Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Qualificazione e tutele dei platform workers: uno sguardo oltremanica (di Margherita Volpes, Dottoranda di ricerca in Diritto e Impresa – Università degli Studi di Roma “Luiss-Guido Carli”)


UK, The Supreme Court, 19 febbraio 2021, [2021] UKSC 5, Uber BV and others v. Aslam and othersPres. Lord Reed

La sentenza in commento, confermando per l’ordinamento inglese la possibilità di qualificare i rapporti di lavoro in essere con piattaforme di lavoro on demand operanti nel settore del trasporto privato di persone alla “categoria intermedia” dei workers, offre un interessante spunto per tornare ad interrogarsi in merito allo statuto protettivo attualmente garantito in Italia ai lavoratori digitali, attraverso un “volo d’uccello” sui recenti interventi di natura legislativa, giurisprudenziale, istituzionale e sindacale.

Qualification and protection of platform workers: a look across the english channel

Keywords: digital platforms – platform workers

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Con la sentenza in commento, emessa il 19 febbraio del 2021 nel caso [2021] UKSC 5, Uber BV and others v. Aslam and others, la UK Supreme Court conferma definitivamente la possibilità di qualificare gli autisti della nota compagnia Uber come workers. Si tratta di uno dei primi casi attinenti alla classificazione dei c.d. platform workers [1] ad essere giunto al vaglio giurisprudenziale nel lontano – eh sì, secondo i tempi scanditi dalla digitalizzazione è ben lontano – 2016, quando l’Employment Tribunal di Londra [2] aveva, con un approccio pioneristico per l’epoca, ritenuto di superare la formale qualificazione in termini di self-contractors dei drivers di Uber, ritenendo che gli stessi lavorassero sotto un worker’s contract e dovessero, dunque, beneficiare della protezione garantita dalla relativa legislazione lavoristico-sociale. Come ben noto, a tale pronuncia sono seguite, a livello internazionale, diverse soluzioni, sia giurisprudenziali che legali. Se all’inizio tra i Tribunali di diverse parti del mondo si sono levate alcune voci che hanno confermato la natura autonoma del rapporto [3], ben presto tali interpretazioni sono state overulled a vantaggio di soluzioni più sostanzialistiche che formalistiche, attraverso le quali ricomprendere i rapporti de quibus nell’alveo di categorie intermedie [4] o finanche della subordinazione [5]. Al contempo, negli ultimi anni si sono registrati timidi interventi legislativi [6], per lo più diretti a riconoscere uno statuto protettivo minimo ai digital workers anche prescindendo dalla qualificazione del rapporto in termini di autonomia o subordinazione. Ancora, le organizzazioni sindacali, sia quelle tradizionali che alcune nuove manifestazioni di aggregazionismo tra i lavoratori, hanno iniziato ad occuparsi della problematica, proclamando scioperi più o meno seguiti [7], azionando procedimenti avverso le Società proprietarie delle diverse piattaforme [8], intentando trattative dirette alla stipulazione di contratti collettivi [9]. Ciò nonostante, le incertezze in materia permangono, con conseguenze non indifferenti, sia dal punto di vista individualistico di lavoratori e imprese coinvolte, sia da un punto di vista sistematico: basti pensare alle difficoltà connesse all’adatta­mento dell’attuale sistema di protezione sociale – tutt’ora ancorato ad un sistema contributivo la cui efficacia è direttamente proporzionale alla continuità e regolarità dell’attività lavorative e, quindi, del versamento dei contributi – ai lavoratori su piattaforma, le cui prestazioni sono ontologicamente flessibili, temporanee, alternate, [continua..]