Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Struttura e funzioni del diritto del lavoro nel quadro di uno sviluppo sostenibile (di Laura Foglia, Professore associato di Diritto del lavoro – Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”)


Il saggio affronta il tema, divenuto centrale nel quadro dei processi di trasformazione economica, sociale ed ambientale in atto, della sostenibilità del lavoro, dando conto delle posizioni dottrinali emerse di recente in margine alla pubblicazione del “Manifesto per un Diritto del lavoro sostenibile” e rimeditando la specifica problematica in una prospettiva volta a consentirne la ricostruzione in armonia con le categorie giuslavoristiche della subordinazione, del contratto individuale e collettivo e del welfare assunte nell’occasione fin qui invalsa in coerenza con la Costituzione e lo Statuto dei lavoratori.

Structure and functions of labor law in the framework of sustainable development

The essay deals with the theme, which has become central in the context of the ongoing economic, social and environmental transformation processes, of the sustainability of work, taking into account the doctrinal positions that have recently emerged on the sidelines of the publication of the “Manifesto for sustainable work” theme in a perspective aimed at allowing its reconstruction in harmony with the labor law categories of subordination, of the individual and collective contract and of welfare assumed on the occasion that has hitherto prevailed in line with the Constitution and the Statute of workers.

Keywords: labour law – sustainable development – paid employment – collective autonomy – welfare

SOMMARIO:

1. Considerazioni introduttive in ordine alla configurabilità di una relazione tra sviluppo sostenibile e rapporto di lavoro. In particolare, il Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile. Il Diritto del lavoro quale strumento di una governance complessiva - 2. Subordinazione e autonomia - 3. La causa del contratto di lavoro subordinato - 4. La struttura obbligatoria del contratto di lavoro subordinato - 5. L’autonomia individuale e collettiva - 6. La dipendenza economica - 7. L’universalismo delle protezioni di welfare - NOTE


1. Considerazioni introduttive in ordine alla configurabilità di una relazione tra sviluppo sostenibile e rapporto di lavoro. In particolare, il Manifesto per un diritto del lavoro sostenibile. Il Diritto del lavoro quale strumento di una governance complessiva

In una fase storica caratterizzata da una emergenza sanitaria senza precedenti il tema della sostenibilità e, più precisamente, dello sviluppo sostenibile, già prepotentemente all’attenzione dell’Agenda 2030 adottata nel settembre 2015 dai leader mondiali delle Nazioni Unite, si pone al centro dell’attuale dibattito politico in funzione di gestione della transizione verso un nuovo sistema economico, sociale e am­bientale cui sono chiamati l’Europa e ciascuno dei Paesi membri. Il che significativamente in termini di risposta dei singoli ordinamenti alla più grande crisi in atto dei nostri tempi [1]. In effetti, nel contesto tematico dello sviluppo sostenibile si inserisce la questione della sostenibilità dell’impresa con cui si intende, sulla base della definizione divenuta ormai classica, rinvenibile nel rapporto del World Commission on Environment and Development, Our Common Future del 1987, un modello di sviluppo che permette alle generazioni presenti di assicurare il soddisfacimento dei loro bisogni senza compromettere la possibilità per le future generazioni di realizzare quelli che riterranno essere i propri [2]. Sostanzialmente significa rispondere ai bisogni umani attuali, anche attraverso gli scambi economici, secondo criteri di equità e inclusione facendo attenzione a non utilizzare più risorse ecologiche di quante il nostro pianeta è in grado di produrre e mettere a nostra disposizione ogni anno [3]. Tutte le risorse naturali che utilizziamo oltre la loro capacità riproduttiva implica depauperamento delle stesse e degrado ambientale a discapito delle future generazioni. Perché il paradigma dello sviluppo sostenibile diventi realtà è necessario che tutti i soggetti, incluse le imprese rivedano i loro modelli di business in modo tale che le attività economiche creino valore sociale e ambientale e non contribuiscano invece ad esacerbare la crisi di tipo ambientale e socio-economico del nostro tempo [4]. Il tema così posto della “corporate sustainability” è stato approfondito con particolare riferimento al profilo della sostenibilità ambientale, tuttavia crescente è l’in­teresse intorno al tema del lavoro sostenibile [5]. Le trasformazioni tecnologiche, economiche e demografiche inducono a ritenere necessario un ripensamento del [continua ..]


2. Subordinazione e autonomia

In termini più modesti, ma certamente più congrui rispetto alla dimensione di riflessione scientifica del testo in questione, la prospettata “terza via” va riguardata come meritoriamente intesa a riproporre all’attenzione dell’imperversante dottrina del nuovo millennio, totalmente condizionata dalla pretesa novità del paradigma e senza considerazione degli originari postulati assiologici e dogmatici della materia, categorie e snodi concettuali che da sempre danno corpo al “formante” di questa. Non è un caso che l’ampia riflessione sulle problematiche attuali del diritto del lavoro si apra evidenziando la perdurante centralità della nozione recata dall’art. 2094 c.c. [26]. quanto all’identificazione del contenuto obbligatorio del contratto di lavoro, incentrata sul prestare, verso un corrispettivo dato dalla retribuzione, una collaborazione alle dipendenze e sotto la direzione del datore, così da sottendere l’operare tra le parti di una relazione di potere/soggezione che si sostanzia nella subordinazione e che a questa capacità di resistenza della nozione gli Autori riconducano la rinuncia, da parte del legislatore del 2015, alla manipolazione formale della stessa e l’elaborazione della figura, finalmente e a ragione definita bizzarra, della collaborazione etero-organizzata [27]. Ma tale consapevolezza, se induce il riconoscimento che “la missione tradizionale del diritto del lavoro, di tutelare il lavoratore dalla disparità di potere che caratterizza il rapporto di lavoro subordinato, non è esaurita” [28], non distoglie dal convincimento che la stessa “va ora misurata sulla sua capacità di estendersi con modulazioni a rapporti non standard, non solo subordinati ma caratterizzati da varie gradazioni di autonomia” [29]. Anzi al fine di non smentire questa impostazione, si declina il compito di sottoporla ad una stringente verifica concettuale, giungendo a dichiarare metodologicamente corretto “rifuggire da eccessive sottigliezze concettuali e a ripiegare su un atteggiamento relativista e pragmatico, rivolto al miglior riordino possibile del sistema sulla base dei dati normativi nonché, in questo caso, soprattutto giurisprudenziali, a disposizione” [30]. È così che a questa stregua si ribadisce, con riguardo al tema fondamentale della [continua ..]


3. La causa del contratto di lavoro subordinato

A questa stregua la struttura dell’obbligazione del prestatore si riduce all’adem­pimento diligente di un facere o più precisamente di un comportamento il cui risultato, giuridicamente rilevante per il datore di lavoro, è dato dall’apporto di utilità corrispondente allo svolgimento dell’attività lavorativa dovuta nei termini in cui viene specificata nell’esercizio del potere direttivo; risultato che supera, includendolo, il risultato materiale dato dalla modificazione della realtà connessa alla specifica attività svolta e che permette poi al creditore, con rischio integralmente a suo carico, di soddisfare il suo interesse al coordinamento della complessiva attività al medesimo facente capo in vista del conseguimento del fine produttivo perseguito, da ritenersi ulteriore ed estraneo a quello soddisfatto con il rapporto obbligatorio [40]. In sostanza, se il potere di direzione del comportamento del lavoratore cui questo è obbligato a soggiacere ben può comprendere il potere di coordinamento della prestazione di lavoro con quella degli altri lavoratori in vista del conseguimento del risultato della complessiva organizzazione di lavoro, questo, se non mediato, dal­l’esercizio del potere direttivo, non si riflette sull’obbligazione di lavorare, restando estraneo all’area del debito del lavoratore; con la conseguenza che questi adempiendo la propria prestazione con ottemperanza a quel potere estingue il suo carico debitorio, mentre il rischio dell’effettivo conseguimento dell’utilità idonea a soddisfare l’interesse del datore al risultato della complessiva organizzazione di lavoro viene a gravare tutto sul datore stesso [41]. Va così riconosciuta la validità dell’affermazione di Franco Liso per cui l’eser­cizio del potere di supremazia dell’imprenditore costituisce l’unico punto di mediazione tra contratto e organizzazione [42]. Al rapporto resta, pertanto, esterno il profilo della cooperazione [43], insuscettibile di essere compreso nell’area del debito del lavoratore, il cui contenimento costituisce, mutuando lo stesso linguaggio degli Autori, la ragione profonda del diritto del lavoro [44]. Non vi è dubbio, infatti, che riguardare quale componente strutturale della prestazione, inclusa nel suo oggetto ed elevata a parametro di [continua ..]


4. La struttura obbligatoria del contratto di lavoro subordinato

È, invece, necessario non alterare la struttura obbligatoria del rapporto e, aggiun­gerei, in entrambe le direzioni. Per quel che riguarda i lavoratori è a dirsi come non si possa prescindere in relazione al peculiare atteggiarsi del lavoro nel rinnovato contesto dell’economia digitale, in relazione al quale mutano le stesse modalità, in particolare quelle spazio-tem­porali (id est: lavoro agile), del pur permanente connotato dell’implicazione della persona del lavoratore nel rapporto dalla precisa determinazione dei limiti all’esigi­bilità della prestazione [47]. Il problema è quello del porsi di quelle modalità come variabili dell’organizza­zione del lavoro, del dove e del quanto della prestazione, che poi si articola venendo ad implicare anche il quando ed il se della prestazione stessa. È su questo terreno che si estende il conflitto tra organizzazione e subordinazione cui ha da sempre riguardo il diritto del lavoro. Ed è qui che si ripropone il problema della misura della subordinazione. E si ripropone in forme differenziate ma, a ben vedere, anche più subdole, fino al punto che quegli spazi di vita possono venire sottratti, in ragione dell’estrema permeabilità fra la vita privata e quella lavorativa (c.d. time porosity) e la “dipendenza” del lavoratore travalicare l’ambito segnato dalla prestazione dovuta per giungere ad investire la sfera personale [48]. Il rischio si annida nell’illimitata disponibilità alle sollecitazioni del datore, favorita sempre più spesso, com’è ricavabile anche da recenti indagini condotte in materia, dalle opportunità di costante e diffusa interferenza offerte dal contatto da remoto, che pervade in tal modo la relazione di lavoro, interferenza che, in ambiti scientifici specializzati, si è soliti ricondurre al fenomeno dell’“always on”, ovvero della “connessione costante” [49]. In altre parole, essendo sempre reperibile o, per così dire, perennemente connesso attraverso l’utilizzo delle strumentazioni tecnologiche, la funzionalità del lavoratore indubbiamente cresce indipendentemente dall’orario in cui è tenuto a lavorare e dal luogo in cui deve lavorare. Quanto ai datori di lavoro va rilevata l’inopportunità di [continua ..]


5. L’autonomia individuale e collettiva

Eppure si rinviene una logica nella sequenza delineata che dalla pretesa emancipazione del lavoro dal vincolo della subordinazione assicurata dai nuovi modelli organizzativi si indirizza verso un ipotizzato secondo livello di protezione del lavoro orientato alla promozione della persona in quanto “non meramente tutoria, bensì proattiva e capacitante, ossia rivolta a sostenere il lavoratore nell’arricchimento della propria dotazione di risorse professionali e personali, così da metterlo in condizione di sviluppare appieno la propria personalità sul lavoro ed anche conciliarla il più possibile con le altre sfere della vita” [51] per poi sfociare in una riconsiderazione in termini collaborativi-partecipativi della funzione economico-sociale del rapporto di lavoro destinata a tradursi in una corresponsabilizzazione del lavoro nel conseguimento del risultato produttivo dell’impresa. In effetti, emerge nella sottolineatura dell’interesse del lavoro alla sopravvivenza dell’impresa, quella già rilevata deriva pauperistica, per la quale il lavoro è in funzione della mera sopravvivenza del singolo, che finisce per ammantarsi di corporativismo vecchia maniera laddove l’esigenza di cooperazione tra impresa e lavoro la si orienta al superamento dello schock macroeconomico indotto dalla pandemia e, così, alla ripresa dell’economia nazionale. E alta si leva l’eco del Libro V del codice civile del 1942. Ed a questo obiettivo viene piegato quello stesso secondo livello di protezione che si vuole votato alla promozione della persona del lavoratore pensato appunto in una prospettiva strettamente individuale che trova nella relazione negoziale tra le parti del singolo rapporto la sede della sua attuazione [52]. Si lascia il lavoratore solo a rivendicare e negoziare disponibilità del soggetto datore alla concessione di trattamenti economici e normativi personalizzati, addirittura prefigurando come esperienza innovativa “sostenibile” il contratto individuale ibrido o misto, proposto e regolamentato da Banca Intesa, che vede concentrarsi su un solo lavoratore due tipologie di rapporto, uno subordinato quale comune dipendente ed uno autonomo quale promotore finanziario, che vale a frammentare con applicazione di diverse condizioni economiche e normative una prestazione che rende al medesimo soggetto datore un servizio sostanzialmente [continua ..]


6. La dipendenza economica

Tutto quanto detto se, da un lato, sconsiglia di ridurre il ruolo del sindacato a garante di una negoziazione individuale che, attraverso la personalizzazione dei trattamenti, atomizzi la regolamentazione delle condizioni di lavoro, marginalizzando la contrattazione collettiva fino a disconoscerle la funzione assegnatale in ambito costituzionale quale canale parallelo della dialettica istituzionale, dall’altro, attesta come anche le condizioni di dipendenza e debolezza economica afferenti a molti rapporti formalmente autonomi, cui il Manifesto ricollega la sostenuta ibridazione della nozione di subordinazione, non legittimino, neppure in una logica rimediale, l’accesso allo statuto protettivo proprio del lavoro subordinato. Lo esclude l’opzione sopra esposta in favore di una considerazione della questione della subordinazione che abbia a riferimento una fattispecie tipica il cui parametro sia dato dalla subordinazione-obbligazione, connotata dalla sussistenza di un pregnante potere direttivo, da contrapporre al dato, giuridicamente irrilevante, della debolezza socio-economica, intorno al quale si è costruita la categoria della subordinazione-situazione, con cui si è inteso reagire a quel fenomeno di detipizzazione della subordinazione, conseguenza della progressiva erosione della figura del­l’operaio e del lavoratore salariato dell’industria, finendo, tuttavia, per sottrarre l’es­senziale riferimento ad un modello social-tipico all’operazione di qualificazione di nuovi tipi di lavoro, diversi per condizione della prestazione e per forme di organizzazione. Va arginata la propensione, riflessa nel ricorso al metodo tipologico di qualificazione dei rapporti, ad accentuare il processo di estensione incondizionata dello statuto protettivo del lavoro subordinato, nel momento in cui il fenomeno del lavoro coordinato ha assunto una dimensione significativa nell’ambito dei moduli organizzativi dell’economia dei servizi per sperimentare, di contro, la promozione di un assetto di interessi che privilegi, in luogo dello scambio subordinazione/coordina­mento verso retribuzione, lo scambio autonomia coordinata verso corrispettivo. Si tratta, in concreto, di sottrarsi alla logica del sostegno normativo a condizioni di debolezza socio-economica degli operatori dell’economia dei servizi anche digitali, per volgersi ad una azione di implementazione sul mercato delle competenze e [continua ..]


7. L’universalismo delle protezioni di welfare

Artificiose, nella misura in cui trascendono l’ambito del lavoro subordinato, delineando un welfare che si discosta dal paradigma lavoristico che connota ancora il sistema previdenziale, sono, per parte loro, le connessioni dal Manifesto registrate tra diritto del lavoro, mercato del lavoro e welfare. L’universalismo delle protezioni di welfare, se si giustifica nel quadro, ci si augura meramente contingente, del contrasto all’emergenza sociale creata dalla pandemia, è scenario eccedente le politiche del lavoro, passive o attive, volte ad arginare la disoccupazione o, secondo indirizzi legislativi invalsi all’inizio del secondo millennio l’inoccupazione e, auspicabilmente, se si bonificasse la palude in cui, quando avviate, si arenano le riforme dei servizi all’impiego, a promuovere l’avvio e la ricollocazione nel sistema produttivo delle risorse umane, che non vanno confuse con misure assistenziali o di contrasto alla povertà. Del resto, fino al 2017, con la legge delega n. 33 ed il d.lgs. n. 147 attuativo della stessa ed istitutivo del “reddito di inclusione”, il legislatore si è mosso secondo una logica di netta separazione tra assistenza e previdenza, tra sostegno economico e sociale al non-lavoro e promozione del lavoro. È l’introduzione del “reddito di cittadinanza” ad opera del decreto legge n. 4/2019, convertito nella legge 28 marzo 2019, n. 26, connotato dalla sovrapposizione tra contrasto alla povertà e promozione dell’occupazione, che segna il rinnovato approccio legislativo al welfare [56], fondato sul rovesciamento della delineata concezione tradizionale per cui, in luogo del valore positivo del lavoro è il problema dell’esclusione sociale e del suo superamento che si emancipa da una valutazione di assoluta marginalità per porsi al centro dell’azione sociale, economica e politica delle istituzioni. Al di là del contrasto che la sovrapposizione tra assistenza e previdenza fa registrare con l’art. 38 Cost., in cui la distinzione tra le due aree resta ferma, ciò che lascia perplessi, a fronte del chiaro sbilanciamento dell’istituto verso l’assistenza, come attesta la “semplificazione” delle previste condizionalità imposta dall’emer­genza epidemiologica, sono gli esiti di netta cesura tra reddito e lavoro che la [continua ..]


NOTE