Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Alcune considerazioni sulla tutela previdenziale dei rider (di Chiara Paolini, Assegnista di ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi di Macerata)


L’A. propone una riflessione sulla tutela previdenziale dei rider nel tentativo di porre in evidenza la necessità di un ripensamento di ampio respiro del sistema di sicurezza sociale che possa garantire adeguate tutele anche ai lavoratori precari e discontinui.

Some consideration on the social security protection of rider

The A. proposes a reflection on the social security protection of riders in an attempt to highlight the need for a wide-ranging rethinking of the social security system that can guarantee adequate protection even for precarious and discontinued workers.

Keywords: Rider – social security protection.

SOMMARIO:

1. Premessa. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei rider - 2. I confini della «disciplina» applicabile ai rider etero-organiz­zati - 3. Valutazione e confronto delle prestazioni a cui potrebbero accedere i rider nelle diverse ipotesi di inquadramento - 4. Uno sguardo verso soluzioni future - NOTE


1. Premessa. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei rider

Ogni cambiamento nel modo di concepire l’organizzazione del lavoro porta con sé degli interrogativi, tra cui l’intramontabile questione della validità del binomio autonomia-subordinazione ad offrire adeguate tutele ai “nuovi” lavoratori [1]. Il tema, periodicamente riproposto, è tornato in auge con forza rinnovata da quando si assiste alla diffusione della cosiddetta gig economy. Il fenomeno è così complesso e variegato [2] da non consentire un’analisi a tutto tondo ed allora si è scelto di assume il noto e discusso caso dei rider a campione di indagine. La scelta non è casuale ma risiede nell’interesse che i ciclo-fattorini hanno già suscitato in dottrina e in giurisprudenza, entrambe da tempo impegnate nel definire la questione qualificatoria dei loro rapporti di lavoro. Sia nel contesto internazionale che nazionale si è molto discusso della natura autonoma o subordinata delle loro prestazioni, tanto che il nostro legislatore ha deciso di intervenire con un provvedimento ed essi dedicato: il d.l. n. 101/2019, convertito con la legge n. 128/2019 [3] che da un lato detta le tutele minime per i rider autonomi (capo V bis) e dall’altro modifica i presupposti delle collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, adattandoli al meglio alle attività rese a favore delle piattaforme digitali. Ciononostante, la questione qualificatoria non può dirsi risolta, al punto che da ultimo il Tribunale di Palermo le ha sussunte, per la prima volta nel nostro Paese, in un «rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno ed indeterminato» [4], superando la recente e nota pronuncia della Corte di Cassazione che, invece, riconduceva le medesime prestazioni nelle collaborazioni etero-organizzate. Non c’è da stupirsi, tutt’altro. Che la Cassazione non segnasse la meta era prevedibile ed allusivamente preannunciato nella stessa sentenza [5]. Del resto, è idea consolidata che ogni attività possa essere resa tanto in forma autonoma quanto in forma subordinata [6]. Ma, anche a voler ritenere che la prestazione dei rider possa essere generalmente ricondotta alla fattispecie della etero-organizzazione di cui all’art. 2, comma 1, cit., non è affatto chiaro quali siano gli effetti di questa previsione normativa che «applica la disciplina [continua ..]


2. I confini della «disciplina» applicabile ai rider etero-organiz­zati

Partendo dall’analisi letterale della norma, appare doveroso sottolinearne il riferimento alla disciplina del rapporto di lavoro che potrebbe assurgere a spia della volontà legislativa di riferirsi alla sola disciplina “sostanziale” cioè connessa all’e­secuzione del rapporto di lavoro e non già a quella previdenziale. Anche da un punto di vista sistematico, nulla esclude che le due componenti possano percorre vie autonome [13]: che il rapporto previdenziale sia distinto ed autonomo rispetto al rapporto di lavoro, benché quest’ultimo sia «il presupposto fattuale necessario e sufficiente» [14] per l’instaurarsi del primo, è un principio ampia­mente consolidato in giurisprudenza [15], e attuato anche in materia di minimali con­tributivi [16]. Anche allargando l’analisi testuale a tutto il disposto dell’articolo 2, ci si rende conto che – come osservato da attenta dottrina [17] – probabilmente l’intenzione del legislatore non fosse tanto quella di estende la disciplina del lavoro subordinato tuot court, quanto quella di operare delle selezioni. In particolare, al comma 2, lett. a) si prevede che il comma 1 non debba trovare applicazione con riferimento «alle collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo (corsivo mio), in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore». Ed allora, sembra ragionevole ritenere che la disciplina a cui si riferisce il legislatore sia proprio quella relativa al trattamento economico e normativo. Diversamente opinando, sarebbe difficile comprendere la razionalità dell’eccezione della lettera a) che conferisce alle organizzazioni sindacali il potere di disattendere e sostituire le tutele previste in favore dei lavoratori dal comma 1. Se la disciplina di natura contrattuale (comma 2, lett. a) può sostituite la disciplina di natura legale (comma 1), si deve ritenere che tra le stesse vi sia precisa corrispondenza. E se così è, deve escludersi che tra le tutele che il legislatore ha voluto estendere ai collaboratori organizzati debba intendersi ricompresa anche quella previdenziale, in forza del principio della [continua ..]


3. Valutazione e confronto delle prestazioni a cui potrebbero accedere i rider nelle diverse ipotesi di inquadramento

Ciascuna delle considerazioni sin qui proposte ha una propria fondatezza e, di conseguenza, nessuna di esse può assurgere a soluzione del problema. Nonostante gli sforzi interpretativi, il dato normativo non offre esiti certi. Allora non resta che provare a ricondurre il ragionamento su di un piano più concreto, cioè tenendo a mente la disciplina dei trattamenti previdenziali in rapporto con le concrete modalità di svolgimento delle prestazioni (qui date per conosciute) al fine di individuare la soluzione più plausibile in termini finalistici. C’è un argomento in particolare che potrebbe dirimere la dibattuta questione dell’opportunità di applicazione omnicomprensiva o selettiva delle tutele del lavoro subordinato alle collaborazioni etero-organizzate. Prima di osservarlo è però necessaria una premessa: i regimi previdenziali da prendere in considerazione per comprendere quali siano le tutele applicabili ai collaboratori etero-organizzati – ai rider nel nostro caso – sono la Gestione generale dei lavoratori dipendenti e la Gestione separata INPS. Si ricorderà che in forza dell’art. 2, comma 26 della l. n. 335/1995 sono tenuti all’iscrizione alla Gestione separata i titolari di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, di cui al comma 2, lettera a), dell’art. 53 (ex art.49) del TUIR; ossia i percettori di «redditi derivanti […] da altri rapporti di collaborazione coordinata e continuativa […] aventi per oggetto la prestazione di attività […] svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita». Una tale definizione previdenziale sarebbe perfettamente idonea a ricomprendere le collaborazioni etero-organizzate [25] qualora si volesse adottare la teoria della scissione delle tutele; nel caso in cui si propendesse per l’opposta teoria dell’onnicomprensività, naturalmente, il riferimento sarebbe alla gestione generale dei lavoratori dipendenti [26]. Ebbene, l’argomento su cui porre l’attenzione è la disciplina del minimale contributivo, di cui va sottolineato il rilievo prettamente previdenziale ed il fatto che trova applicazione solo con riguardo alla gestione dei lavoratori dipendenti. Potrebbe, [continua ..]


4. Uno sguardo verso soluzioni future

Dinanzi al proliferarsi di multiformi rapporti di lavoro sono emerse esigenze che l’attuale sistema, così com’è strutturato, non è in grado di soddisfare. Il rischio da scongiurare è l’esclusione previdenziale e, in ogni caso l’insufficienza dei trattamenti, tale da imporre l’utilizzo di istituti di tipo assistenziale. Se di lavoratori si tratta, ancorché discontinui, la tutela loro riservata deve essere, per previsione costituzionale, una tutela previdenziale che si assesti su di un livello di adeguatezza ben diverso dal mantenimento assistenziale. L’idea, già diffusa in dottrina, che si ritiene di poter condividere, è che sia necessario individuare una risposta universalistica al bisogno di welfare, che guardi alla persona piuttosto che alla natura giuridica del rapporto di lavoro [41] in grado di adeguarsi alle esigenze di flessibilità del mercato del lavoro e di garantire ai lavoratori la possibilità cavalcare l’onda occupazionale senza preoccuparsi delle ripercussioni in termini di frammentarietà contributiva. Il senso dovrebbe essere quello di mitigare le criticità dell’attuale sistema previdenziale che mal si concilia con la discontinuità lavorativa [42] provocata dalla digitalizzazione economica. Una soluzione potrebbe essere rintracciata nel dar rilievo contributivo anche ai periodi di sospensione dell’attività lavorativa per ora non coperti da contribuzione figurativa, senza però ricondurre necessariamente i rapporti nello schema dalla subordinazione e, allo stesso tempo, far valere quei periodi ai fini pensionistici senza più alcuna limitazione [43]. Peraltro, un importante passo nella direzione della uniformazione delle tutele sociali è ora in atto e non deve essere sottovalutato. La “riforma” della disciplina degli assegni familiari, estesi nell’esegetica formula dell’“assegno unico e universale” anche agli autonomi dalla l. n. 46/2021 sembra essere un illuminato indicatore della presa di coscienza del legislatore rispetto alla necessità di garantire tutele (minime) a tutti i lavoratori (e non solo), indipendentemente dalla forma contrattuale con la quale sono impiegati. La sostituzione degli ANF, la cui natura è dichiaratamente previdenziale, con l’assegno unico universale – sebbene momentaneamente [continua ..]


NOTE