Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Sospensione dei termini e decadenza: l'impugnazione del licenziamento nella disciplina emergenziale (di Gennaro Ilias Vigliotti, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro e Docente a contratto – Università degli Studi del Molise)


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Tribunale di Milano, Sez. lav., 14 ottobre 2020, n. 1638 – Giud. Chiara Colosimo

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La sospensione eccezionale dei termini dei procedimenti civili e penali disposta dall’art. 83, comma 2, d.l. n. 18/2020 (c.d. “Cura Italia”) si applica anche ai termini di impugnazione stragiudiziale e giudiziale del licenziamento previsti dall’art. 6, legge n. 604/1966 in ragione della ratio sottesa alle regole emergenziali, volte ad evitare ogni possibile pregiudizio all’esercizio dei diritti in sede giurisdizionale durante la pandemia da Covid-19.

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SOMMARIO:

1. Il caso concreto - 2. Licenziamento e decadenza - 3. I termini di impugnazione del recesso - 4. La sospensione emergenziale dei termini di decadenza - 5. L’interpretazione delle disposizioni sospensive secondo la dottrina - 6. La tesi estensiva accolta dal Tribunale di Milano - 7. Conclusioni - NOTE


1. Il caso concreto

La controversia esaminata dal Tribunale di Milano prende avvio dal ricorso presentato da un socio lavoratore di una Cooperativa di servizi di pulizia, facchinaggio e movimentazione merci avverso il licenziamento per giusta causa comminatogli per assenza ingiustificata. L’atto di recesso era stato consegnato al dipendente il gior­no 18 febbraio 2020, con lettera che conteneva anche il provvedimento di esclusione dalla compagine societaria. L’atto stragiudiziale di impugnazione del licenziamento, invece, era stato comunicato al datore di lavoro in data 19 giugno 2020, tramite missiva dei legali del lavoratore, muniti di regolare mandato. Il ricorso giurisdizionale, poi, era stato depositato in cancelleria pochi giorni dopo, il 22 giugno 2020. Nelle proprie difese, la società convenuta aveva articolato una eccezione di tardività dell’impugnazione stragiudiziale, avvenuta a suo dire ben oltre il termine di 60 giorni previsto, a pena di decadenza, dall’art. 6, comma 1, legge n. 604/1966. Secondo la Cooperativa, inoltre, il successivo deposito del ricorso giurisdizionale entro il termine di 180 giorni dalla lettera di recesso non poteva valere a sanare il mancato rispetto del termine stragiudiziale dei 60 giorni. Il ricorrente, in replica alle eccezioni di controparte, deduceva che il termine stragiudiziale sarebbe stato sospeso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 in funzione del disposto dell’art. 83, comma 2, d.l. n. 18/2020 e dell’art. 36, comma 1, d.l. n. 23/2020. Con tali norme, il legislatore aveva disposto, nell’ottica di concentrare ogni risorsa nella lotta al diffondersi della pandemia da Covid-19, il blocco del decorso di tutti i termini connessi agli atti dei procedimenti civili e penali, all’interno dei quali sarebbero da includere anche quelli previsti per l’impugnazione del recesso. Il Tribunale, dopo aver analizzato l’istituto della decadenza dall’impugnazione del licenziamento, e dopo aver ricostruito il contenuto dispositivo delle regole emer­genziali in materia di sospensione dei termini procedimentali, respingeva l’eccezio­ne articolata dalla Cooperativa. Secondo il giudice milanese, infatti, il blocco del de­corso temporale previsto dal summenzionato art. 83 deve applicarsi a tutti i termini previsti dall’art. 6, comma 1, legge n. 604/1966, incluso quello stragiudiziale di impugnazione del [continua ..]


2. Licenziamento e decadenza

L’istituto della decadenza, secondo l’opinione consolidata della dottrina civilista, consiste nella perdita di una situazione giuridica attiva per effetto del mancato compimento di un determinato atto di esercizio entro un certo termine, stabilito dalla legge, dall’autonomia negoziale o da un provvedimento amministrativo [1]. Introdotta per la prima volta nell’ordinamento interno con il codice civile del 1942, la sua disciplina generale è prevista dagli artt. 2964-2969 c.c., i quali dettano alcune regole unitarie per le varie forme decadenziali operanti nei diversi settori [2]. La funzione dell’istituto è quella di soddisfare l’esigenza di certezza delle relazioni giuridiche, realizzando un bilanciamento tra l’interesse del soggetto titolare di un diritto ad esercitarlo nei modi e nelle forme consentite dall’ordinamento e quello della sua controparte a non rimanere vincolata a tale esercizio troppo a lungo [3]. A differenza della prescrizione [4], che contempla una decorrenza variabile in quanto legata alla conoscibilità di certi eventi da parte del titolare del diritto [5], la decadenza è tradizionalmente fissa, certa, di breve durata e, soprattutto, esclusa da ipotesi di interruzione o sospensione, salvi casi eccezionali indicati dalla legge (così l’art. 2964 c.c.). Anche per tali ragioni, in dottrina è stata sostenuta l’impossibilità di ricorrere all’analogia per colmare vuoti di termini decadenziali [6], mentre in giurisprudenza è stata affermata l’impossibilità di compiere operazioni interpretative di tipo estensivo, volte ad includere nell’alveo applicativo di specifiche decadenze fenomeni non espressamente contemplati [7]. Con riferimento al rapporto di lavoro subordinato, la decadenza del lavoratore dall’esercizio dei diritti è prevista per numerosi istituti, ma trova nella disciplina del licenziamento il suo campo di applicazione più rilevante [8]. L’esigenza di certezza circa la sopravvivenza della relazione di lavoro, e dunque circa la stabilità degli effetti giuridici dell’atto datoriale di recesso, ha infatti imposto al legislatore la previsione di termini perentori di esercizio dell’impugnazione del licenziamento, fissati dall’art. 6, legge n. 604/1966 [9]. Nella sua formulazione originaria, [continua ..]


3. I termini di impugnazione del recesso

La decadenza del lavoratore dal diritto di opporsi al licenziamento segue regole che solo in parte si discostano da quelle generali dettate dal codice civile. Tutti i ter­mini previsti dall’art. 6, legge n. 604/1966, infatti, sono considerati forme decadenziali di tipo sostanziale, come tali non suscettibili di sanatoria, di interruzione o di sospensione [16], neppure per incapacità o per errore del lavoratore [17], salvo casi specifici previsti espressamente dalla legge (ma solo con riferimento alla sospensione, ex art. 2964 c.c.) [18]. Sotto il profilo strutturale, dottrina [19] e giurisprudenza [20] ritengono che vi sia una stretta integrazione dei termini decadenziali previsti dall’art. 6. In particolare, la comune finalità di consentire l’esercizio del diritto di opposizione al licenziamento entro confini temporali ragionevoli contribuirebbe, anche alla luce dei recenti interventi di riforma, a delineare una fattispecie unica ed a formazione progressiva. Secondo tale impostazione, dunque, i termini dei commi 1 e 2 dell’art. 6, sarebbero in­trinsecamente connessi, ragione per cui la violazione di quello stragiudiziale rende vano il rispetto di quello giudiziale, mentre la mancanza di quest’ultimo atto interruttivo produce, per espressa previsione normativa, l’inefficacia del primo [21]. Tuttavia, anche se accomunati dalla finalità di bilanciamento tra gli opposti interessi del lavoratore e del datore, i termini decadenziali del licenziamento possono es­sere distinti sul piano formale. Essi svolgono ruoli differenti all’interno della fattispecie impugnativa dell’art. 6, ed a tale distinzione corrispondono adempimenti for­mali differenti. Il termine di 60 giorni, infatti, consente al datore di lavoro di conoscere la volontà del lavoratore di opporsi al recesso – tant’è che l’effetto interruttivo si produce nel momento in cui la comunicazione è ricevuta dal datore [22] –, mentre il termine di 180 giorni (come quello ulteriore ma eventuale di 60 giorni) serve a rendere effettiva la compressione dei tempi di impugnazione entro confini ragionevoli, prevedendo un limite massimo di avviamento dell’azione giudiziaria (o di quella conciliativa/arbitrale) [23]. Il datore di lavoro, del resto, è già a conoscenza della volontà del [continua ..]


4. La sospensione emergenziale dei termini di decadenza

Così delineati i tratti essenziali dei termini decadenziali che presiedono all’im­pugnazione del licenziamento, occorre verificare se quest’ultimi sono stati in qualche modo interessati dalla sospensione al decorso dei termini prevista, in vari momenti e con differenti provvedimenti, dalla legislazione dell’emergenza sanitaria da Covid-19. Le regole in materia di giustizia civile e penale adottate per contrastare le conseguenze della pandemia sul funzionamento dei procedimenti hanno conosciuto una evoluzione parallela a quella della diffusione del virus sul territorio nazionale. In un primo momento, complice la limitazione estensiva dell’emergenza alle sole aree territoriali del Nord-Est, il d.l. 2 marzo 2020, n. 9, all’art. 10, comma 4, ha previsto la sospensione, dal 22 febbraio al 31 marzo 2020, del «decorso dei termini perentori, legali e convenzionali, sostanziali e processuali, comportanti prescrizioni e decadenze da qualsiasi diritto, azione ed eccezione, nonché dei termini per gli adempimenti contrattuali» per tutti i soggetti residenti o con sede legale nei comuni inclusi nell’allegato 1 del d.P.C.M. 1° marzo 2020 [46]. Si tratta di una sospensione totale di ogni termine decadenziale (non solo di quelli processuali ma anche di quelli sostanziali), adottata dal legislatore per una zona geografica limitata (quella più colpita nella primissima fase dell’emergenza) e rispetto alla quale non ci sono dubbi di applicabilità alle decadenze contemplate nell’art. 6 della legge n. 604/1966 [47]. Il successivo d.l. 8 marzo 2020, n. 11 – questa volta applicabile a tutto il territorio nazionale – non ha confermato il blocco contemplato dal precedente d.l. n. 9/2020, prevedendo norme più restrittive. L’art. 1, comma 2, del provvedimento in questione, infatti, ha disposto la sospensione, dal 9 al 22 marzo 2020, dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili, penali, tributari ed amministrativi già pendenti presso gli uffici giudiziari e, all’art. 2, comma 3, la sospensione, dal 23 marzo al 31 maggio 2020, della «decorrenza dei termini di prescrizione e decadenza» dei diritti che possono essere esercitati esclusivamente mediante il compimento delle attività processuali precluse dai provvedimenti organizzativi adottati dai capi degli uffici giudiziari in conseguenza [continua ..]


5. L’interpretazione delle disposizioni sospensive secondo la dottrina

Le norme emergenziali in materia di sospensione dei termini decadenziali non consentono di individuare con certezza la disciplina applicabile alle decadenze contemplate dall’art. 6, legge n. 604/1966. Come si è detto nel paragrafo precedente, le disposizioni introdotte nel corso del 2020, se si eccettua il testo dell’art. 10, comma 4, d.l. n. 9/2020 (la cui applicazione è però rimasta circoscritta sia geograficamente che temporalmente), non hanno mai espressamente disposto il blocco generalizzato della decorrenza delle decadenze sostanziali, come quelle che presiedono all’im­pugnazione del licenziamento. Il legislatore dell’emergenza, infatti, si riferisce per lo più ai termini di natura «procedurale», ed anche quando contempla le decadenze sostanziali, ne blocca la decorrenza al ricorrere di uno specifico requisito, costituito dalla preclusione dell’atto interruttivo da parte di un provvedimento dell’ufficio giudiziario competente. Al riguardo, una parte della dottrina si è espressa nel senso di escludere la sospensione dei termini decadenziali previsti dall’art. 6. Ciò perché, innanzitutto, la norma contenuta nell’art. 83, comma 2, d.l. n. 18/2020, si riferirebbe espressamente ai termini dei «procedimenti civili» ed in generale a tutti i termini «procedurali», con la conseguenza di escludere sia il termine stragiudiziale che quelli giudiziali contemplati per l’impugnazione del licenziamento [52]. Il primo, infatti, non è in alcun modo connesso con adempimenti di tipo procedurale/processuale, potendo essere interrotto con un qualsiasi atto scritto, anche inviato per il tramite dell’organizza­zione sindacale [53]. Considerazione che vale, peraltro, anche per l’interruzione del termine previsto dal comma successivo tramite la comunicazione di avvio della conciliazione o dell’arbitrato, che non può essere equiparata ad un adempimento pro­cedurale. I termini giudiziali del comma 2 dell’art. 6, poi, pur essendo contraddistinti da un adempimento a carattere processuale, ossia il deposito del ricorso giudiziario, sono pur sempre termini di natura sostanziale, posti a presidio dell’esercizio di un diritto sostanziale (quello di opporsi al licenziamento). Essi, dunque, non potrebbero essere inclusi, all’interno della categoria dei termini [continua ..]


6. La tesi estensiva accolta dal Tribunale di Milano

Al medesimo risultato di estendere l’art. 83, comma 2, d.l. n. 18/2020 a tutte le decadenze del licenziamento, seppur con argomentazioni molto diverse, giunge anche la sentenza del Tribunale di Milano che qui si annota. Il Giudice parte dall’affermazione per cui il termine decadenziale di 180 giorni contemplato al comma 2 dell’art. 6, in quanto correlato al compimento di un atto processuale, sarebbe senza dubbio da annoverare tra i termini sospesi dalla normativa emergenziale. Ciò perché, pur essendo previsto da una norma di natura sostanziale, esso consisterebbe in «una fattispecie in cui l’atto processuale si pone – per espressa previsione normativa – quale unico ed indefettibile strumento idoneo a impedire la decadenza». Quando l’art. 83, comma 2, ha sospeso i termini per il com­pimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, tra cui espressamente è annoverato l’atto introduttivo del giudizio, esso non poteva che riferirsi anche al­l’atto genetico del rapporto processuale previsto dal comma 2 dell’art. 6. La sospensione è estesa dal Tribunale anche alla decadenza stragiudiziale prevista dal comma 1. Il Giudice muove dalla «strutturale concatenazione dei termini regolati dall’art. 6 Legge 604/1966 che, in una prospettiva funzionale, risultano intrinsecamente connessi […]. Si tratta, in sostanza, di un’unica fattispecie impugnatoria a formazione progressiva e, in una fattispecie così delineata, non pare ammissibile scindere due passaggi che costituiscono adempimento di un unico onere – per quanto a struttura complessa – separandone la relativa regolamentazione legale. Le vicende dell’uno sono ontologicamente correlate alle vicende dell’altro». Nell’affermare l’estensione del disposto dell’art. 83, comma 2, d.l. n. 18/2020 anche alla decadenza stragiudiziale, il Tribunale prende in considerazione l’opinio­ne dottrinale che ne esclude la sospensione in ragione della natura non giudiziale dell’adempimento richiesto dall’ordinamento e della impossibilità di ammettere interpretazioni estensive di disposizioni a carattere eccezionale, come quelle emanate in tempo d’emergenza. Secondo il giudice di merito, tuttavia, un «approccio di stretta interpretazione […] pare collidere con la necessità di [continua ..]


7. Conclusioni

La scelta del Tribunale di Milano di ritenere sospesi entrambi i termini previsti per l’impugnazione del licenziamento si presta ad alcune considerazioni critiche. Con riferimento alla sospensione del termine giudiziale previsto al comma 2 dell’art. 6, la sentenza afferma che il deposito del ricorso contro il licenziamento co­stituirebbe, per espressa previsione normativa, l’unico ed indefettibile strumento messo a disposizione del lavoratore per impedire la decadenza e dare seguito all’op­posizione al licenziamento. Per tale ragione, tra i termini procedurali sospesi dalla disciplina emergenziale non potrebbe che figurare anche quello di 180 giorni previsto per introdurre il giudizio avverso l’atto di recesso datoriale. Tale conclusione può essere condivisa, anche se l’inclusione del termine di 180 giorni tra quelli sospesi dalla disciplina dell’emergenza sembra legittimata – più che dalla lettura accolta dal Giudice milanese –, dal tenore dell’art. 83, comma 2, del d.l. n. 18/2020. Tale norma, infatti, cita espressamente «i termini per la proposizione dell’atto introduttivo del giudizio», formula che può riferirsi, come da qualcuno è stato già sostenuto [66], anche al termine di 180 giorni del comma 2 dell’art. 6, poiché caratterizzato da un atto interruttivo che introduce un giudizio. Sarebbe irragionevole, del resto, sostenere che l’art. 83 in questione, nel disporre il blocco temporaneo di tutti i termini processuali per la proposizione degli atti introduttivi, non incida anche su quei termini che, pur connessi all’esercizio di un diritto sostanziale, possono essere interrotti proprio tramite la proposizione di una domanda giudiziale [67]. Ciò tanto più che, come si è visto sopra, durante il periodo emergenziale risultano sospesi i termini per il compimento, in sede amministrativa, dell’altro adempimento alternativo che il lavoratore può utilizzare per interrompere la decadenza del comma 2 dell’art. 6, ossia il tentativo di conciliazione. La mancata sospensione del termine dei 180 giorni, dunque, costringerebbe il lavoratore che intende godere del blocco ad attivare la procedura di conciliazione, l’unica in grado di determinare l’effetto sospensivo in questione. Ciò, però, appare contrario alla ratio della disciplina [continua ..]


NOTE