Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Così etero-organizzato da essere etero-diretto (di Paolo Iervolino, Dottorando di ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”)


Nonostante gli inviti della Corte di Cassazione ad avere interpretazioni non restrittive dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, le collaborazioni organizzate dal committente sembrerebbero non essere utilizzate dai giudici di merito quale strumento anti-elusivo della subordinazione. Le ragioni di questa diffidenza sarebbero da ricondurre al riferimento ai tempi e luoghi della prestazione, eliminato dalla legge n. 101/2019, ma ancora impresso nei ragionamenti della giurisprudenza, la quale predilige ancora un approccio di tipo qualificatorio anziché rimediale.

So much hetero-organized to be hetero-directed

Despite the Supreme Court invitations to have non-restrictive interpretations of art. 2, legislative decree n. 81/2015, the collaborations hetero-organized by the client would seem not to be used by the judges as an anti-elusive subordination instrument. The reasons for this mistrust are the reference to the times and places of the service, that even if are eliminated by law no. 101/2019, are still imprinted in the reasoning of the jurisprudence, which still pre-diliges a qualifying rather than remedial approach.

SOMMARIO:

1. La gig economy e l’Italia - 2. La collaborazione etero-organizzata ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015, post 2015 - 3. Norma di disciplina o norma di fattispecie? - 4. La collaborazione etero-organizzata ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015, post 2019 - 5. Dubbi sul quantum dell’etero-organizzazione - 6. Indici sussidiari, costitutivi e negativi - 7. Conclusioni - NOTE


1. La gig economy e l’Italia

Diventata nel corso degli anni un fenomeno globale [1], nel nostro Paese dapprima in punta di piedi [2] e poi recentemente con effetti dirompenti [3], la gig economy [4]– nuova frontiera dell’economia on demand [5], talora confusa con il suo antenato, la sharing economy [6] – si è affacciata sul mercato del lavoro italiano dando inizio ad un vero e proprio processo di digitalizzazione non solo del diritto del lavoro [7], ma anche e soprattutto della vita delle persone in generale [8]. Non bisogna però, come spesso si tende a fare, demonizzare il concetto di «economia dei lavoretti» [9], poiché questa altro non è che una fisiologica trasformazione del contesto organizzativo determinata dalla Industry 4.0 [10]. Il processo evolutivo che ha portato alla nascita di questo nuovo modo di fare impresa ha acquisito velocità negli anni della crisi finanziaria negli Stati Uniti, periodo storico in cui «più l’economia reale andava giù, più la nuvola delle nuove parole si levava in cielo» [11]. In Italia ci è voluto però un po’ più di tempo rispetto agli altri Paesi, poiché questo nuovo modo di lavorare non reinventa solo la prestazione [12], ma anche i tradizionali processi manageriali, da sempre incentrati su una supervisione diretta, in un’ot­tica di responsabilizzazione individuale: se i processi di comunicazione non sono più basati sul classico “face to face”, ma tramite scambi tecnologici, allora il team working non è più fisico ma virtuale e viene gestito tramite un’app [13]. Quando si parla di gig economy infatti il rimando immediato che viene da fare è alle app, il sistema informatico per eccellenza che negli ultimi anni sta sempre più semplificando le vite di tutti i giorni. È attraverso le app che i clienti richiedono un determinato “lavoretto” presso la propria abitazione, senza dover far altro che utilizzare il proprio smartphone. Tuttavia l’app in sé non è suscettibile di tutela giuridica e pur tenuto conto della questione giuridiche derivanti dal suo utilizzo, questa può essere al momento considerata solo per quello che è: un software che [continua ..]


2. La collaborazione etero-organizzata ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015, post 2015

La legge delega n. 183/2014 aveva come obiettivo iniziale il “superamento” [24] delle collaborazioni coordinate e continuative, prevedendo accanto ad un accentramento del lavoro subordinato a tempo indeterminato, anche la prospettiva di un intervento semplificato sul lavoro autonomo: «A far data dal 1° gennaio 2016 si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro». La definizione normativa, come è noto, non ha certo aiutato a qualificare le nuove collaborazioni, limitandosi la chiarezza dell’intervento all’abrogazione del lavoro a progetto e dell’associazione in partecipazione con apporto di lavoro. Senza addentrarsi nel merito delle varie interpretazioni [25] dell’art. 2 basti rilevare in questa sede che la dottrina non era (e non è tuttora) concorde sul significato da attribuire alla locuzione collaborazioni organizzate dal committente: sostanzialmente, da un lato, v’è chi le considera come rapporto di lavoro autonomo [26], che però non individua una nuova fattispecie [27]; per altri, trattandosi di una “norma apparente” [28] speculare all’art. 2094 c.c. incide sulla nozione di subordinazione [29] ovvero positivizza una serie di indici sussidiari, come il luogo e il tempo di lavoro, già accolti dalla giurisprudenza per stabilire la natura subordinata del rapporto di lavoro [30]. E sebbene la dottrina si sia prodigata a «dare un senso ad una norma che un senso non ce l’ha, né voleva avercelo, la giurisprudenza l’ha completamente snobbata nei tre anni trascorsi. Così come l’hanno sostanzialmente snobbata gli avvocati dei lavoratori che non hanno certo creduto che nell’art. 2, D.lgs. 81/2015 si annidasse una nuova causa petendi idonea a sostituire quella di cui all’abrogato art. 69, primo comma, D.lgs. 276/2003» [31]. Tutto ciò, restando alla teoria dei principi, fino a quando alcuni riders di Torino hanno convenuto in giudizio la nota azienda Foodora chiedendo l’accertamento della costituzione tra le parti di un ordinario [continua ..]


3. Norma di disciplina o norma di fattispecie?

In sostanza, la Suprema Corte – circoscritto l’ambito d’intervento circoscritto al solo profilo della legittimità della pronuncia del precedente grado [40] – nonostante concordi nel fatto che l’autonomia dei riders sia riferibile unicamente alla fase genetica del rapporto – stante la facoltà di poter decidere se e quando obbligarsi, a differenza della fase funzionale che richiede per l’applicabilità della disciplina del rapporto di lavoro subordinato quale requisito indispensabile la etero-organizzazione della prestazione – ritiene che l’art. 2 sia una norma di disciplina e non di fattispecie. Vale sottolineare il carattere tutto sommato rimediale della sentenza n. 1663/2020 [41] espressamente rilevato dal fatto che «non ha decisivo senso interrogarsi se tali forme di collaborazione» siano qualificabili «nel campo della subordinazione o del­l’autonomia, perché ciò che conta è che per esse, in una terra di mezzo dai confini labili, l’ordinamento ha statuito espressamente l’applicazione delle norme sul lavoro subordinato, disegnando una norma di disciplina» [42]. Anche se forse a ben vedere proprio questa ricostruzione della Corte pare poter evocare un approccio di tipo qualificatorio dell’art. 2, tenuto conto che la fase funzionale (dato che non rileva il nomen iuris scelto dalle parti [43]) non può essere in alcun modo differente dalla fase genetica, poiché ogni contratto di lavoro si qualifica in base alle modalità di esecuzione della prestazione e non viceversa, rischiando altrimenti di disporre degli effetti del contratto. E dato che la natura della prestazione identifica interamente il contratto originariamente stipulato, ove nella fase funzionale le parti pongano in essere una prestazione differente da quella prestabilita al momento genetico del contratto, quella diversa modalità sarebbe sufficiente a riqualificare il rapporto di lavoro inizialmente pattuito [44]. Tutto ciò sembrerebbe allora funzionale alla riflessione di attenta dottrina per cui «l’aver qualificato la disposizione del primo comma dell’art. 2 del d.lgs. n. 81 del 2015 come una “norma di disciplina” nemmeno ha un senso logico, prima ancora che giuridico» [45]; un cambiamento [continua ..]


4. La collaborazione etero-organizzata ex art. 2, d.lgs. n. 81/2015, post 2019

Prima della menzionata sentenza della Corte di Cassazione in merito alle tutele dei riders poc’anzi riassunte nella vicenda che li ha visti coinvolti, interveniva legge 2 novembre 2019, n. 128, la quale ha convertito, con alcune rilevanti modifiche, il decreto n. 101/2019 recante ad oggetto “Disposizioni urgenti per la tutela del lavoro e per la risoluzione di crisi aziendali” [50]. L’intervento normativo tuttavia, anziché riscrivere in toto la formulazione dell’art. 2, comma 1, d.lgs. n. 81/2015, ha lasciato intatto il carico problematico delle collaborazioni organizzate dal committente [51]. La Legge, infatti, introducendo specifiche tutele per i riders, ha novellato l’art. 2: in specie, le nuove collaborazioni organizzate dal committente sono diventate così da “esclusivamente” a “prevalentemente personali”, è stato eliminato l’inciso “an­che con riferimento ai tempi e ai luoghi” ed è stato specificato che le modalità di esecuzione possono essere “organizzate mediante piattaforme anche digitali” cosicché «si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. Le disposizioni di cui al presente comma si applicano anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali». Non sono tardati ad arrivare i primi commenti a caldo in merito alle modifiche, tra chi ha sostenuto che le modifiche introdotte fossero significative, poiché funzionali a confermare l’interpretazione delle collaborazioni organizzate dal committente della Corte d’Appello di Torino [52] ovvero chi ha ritenuto che le modifiche non offrissero alcun apprezzabile contributo ulteriore all’individuazione della nuova fattispecie, poiché una prestazione prevalentemente personale ricomprende sempre al proprio interno una prestazione esclusivamente personale [53]. Invero nonostante la sentenza n. 1663/2020 abbia premesso che «Le modifiche alla disciplina in discorso non hanno carattere retroattivo, per cui alla fattispecie in esame deve applicarsi il suddetto articolo 2 nel testo previgente al [continua ..]


5. Dubbi sul quantum dell’etero-organizzazione

Sopprimendo la determinazione dei tempi e dei luoghi della prestazione di lavoro, il nuovo art. 2, d.lgs. n. 81/2015 si riferisce ad una collaborazione “semplicemente” etero-organizzata dal committente. Su questo piano, ciò che non era stato minimamente analizzato dalla Corte d’Ap­pello di Torino riguardo al termine “anche” [57], viene lapidariamente analizzato dalla Suprema Corte al punto 35 della sentenza n. 1663/2020 come parola «che assume valore esemplificativo». Appare allora evidente in questo caso come lo ius superveniens abbia notevolmente influenzato la sentenza della Corte di Cassazione n. 1663/2020, la quale – vi­sta l’eliminazione dell’enunciato – considera la congiunzione “anche” come un ter­mine che assume semplice valore chiarificatore dell’etero-organizzazione [58], risolvendo così in poche parole l’ampia riflessione sollevata dalla dottrina sul punto [59]. La Corte di Cassazione ha dunque “salvato” retroattivamente il legislatore, cercando di interpretare la ratio legis di una norma che [60], letteralmente parlando, applicava (senza riqualificare) la disciplina del rapporto di lavoro subordinato a fattispecie in cui il committente non solo organizzava la modalità di esecuzione della prestazione in ragione del risultato caratterizzante l’impresa, ma predeterminava altresì di volta in volta “anche” i tempi ed i luoghi di lavoro del riders. Solo per mezzo della riformulazione operata dal d.l. n. 101/2019, il legislatore sembrerebbe aver preso contezza dei limiti della precedente formulazione: quest’ul­tima dapprima ristretta alle sole ipotesi in cui il committente non solo etero-organiz­za la prestazione, ma predetermina anche i tempi e i luoghi della stessa, oggi appare estesa amplia tout court anche a quelle “semplici” ipotesi in cui il committente si “limiti” ad etero-organizzare la prestazione secondo le proprie esigenze [61]. Al tempo stesso, l’estensione effettiva del campo di applicazione della novella (e perciò delle tutele) dipende dagli “incerti” confini della locuzione “etero-organiz­zazione del committente”, comunque distinta – sul piano qualificatorio – dalla “etero-direzione [continua ..]


6. Indici sussidiari, costitutivi e negativi

Qualora invece i giudici iniziassero a preferire l’applicazione dell’art. 2 alla piena riqualificazione del rapporto, la nuova disciplina nasconderebbe poi l’ulteriore rischio di carattere interpretativo in merito agli indici “sussidiari”, i quali potrebbero diventare da un lato, indici “determinanti” l’esclusione della stessa subordinazione e dall’altro, “costitutivi” della nuova parasubordinazione. Non è nemmeno questa la sede più opportuna per ripercorrere l’ampio dibattito giurisprudenziale [88] e dottrinale [89] riguardo agli indici della subordinazione, ma basti porre in evidenza che per evitare la dissimulazione di rapporti sostanzialmente subordinati, nel corso del tempo – come preannunciato – si è cercato di individuare dei criteri di supporto all’individuazione del vincolo di cui all’art. 2094 c.c. Detti criteri hanno tuttavia carattere sussidiario e funzione meramente indiziaria della subordinazione. La novella legislativa oggetto di analisi deve indurre dunque ad una ulteriore e subordinata rimeditazione. Invero, si può verosimilmente ipotizzare che una volta accertata la natura etero-organizzata della prestazione lavorativa, la giurisprudenza potrebbe trovare nelle tutele dell’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 un approdo per non riqualificare pienamente i rapporti di lavoro, “accontentandosi” di una via di mezzo tra autonomia e subordinazione anche per quelle collaborazioni in cui, per la sola assenza di elementi (ad oggi) sussidiari, non sia possibile riqualificare il contratto. Ed un tale esito avrebbe effetti ancor più gravi qualora il quantum organizzativo fosse eccessivo (ovvero ricomprendesse “anche” la predeterminazione spazio-temporale della prestazione), poiché – come evidenziato nel precedente paragrafo – gli indici sintomatici della subordinazione “tempi e luoghi” diverrebbero requisiti elementi costitutivi dell’art. 2 [90]. A questa stessa conclusione sembrava essere pervenuta proprio la sentenza sui riders. Come anzidetto, la decisione ha negato la riqualificazione del rapporto di la­voro poiché i ciclofattorini avevano (apparentemente) il potere di decidere se rendere o meno la prestazione lavorativa [91], nonostante la penetrante ingerenza della [continua ..]


7. Conclusioni

All’esito dei ragionamenti e dei richiami brevemente svolti, si può affermare che l’intervento del 2015 rappresenti una partenza importante nella “lotta” all’elusione della subordinazione [101], poiché non v’è etero-direzione senza etero-organizzazione, ma vi può essere etero-organizzazione senza etero-direzione. Era talora una forzatura ricondurre una fattispecie (che si pone all’interno della zona) grigia, all’esito del giudizio, nell’àut-àut della zona bianca o nera (autonomia o subordinazione). Esistono infatti alcune sfumature che il legislatore sembra finalmente aver preso in considerazione, soprattutto oggi alla luce delle modifiche apportate dal d.l. n. 101/2019. Prima delle collaborazioni organizzate dal committente ogni azione era dunque un “all or nothing” [102] in cui si richiedeva la conversione del rapporto di lavoro ai sensi dell’art. 69, d.lgs. n. 276/2003 e/o ai sensi dell’art. 2094 c.c., ma qualora il giudice non avesse accertato la sussistenza (o insussistenza) di tutti gli elementi richiesti dagli articoli, avrebbe rigettato il ricorso dichiarando la natura autonoma del contratto, pur in presenza (magari) di quell’elevato grado di ingerenza del committente nella modalità di esecuzione della prestazione oggi conosciuto con il nome etero-organizzazione. Il collaboratore ha dunque oggi minor timore nell’avvio del contenzioso poiché, nella peggiore delle ipotesi, accederà alle tutele di cui all’art. 2. Resta però il rischio di un “disallineamento” delle varie interpretazioni con il pericolo di continuare a forzare il significato dell’art. 2, applicando le tutele del rapporto di lavoro subordinato a quelle collaborazioni che prima del 2015 avrebbero potuto già beneficiare della piena riqualificazione del rapporto [103].


NOTE