Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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L´applicazione nel corso del rapporto di lavoro di un diverso CCNL tra clausole di rinvio ed efficacia temporale (di Enrico Claudio Schiavone, Avvocato lavorista in Taranto; Presidente della locale sezione del Centro Studio “D. Napoletano” e Professore a contratto di Diritto del lavoro per il corso di laurea S.G.A.M. del DISGE – Università degli Studi di Bari)


Il contributo analizza le problematiche connesse alla variazione unilaterale del contratto collettivo nel corso del rapporto di lavoro alla luce dell’autonomia contrattuale del datore di lavoro.

The application of a different sectoral collective agreement to an ongoing employment relationship between referral clauses and time effectiveness

The contribution analyses the issues related to a unilateral modification of the sectoral collective agreement chosen by the employer in an ongoing employment relationship in light of employer’s contractual autonomy.

Keywords: National sectoral collective agreement – extended enforcement clause – referral clause.

SOMMARIO:

1. L’efficacia soggettiva del contratto collettivo - 2. La variazione unilaterale del contratto collettivo nel corso del rapporto di lavoro - 2.2. Il rinvio materiale - 2.3. Il rinvio formale - 3. L’efficacia temporale del contratto collettivo - 3.2. L’ultrattività convenzionale - 4. La clausola di ultrattività convenzionale alla luce della più recente giurisprudenza - 5. Conclusioni - NOTE


1. L’efficacia soggettiva del contratto collettivo

La determinazione datoriale di pervenire unilateralmente all’applicazione, nel corso del rapporto di lavoro, di un contratto collettivo diverso da quello già adottato dalle parti, induce ad interrogarsi sulla legittimità di tale modifica. Come noto, i contratti collettivi – in qualità di atti negoziali e in sintonia con il «definitivo ancoraggio all’area del diritto privato» [1], – possono, per loro natura, essere validi solo in volentes. La volontà del datore di lavoro di assoggettarsi al decisum delle parti sociali può manifestarsi: mediante sua adesione all’organizzazione di categoria stipulante [2]. Se il vincolo di applicazione del contratto collettivo discende dall’adesione al­l’organizzazione firmataria riguarda, in tutta evidenza, i contratti vigenti al momento dell’adesione ed anche i contratti futuri, stante «l’affidamento del socio nella attività sindacale di tutela dell’interesse collettivo al quale partecipa» [3]; mediante applicazione spontanea, per regolamentare i rapporti individuali di lavoro, dell’in­tero contratto collettivo (o di un numero così significativo di clausole da consentire di ritenere che si sia voluto recepire l’intero contratto) [4]. Nell’ipotesi in cui il datore di lavoro abbia proceduto alla c.d. adesione spontanea, la ricezione avrà ad oggetto esclusivamente lo specifico contratto collettivo oggetto di volontaria applicazione. È da escludersi, infatti, che l’applicazione spontanea di un determinato contratto collettivo costituisca un uso (ex artt. 1340 e 1374 c.c.) suscettibile di fondare giuridicamente l’obbligo del datore di lavoro di applicare anche i contratti futuri [5], potendo al contrario il datore di lavoro liberarsi dall’obbligo con la dichiarazione di non voler applicare i contratti collettivi successivi [6]; mediante clausola di rinvio inserita nel contratto individuale di lavoro accettata dal lavoratore. Qualora la volontà di recepire [7] la normativa di matrice contrattuale per regolamentare gli aspetti economici e normativi del rapporto di lavoro sia inserita nella lettera-contratto di assunzione mediante inserzione di apposita clausola (come sovente accade), l’intensità del vincolo si accentua considerevolmente in quanto si traduce nella comunicazione [continua ..]


2. La variazione unilaterale del contratto collettivo nel corso del rapporto di lavoro

2.1. L’adesione all’associazione datoriale sottoscrittrice del CCNL Per il caso di applicazione del contratto collettivo in forza di affiliazione sindacale – e per l’ipotesi, invero residuale, in cui nel contratto individuale difetti la clausola di rinvio –, il datore di lavoro che fuoriesce dall’associazione datoriale non è più obbligato ad applicare il CCNL sottoscritto dall’ex associazione rappresentativa ai dipendenti dell’impresa [16]. A seguito del recesso, il datore di lavoro potrà quindi liberamente aderire ad altro soggetto collettivo e applicare, in forza di ciò, il relativo CCNL o potrà, in alternativa, applicare un CCNL diverso da quello precedente – senza previa adesione all’organizzazione datoriale – ancorché sottoscritto da parti sociali differenti (sarà perfettamente libero, ad esempio, a livello aziendale, di trattare solo con alcuni dei sindacati firmatari del vecchio contratto) [17]. Per il datore di lavoro, tuttavia, permane l’obbligo di applicare il contratto collettivo a tempo determinato, che disciplina i contratti di lavoro già in essere, sino alla sua naturale scadenza [18] (tale circostanza ha risvolti problematici per il caso di ultrattività convenzionale, come si avrà modo di precisare nel prosieguo). In linea di massima, laddove non vi siano altre forme di manifestazione della volontà di conformare i rapporti di lavoro al disposto contrattuale collettivo, il vincolo della parte datoriale cesserà a seguito dell’exit dall’associazione datoriale di riferimento e dal relativo sistema contrattuale. Nella maggioranza dei casi, tuttavia, in sede di assunzione, le parti introducono nel contratto individuale di lavoro un rinvio espresso alla contrattazione collettiva che funge da anello di congiunzione tra il CCNL e il contratto individuale.


2.2. Il rinvio materiale

Per il caso del rinvio materiale, la risposta al quesito in merito alla legittimità della modifica unilaterale del CCNL applicato al rapporto di lavoro, varia in ragione della tesi cui si aderisca e delle sue implicazioni teoriche/pratiche. Se si sostiene la c.d. teoria dell’incorporazione, a seguito del rinvio fisso, la normativa pattizia richiamata entra definitivamente nel negozio, divenendone elemento integrante, stabile e costante [19]. Il risultato è un irrigidimento del prodotto contrattuale, il quale, divenendo parte del contratto individuale, non può essere soggetto a variazioni unilaterali. Un’eventuale modifica, infatti, presuppone necessariamente la rinegoziazione con il singolo lavoratore della clausola contrattuale che potrà avvenire anche fuori dalla “sede protetta”, in quanto il precetto incorporato si spoglia della sua natura collettiva, assumendo i connotati di un patto individuale, e ciò comporta che il rinvio ad un dato CCNL non risulta più «protetto dalla “corazza” dell’art. 2113 c.c., la cui operatività presuppone l’esistenza di un diritto inderogabile» [20]. Al contempo, la disciplina collettiva incorporata, assumendo la qualità di pattuizione individuale, è assoggettata all’art. 2077 c.c. in virtù del quale le clausole del nuovo contratto collettivo – che il datore di lavoro successivamente “tenti” di applicare – non possono comunque sostituire le clausole difformi contenute nel contratto individuale se più favorevoli al prestatore di lavoro [21]. In altre parole, i successivi contratti collettivi non possono derogare in pejus il precetto incorporato nel contratto individuale. Si tratta di una teoria minoritaria in dottrina e ormai superata da una consolidata giurisprudenza. Invece, secondo la tesi per cui il rinvio materiale fa sorgere l’obbligo in capo al datore di lavoro di applicare il contratto collettivo – quale fonte eteronoma – durante la vigenza e comunque nel solo periodo di efficacia temporale del contratto nominalmente richiamato, il datore di lavoro può applicare un nuovo CCNL alla scadenza del contratto collettivo oggetto del rinvio per relationem nella lettera di assunzione. Ciò in quanto il contratto collettivo, una volta scaduto, esaurisce la sua funzione e il rapporto di lavoro torna ad essere [continua ..]


2.3. Il rinvio formale

Nel caso in cui le parti inseriscano nella lettera di assunzione una clausola di rinvio formale rinunciano a regolare direttamente il rapporto di lavoro, rimettendosi interamente ai dettami della contrattazione collettiva intercorrente tra le parti sociali [22]. Il vincolo insorto, pur ancorando il rapporto ad una disciplina per sua natura variabile, flessibile, mutevole [23], è paradossalmente il più rigido, nella misura in cui non sarà possibile sottrarsi alla disciplina contrattuale, generata dal sistema (rectius fonte [24]) a cui si rinvia, durante tutto il rapporto di lavoro [25]. Il risultato è, nella sostanza, l’intangibilità unilaterale della fonte eteronoma nel contratto di lavoro [26]. Laddove parte datoriale decidesse di procedere all’applicazione di diversa disciplina contrattuale collettiva ai lavoratori già in forza, dovrebbe per forza di cose rintracciare il consenso del lavoratore da prestarsi nelle sedi “protette” (dunque nel­l’ambito della conciliazione), in ragione dell’operatività dell’art. 2113 c.c. per il caso di «rinunzie e transazioni aventi per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi». Ma cosa accade se la fonte da cui “sgorga” la contrattazione, a cui si rinvia nel contratto individuale, si “prosciuga”? Cosa accade, in altre parole, se sul piano sindacale, allo scadere del contratto collettivo già stipulato, il contratto non viene rinnovato o, ancora, nella diversa ipotesi in cui l’unità sindacale si rompa? Si faccia il caso di un primo CCNL sottoscritto dalla c.d. “triplice” alla cui scadenza, tuttavia, segua un CCNL negoziato dalla medesima parte datoriale con una diversa controparte sindacale (nel settore socio assistenziale è quanto accaduto con il CCNL ANASTE 2017). Per rispondere al quesito circa la modificabilità del CCNL in corso di rapporto di lavoro, sia per il caso di rinvio materiale (dunque, operante per tutto il periodo di vigenza del CCNL di riferimento), sia per quello di rinvio formale, nell’ipotesi di frattura dell’unità degli attori e/o di paralisi della contrattazione “fonte”, è fondamentale definire quali siano i confini temporali di efficacia del contratto collettivo. Infatti, [continua ..]


3. L’efficacia temporale del contratto collettivo

3.1. L’ultrattività legale L’art. 2074 c.c. (“Efficacia dopo la scadenza”) dispone(va) che il contratto collettivo, anche qualora denunziato [28], continuasse a produrre i suoi effetti dopo la scadenza, fino a che non fosse intervenuto un nuovo regolamento collettivo. A fronte dell’abrogazione di tale disposizione, e ormai soppresso il regime corporativo, nel sistema delle relazioni industriali, in assenza di ultrattività di matrice legale, laddove intervenga la disdetta di un contratto a termine in scadenza [29], ovvero il recesso unilaterale da un contratto ab origine a tempo indeterminato [30], si ha l’«obliterazione della fonte regolativa, come norma comune di disciplina dell’orga­nizzazione del lavoro» [31]. Si determina proprio il “vuoto” di norme collettive che il legislatore del periodo corporativo aveva provveduto a riempire con la previsione di cui all’art. 2074 c.c., vuoto che, ingenerato nelle dinamiche collettive, produce le sue conseguenze a pioggia sui rapporti di lavoro. È questa la ragione per cui una parte della dottrina è tutt’ora restìa ad accettare che l’ultrattività legale sia stata definitivamente espunta dall’ordinamento: il sistema contrattuale collettivo necessiterebbe, in virtù della funzione normativa che è ad esso affidata, di una stabilità che solo l’ultrattività può garantire. Il contratto collettivo, infatti, avrebbe come primario obiettivo quello di favorire una sana concorrenza tra imprese ed impedire che la stessa si fondi sui differenziali di costo del lavoro; pertanto, l’ultrattività della norma contrattuale collettiva sarebbe assolutamente in sintonia con la libertà sindacale ex art. 39 Cost. nella misura in cui non precluderebbe la modifica dell’assetto della norma comune contrattuale [32] ma impedirebbe la sua caducazione per volontà unilaterale, con ciò garantendo la “tenuta” (rectius stabilità) del sistema contrattuale stesso. Ciò che apparrebbe idoneo a ledere la libertà sindacale, invece, sarebbe proprio il «ricatto del vuoto normativo» [33]: la negazione da parte datoriale dei trattamenti economici e normativi riconosciuti ai lavoratori in base al contratto scaduto/disdettato, nelle more della negoziazione per un [continua ..]


3.2. L’ultrattività convenzionale

La breve digressione sin qui effettuata offre una traccia per individuare le ragioni per cui il dibattito circa l’ultrattività (e l’opportunità stessa, sul piano della politica del diritto, di una sua conservazione nell’ordinamento giuridico) non si sia mai placato, ma riemerga “carsicamente”. In realtà, l’attualità del tema più che ai tentativi interpretativi di far “risorgere dalle ceneri” l’art. 2074 c.c., si deve alla frequenza con cui la clausola di ultrattività viene inserita nei contratti collettivi. Infatti, allorquando la clausola di ultrattività figura nel CCNL, la questione della sostituzione del contratto collettivo applicato diventa oltremodo più complessa: Per il caso di applicazione del CCNL al rapporto di lavoro in ragione della sola adesione, al tempo dell’assunzione, di parte datoriale all’organizzazione stipulante, “normalmente” la fuoriuscita dall’associazione è condizione necessaria e sufficiente a dismettere/mutare legittimamente il contratto (non è questa la sede per approfondire il diverso tema del “rifiuto” del contratto ad opera di lavoratori dissenzienti, non iscritti al sindacato stipulante o iscritti ad un sindacato espressamente dissenziente). Ma cosa accade se il CCNL applicato è ultrattivo? Come è emerso dalla lunga e complessa vicenda Fiat, non è consentito al datore di lavoro operare il recesso dal CCNL applicato che non sia giunto a scadenza (recesso ante tempus), e tanto a prescindere dalle vicende associative che interessino parte datoriale [47]. Laddove, però, il CCNL sia ultrattivo, lo stesso è destinato a conservare la sua efficacia sino all’intervenuta stipula del nuovo CCNL ad opera della vecchia organizzazione rappresentativa del datore di lavoro (e, più in generale, delle medesime parti). La questione, che presenta già di per sé un elevato grado di complessità, si trasforma in un vero e proprio rompicapo giuridico e gestionale in ragione dell’over­lap tra la clausola di ultrattività inserita nel CCNL e la clausola di rinvio al CCNL stesso contenuta nel contratto individuale di lavoro. Nel caso di rinvio materiale operato nella lettera di assunzione, secondo la tesi prevalente, il CCNL trova applicazione al rapporto di lavoro individuale sino alla [continua ..]


4. La clausola di ultrattività convenzionale alla luce della più recente giurisprudenza

In questo quadro tutt’altro che definito si è registrata, di recente, una controversa interpretazione della clausola di ultrattività convenzionale ad opera della Cassazione, dagli effetti potenzialmente dirompenti. Secondo la Suprema Corte, la clausola di ultrattività contenuta nel CCNL esaminato – in tutto analoga, tuttavia, a quelle presenti in una pluralità di contratti collettivi – opererebbe come “termine finale” del contratto, correlato ad una nuova negoziazione [48]. Infatti, “atteso che il contratto collettivo di diritto comune è regolato dalla libera volontà delle parti, che possono in tal modo regolare gli effetti del contratto scaduto quanto al termine di efficacia”, poiché la scadenza del contratto non può che essere quella fissata specificatamente e chiaramente dalle parti collettive, la previsione della perdurante vigenza fino alla nuova stipulazione ha il significato di un termine di durata, benché indeterminato nel “quando”. Le parti sociali, quindi, per mezzo della clausola di ultrattività, si vincolerebbero al contratto sottoscritto sino alla stipulazione di un nuovo contratto tra le medesime parti, un evento futuro e – a detta degli Ermellini – certo, anche se privo di una precisa collocazione cronologica (letteralmente, “connesso ad un fatto che si verificherà certamente”) [49]. Ma la clausola di ultrattività può davvero atteggiarsi quale termine di efficacia del CCNL? La stessa Cassazione riporta il principio generale secondo cui, nelle obbligazioni da contratto, il criterio distintivo tra termine e condizione va ravvisato nella certezza e/o nell’incertezza del verificarsi di un evento futuro che le parti hanno previsto per l’assunzione di un obbligo o per l’adempimento di una prestazione. Posto che alcun obbligo a negoziare/sottoscrivere grava in capo agli originari contraenti [50], può con certezza affermarsi ex ante che un nuovo CCNL – prima o poi – verrà sottoscritto dalle medesime parti? [51] Ebbene, se il contratto collettivo deve essere applicato al rapporto di lavoro per tutta la sua vigenza, laddove la clausola di ultrattività venga interpretata come apposizione di un termine – e non già come condizione – il contratto disdettato dovrà trovare applicazione al [continua ..]


5. Conclusioni

Dal quadro sin qui tratteggiato è emerso che la sostituzione unilaterale del contratto collettivo in costanza di rapporto di lavoro [59] incontra molteplici ostacoli giuridici. Si è proceduto all’esame delle criticità connesse all’operatività della clausola di ultrattività che rende incerti i confini temporali di efficacia del contratto collettivo. Pur revocando in dubbio che il recesso dall’associazione datoriale stipulante sia idoneo ad esonerare parte datoriale dall’obbligo di applicare ai dipendenti già in forza il CCNL dalla stessa stipulato – e ciò a prescindere dalla scadenza – non può ragionevolmente concludersi che l’ultrattività “termine”, nel CCNL, si traduca, per il datore di lavoro, in un vincolo eterno. Al contrario, il principio della naturale temporaneità delle obbligazioni imporrebbe, in un’ottica sistematica e sino a che non intervenga la stipula di un nuovo contratto tra le medesime parti, di interpretare la clausola di ultrattività del CCNL quale “condizione” con conseguente mutamento del regime temporale del CCNL da contratto a tempo determinato a contratto tempo indeterminato. Tale opzione ermeneutica concederebbe, alle parti stipulanti, la facoltà di operare il recesso ordinario con effetti anche nei confronti degli iscritti. Per i datori di lavoro non iscritti o che abbiano operato il recesso dall’associa­zione datoriale stipulante, invece, la scadenza del termine originariamente apposto al contratto produrrebbe la cessazione dell’obbligo assunto con la clausola di rinvio con la conseguenza che, rispetto a tale parte del contratto individuale, la clausola di ultrattività del CCNL non potrebbe spiegare effetto alcuno. La modificazione della disciplina collettiva applicata al rapporto di lavoro, inoltre, incontra un ulteriore ostacolo rappresentato dalla clausola di rinvio, che spesso si rinviene nella lettera di assunzione e che richiama una certa contrattazione intervenuta tra talune parti sindacali. In merito, si è rilevato che «i problemi posti dalle vicende estintivo-modificative del contratto collettivo sarebbero sdrammatizzati, se non risolti, ove si ipotizzasse la validità di una clausola di rinvio che facesse riferimento, a livello nazionale, a qualunque contratto collettivo vincolante per il datore di [continua ..]


NOTE