti e all’avvio di nuove attività. L’ampio teleologismo della norma trova addentellato nell’elenco di materie, di cui al comma 2 del citato art. 8, inerenti all’organizzazione del lavoro e della produzione con riferimento specifico alle mansioni del lavoratore, alla classificazione e inquadramento del personale. In sostanza, è ragionevole ipotizzare che con l’accordo ex art. 8, cit., si possa esercitare proprio quello ius variandi hard, ostacolato dal limite della categoria legale, dovendo ragionevolmente limitare tale esercizio alla gestione di crisi aziendali e occupazionali o anche all’emersione del lavoro irregolare [114]. Rispetto a tale ipotesi interpretativa, alcuni non hanno escluso che la riforma dell’art. 2103 c.c. possa aver determinato l’abrogazione implicita in subiecta materia dell’art. 8, d.l. n. 138/2011, in ragione a) del criterio di successione delle leggi nel tempo, b) del ruolo affidato alla contrattazione collettiva in tema di ius variandi dall’art. 3, d.lgs. n. 81/2015 e c) della conferma della nullità dei patti (anche collettivi) contrari, salvo quelli espressamente richiamati dal comma 9 del nuovo art. 2103 c.c., adombrandosi così il superamento della tecnica della contrattazione di prossimità, per l’intera materia delle «mansioni del lavoratore» [115]. Altri sostengono una posizione diametralmente opposta, ritenendo in assenza di abrogazione esplicita tutt’ora vigente in subiecta materia l’art. 8, che attribuisce al contratto aziendale sia l’efficacia generale sia quella derogatoria [116]. Sotto questo profilo si potrebbe sostenere che laddove la novella del 2015 supera le [continua ..]


4.2. L’assegnazione a mansioni inferiori nel caso di eccedenza di personale

Ancor prima dell’art. 8, d.l. n. 138/2011, una delle poche disposizioni in grado di allentare i vincoli imposti dall’art. 2103 c.c. rispetto a qualsiasi ipotesi di flessibilità funzionale non solo orizzontale, ma soprattutto in peius, è quella di cui all’art. 4, comma 11, legge n. 223/1991, ivi prevedendosi che, nel corso delle procedure di licenziamento collettivo per riduzione di personale, gli accordi sindacali possono stabilire, per garantire il reimpiego di almeno una parte dei lavoratori, che il datore di lavoro assegni, in deroga all’art. 2103, comma 2, c.c., mansioni diverse da quelle svolte. La fattispecie non pone alcuna preclusione all’assegnazione di mansioni anche inferiori o peggiorative, trattandosi di rimedio volto ad evitare il licenziamento dei lavoratori, ferma restando la libertà del lavoratore di rifiutare la dequalificazione esponendosi al licenziamento [118]. Con essa si è superata la concezione pre-statutaria di indisponibilità del diritto alle mansioni di assunzione, a rischio di obliterazione mediante il c.d. recesso modificativo (cioè un recesso immediatamente seguito da una riammissione in servizio a condizioni e mansioni mutate, in peius), ovvero di un licenziamento sospensivamente condizionato all’accettazione da parte del prestatore di una diversa (e peggiorativa) mansione, con il paradosso di realizzare una formale tutela della professionalità, ma a tutto scapito del posto di lavoro [119]. Con l’art. 4, comma 11, citato si introduce una parziale deroga alla regola del­l’equivalenza, introducendo tra le misure alternative al recesso la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse da quelle originarie ed in deroga all’art. 2103 c.c. grazie al contributo dell’autonomia collettiva, evidenziandosi che solo l’attiva­zione della procedura di mobilità consente di mediare tra il diritto alla professionalità e l’interesse alla conservazione del posto, sacrificando il primo a vantaggio del secondo. La disposizione è paradigmatica del bilanciamento del diritto del datore di lavoro a perseguire un’organizzazione aziendale produttiva ed efficiente con quello del lavoratore al mantenimento del posto, coinvolgendo le organizzazioni sindacali nella gestione dell’alternativa demansionamento conservativo vs. licenziamento collettivo. In questa ipotesi, [continua ..]


4.3. Inidoneità sopravvenuta, disabilità e conservazione del rapporto di lavoro: un’altra ipotesi di ius variandi conservativo

Un’altra deroga significativa al divieto di mutamento categoriale riguarda i lavoratori colpiti da inidoneità sopravvenuta, per i quali l’esercizio dello ius variandi costituisce, ancora una volta, misura alternativa al licenziamento. L’evoluzione normativa in materia connota il mutamento di mansioni come obbligo in capo al datore di lavoro, generalizzato per qualunque ipotesi di impossibilità sopravvenuta, anche per quella insorta fuori del perimetro della legge n. 68/1999, sulla tutela dei disabili. Un aspetto preliminare riguarda il quadro normativo di riferimento concorrendo norme di portata generale, quali gli artt. 42, comma 1, d.lgs. n. 81/2008 [123] e 3, comma 3 bis, d.lgs. n. 216/2003, e norme specifiche per i disabili, quali gli artt. 1 comma 7, 4, comma 4, 2° cpv, e 10, comma 3, ult. cpv, legge n. 68/1999. Partendo da quest’ultima, v’è l’obbligo dei datori di lavoro, pubblici e privati, di garantire la conservazione del rapporto di lavoro in favore dei dipendenti che non essendo disabili al momento dell’assunzione, abbiano acquisito eventuali disabilità per infortunio sul lavoro o malattia professionale [124]. Di seguito, la norma sul computo della quota di riserva (art. 4, comma 4) specifica tale obbligo (2° cpv) prevedendo che «l’infortunio o la malattia non costituiscono giustificato motivo di licenziamento nel caso in cui [i lavoratori] possano essere adibiti a mansioni equivalenti ovvero, in mancanza, a mansioni inferiori». Al dipendente già assunto come disabile in forza della legge n. 68/1999, è indirizzata l’analoga disposizione contenuta nell’art. 10, comma 3, ult. cpv., secondo cui il rapporto di lavoro può essere risolto nel caso in cui, “anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro”, la predetta commissione accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda. L’obbligo di adibizione (consensuale) [125] del lavoratore a mansioni equivalenti o inferiori [126] segna i limiti in cui nasce e si esaurisce l’obbligo datoriale di conservazione del posto del soggetto divenuto disabile nel corso del rapporto di lavoro o tale sin dal momento dell’assunzione. Le tre norme della legge n. 68/1999 qui richiamate giuridificano l’estensione alla inidoneità sopravvenuta [continua ..]


5. Lo ius variandi verso l’alto

La novellazione dell’art. 2103 c.c. ha toccato anche l’esercizio dello ius variandi verso l’alto pur se, a differenza delle modifiche in peius, la disciplina della mobilità ascensionale non differisce molto da quella previgente [146]. Infatti, nel caso di assegnazione a mansioni superiori viene confermato il diritto del prestatore di lavoro al trattamento corrispondente all’attività svolta per il periodo in cui essa viene eseguita [147]. Di conseguenza, nelle situazioni fisiologiche il datore di lavoro formalizzerà un differente piano di impiego del dipendente per un periodo definito, mentre il problema si pone per le situazioni patologiche, e cioè nel caso di adibizione a mansione superiore ma rimanendo invariato l’inquadramento contrattuale, con conseguenti sviluppi contenziosi. Tra le novità introdotte dalla novella del 2015 va segnalata in primo luogo la possibilità per il lavoratore di rifiutare la definitiva assegnazione della mansione superiore attraverso l’esercizio del diniego, a ben guardare in assenza di un «meccanismo di protezione dell’integrità del consenso, senza un filtro di controllo nelle sedi protette» [148]. In secondo luogo, la definitiva assegnazione del dipendente a mansioni superiori è comunque impedita nel caso in cui l’impiego sia avvenuto per sostituire un altro dipendente. A ben guardare, la formulazione del comma 7 dell’art. 2103 c.c. differisce non poco dalla disposizione previgente, poiché in precedenza si condizionava la definitiva assegnazione del lavoratore destinatario dello ius variandi al fatto che l’adibizione non fosse avvenuta per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, mentre attualmente la definitiva assegnazione è condizionata al fatto che la medesima non abbia avuto luogo per ragioni sostitutive di altro dipendente. Di conseguenza, la novella amplia le eccezioni e quindi restringe le ipotesi di maturazione del diritto alla promozione con maggiori flessibilità gestionali (si pensi al lavoratore assente per mandato elettorale o sindacale, inibendosi così al sostituto l’accesso alla qualifica superiore) [149]. Il principio al fondo delle due disposizioni è sostanzialmente analogo, nel senso che lo ius variandi definitivo non si realizza a causa della temporaneità della applicazione [continua ..]


NOTE