Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

indietro

stampa articolo indice fascicolo leggi articolo leggi fascicolo


La perdita di chances fra diritto civile e diritto del lavoro * (di Bruno Tassone , Professore associato di Diritto privato – Università degli Studi di Roma “Universitas Mercatorum”)


Il saggio esamina il modo in cui la chance si è sviluppata nell’elaborazione civilistica e giuslavoristica mettendo in evidenza le relative similitudini e le (spesso sottovalutate) differenze, nonché il rilievo che può avere la definizione del contesto in cui la misura risarcitoria si colloca, considerando anche l’elaborazione amministrativistica. Una particolare attenzione è dunque dedicata al settore delle procedure di selezione (maggiormente approfondito dalla dottrina giuslavoristica), aggiungendo vari riferimenti al dibattitto sulla possibile inversione dell’onere della prova del nesso di causa nella responsabilità contrattuale (di recente sorto in quella civilistica). Infine, vengono prese in esame le diverse tecniche di liquidazione utilizzate per risarcire la perdita di chances, di carattere in realtà più variegato di quanto la dottrina non faccia emergere. Le conclusioni che nascono dal confronto frale due aree del sistema consentono allora di delineare un più ampio quadro per ricostruire la chance e orientarne l’applicazione, gettando le basi per stimolare il dialogo fra la dottrina lavoristica e privatistica.

Loss of chance between private and labour law

The essay examines the way the loss of chance doctrine (“LOC”) has been developed in the Italian labour and private law, highlighting their similarities and (the often underestimated) differences. Therefore, the paper focuses on the importance of defining the context where compensation of damages is implemented, also with a reference to the administrative law. Specific attention is paid to the case-law regarding situations that had employees deprived of a possibility to achieve a career progress (analysed in-depth in labour law literature). Alongside with it, the article mentions the possible inversion of the burden of proof on causation in the field of contractual liability (recently discussed in the private law literature). Eventually, the paper defines various techniques adopted by Courts in order to assess the damage related to LOC. The conclusions outline a broader framework fit for fostering the understanding of the doctrine and orienting its application, together with the mutual benefits arising from the dialogue between the labour and private law scholarship.

SOMMARIO:

1. Introduzione - 2. Uno sguardo di insieme - 3. Il settore delle procedure di selezione - 4. Responsabilità contrattuale e inversione dell’onere della prova del nesso - 5. La perdita di chances in controluce: le tecniche di liquidazione - 6. Alcune conclusioni - NOTE


1. Introduzione

È noto che la perdita di chances ha avuto ingresso nell’ordinamento italiano a seguito di una sentenza pronunciata dalla Sezione Lavoro della Cassazione verso la metà degli anni ’80 in tema di procedure di selezione, la quale ha peraltro dato avvio al dibattito sulla sua configurazione quale mera aspettativa di fatto o situazione protetta [1]. Dopo tale momento la figura ha conquistato una serie di altre aree, fra cui quella delle gare pubbliche di cui si occupa la giurisprudenza amministrativa e, quasi contestualmente, quella della responsabilità medica [2]. Ancor prima le applicazioni in altri settori propriamente civilistici hanno riguardato la responsabilità professionale (ad esempio dell’avvocato, del commercialista o del notaio) e, nel tempo, si è sviluppata sulla chance una casistica assai estesa [3]. Non a caso la Suprema Corte ha di recente sentito l’esigenza di compiere un’opera di “razionalizzazione”, completata nell’ambito del c.d. “progetto sanità” del 2019 [4]: che, di suo, potrebbe offrire utili spunti circa i fenomeni di “nomofilachia dal basso” cui non è estranea la stessa Sezione Lavoro (quando preferisce evitare la rimessione alle Sezioni Unite di questioni di massima) [5]. Lasciando da parte tale ultimo aspetto, un complessivo sguardo all’elaborazione in materia fa emergere come la dottrina civilistica richiami spesso dati tratti dalla giurisprudenza giuslavoristica, ritenendola in modo acritico a sé “omogenea” [6]. Viene quindi da chiedersi se, rifuggendo dalla logica dei compartimenti stagni, non sia il momento di gettare un ponte fra le due esperienze, da un lato per inserire la stessa chance in un quadro ricostruttivo più ampio (fatte salve, ovviamente, le pe­culiarità e la autonomia del diritto del lavoro), dall’altro lato per porre i presupposti per un confronto reciprocamente arricchente. Volendo subito fare un paio di esempi, sembra che al dibattito giuslavoristico sia rimasto estraneo quello civilistico sulla possibile inversione dell’onere della prova del nesso di causa nella responsabilità contrattuale (il quale interessa non poco la configurazione della chance), così come il secondo non si è interessato più di tanto all’approfondimento compiuto in [continua ..]


2. Uno sguardo di insieme

Un attento esame della giurisprudenza giuslavoristica dimostra agevolmente che molte delle sentenze rese in materia di chance riguardano situazioni in cui un lavoratore viene privato dei benefici che gli sarebbero potuti derivare dal superamento di una procedura di selezione (intesa in senso ampio, cioè come esame, concorso, prova, vaglio per avanzamento di carriera, ecc.), sicché si delinea con nettezza di contorni una fattispecie per nulla affine a quelle solitamente trattate in sede civilistica [9]. In effetti, viene qui in considerazione la riconosciuta insindacabilità della scelta operata dalla parte datoriale in presenza di valutazioni comparative (che occupano una parte assai rilevante del contenzioso) e, dunque, di una discrezionalità i cui esiti non è dato al giudice di mettere in discussione o, comunque, l’impossibilità pratica di verificare quale sarebbe stato il risultato di quelle valutazioni, ove corrette. Pertanto, il decisum si deve assai spesso arrestare alla considerazione per cui l’attore ha perso una (mera) possibilità di conseguire un risultato utile, alla quale in rarissimi casi un diverso percorso probatorio avrebbe potuto dare una vera consistenza. Con riserva di riprendere fra un attimo il profilo in esame, è inoltre agevole immaginare che si diano situazioni in cui la procedura non è stata mai effettuata e, dunque, che solo con la macchina del tempo la si potrebbe far svolgere al prestatore d’opera (per giunta) in posizione sincronica con gli altri concorrenti. E quando essa è stata invece effettuata, come si diceva, il tipo di sindacato affidato al giudice si ferma in linea di massima – in fatto o in diritto – alla recezione dei risultati cui il datore è pervenuto nell’operare la propria valutazione. La chance diventa dunque una scelta obbligata. È peraltro evidente che, come pure anticipato, la “struttura” della fattispecie fa pensare subito all’utilità di un’indagine rivolta anche all’esperienza amministrativistica, che non a caso tende innanzi tutto a proporre il binomio attività discrezionale/chance per tentare una prima actio finium regundorum rispetto all’area del risarcimento del danno ordinariamente inteso [10]. Proprio rispetto al dialogo che si vuole avviare con la dottrina [continua ..]


3. Il settore delle procedure di selezione

Fin da suo debutto nel nostro sistema la chance postula la differenza fra il danno da mancata partecipazione a un concorso e il danno da mancata promozione al­l’esito del medesimo: salvo notare, come si comproverà nel prosieguo, che la prima ipotesi è di ricorrenza limitata [33]. Premesso che qui gioca un ruolo assai importante la clausola generale di correttezza e buona fede – sempre più utilizzata come mezzo per sindacare (in vari modi) l’autonomia dei privati –, è abbastanza ovvio che il datore debba uniformare il proprio comportamento a parametri di trasparenza, imparzialità e obiettività. Lo stesso è infatti gravato ex ante da un obbligo di predeterminazione dei criteri, in corso d’opera da un obbligo (fra gli altri) di procedere a valutazioni effettive ed ex post da un obbligo di motivazione e formazione di graduatorie, anche quando ciò non è previsto dalla contrattazione collettiva [34]: sicché la perdita di chances può derivare anche solo dal fatto che il lavoratore non è messo in grado di conoscere le ragioni dell’esclusione [35]. La centralità della motivazione, del resto, emerge anche dall’orientamento per cui il datore non è obbligato ad attenersi agli esiti della valutazione dei dipendenti nemmeno ove essa sia affidata a un soggetto estraneo all’azienda (salvo non si sia a ciò vincolato), avendo tuttavia e sempre l’obbligo di spiegare le ragioni per le quali intende discostarsi dai risultati cui il terzo stesso è pervenuto, a prescindere dalla predeterminazione o no dei criteri di valutazione [36]. Premesso che – il dato non è di poca rilevanza – il discorso vale anche per il pubblico impiego e che da tempo è abbandonato l’indirizzo che attribuiva alla supremazia dell’imprenditore profili accostabili a quelli propri dell’esercizio della funzione amministrativa, sì da consentire l’esercizio delle azioni risarcitorie di cui qui si discorre, rimane fermo il riconoscimento della sua discrezionalità [37]: la quale è sottratta al controllo del giudice con i soli limiti costituiti dal rispetto dei citati canoni di comportamento, in una con i criteri di non manifesta inadeguatezza e irragionevolezza delle determinazioni [continua ..]


4. Responsabilità contrattuale e inversione dell’onere della prova del nesso

Un complessivo esame della giurisprudenza giuslavoristica induce a sottolineare che in essa non ha trovato alcuna risonanza la regola ricondotta a Cass., Sez. Un., n. 577/2008, secondo cui sarebbe il convenuto, per andare esente da responsabilità, a dover dimostrare l’assenza del nesso e non l’attore a dover provare la sua sussistenza, per via della natura contrattuale della responsabilità [53]: se si vuole a riprova della naturale refrattarietà dei giudici a recepire una regola altamente discutibile e che anche una decisione delle Sezioni Unite successiva al 2008, resa nel contesto giuslavoristico, ha espressamente smentito [54]. Limitandoci a pochi accenni, la dottrina aveva dedicato scarsa attenzione alle ricadute della decisione (con alcune eccezioni), mentre la giurisprudenza aveva perlopiù preferito la regola tradizionale [55]. Tuttavia, le cose cambiano quando, a metà del 2017, la Suprema Corte affronta ex professo la questione, tentando di rileggere detto arresto in modo non disarmonico rispetto al corpus di regole elaborato dalla tradizione, nonché affermando (senza successo) che il contrasto era solo apparente [56]. E sebbene la pronuncia colga perfettamente il principale problema creato dalla regola opposta circa il trattamento della “causa ignota”, la ripartizione degli oneri che viene proposta non muta però il quadro, dacché la prima mossa “probatoriamente rilevante” spetta sempre all’attore, come peraltro ribadiscono molte pronunce successive [57]. E così la ricostruzione suggerita dalla Cassazione dà vita un dibattito via via più inteso [58]: il quale ha condotto alla presa di posizione operata nel contesto delle sentenze di San Martino 2019, le quali hanno circoscritto l’inversione dell’onere della prova del nesso alle obbligazioni di dare e fare, dichiarandola non applicabile a quelle aventi ad oggetto un facere professionale [59]. Ciò detto, sul piano teorico le due decisioni toccano una serie di snodi fondamentali della riflessione civilistica, relativi al difficile rapporto fra gli artt. 1218 e 1176 c.c., al ruolo dell’art. 2236 c.c., alla (contestata) distinzione fra obbligazioni di mezzi e di risultato [60]: nonché – come evidenziano le voci critiche – alla stessa struttura della [continua ..]


5. La perdita di chances in controluce: le tecniche di liquidazione

Rispetto alla valutazione equitativa si è in altra sede messo in luce che, se l’ana­lisi non si mantiene a livello superficiale, la sua applicazione è non di rado orientata dagli scopi attribuiti alla responsabilità civile sul piano generale o nella singola fattispecie [66]: sicché l’affermazione della sua utilizzabilità incide sulla reale configurazione della chance assai meno delle concrete tecniche usate, sotto il suo “cappello”, per liquidare il danno, le quali fanno emergere un quadro assai frammentario, a riprova della necessità di razionalizzare l’uso della figura. In specie, il confronto con l’esperienza giuslavoristica ne fa emergere almeno quattro. La prima alla quale viene naturalmente da pensare è quella della “proporzionalità matematica”: posto che nemmeno la tesi che vede nella lesione della chance un danno emergente (o quella che ristora ora la perdita di una possibilità in sé considerata) può negare il collegamento con il risultato finale, appare ragionevole che la probabilità di conseguire un beneficio o di evitare un pregiudizio sia proiettata pari passu sul quantum, sicché stimato l’uno o l’altro (poniamo) nella cifra di 1000 e la prima (poniamo) nel 60%, il danno sarà pari a 600. Per quanto possa apparire strano – il dato sembra essere sfuggito alla maggior parte degli Autori –, non sono molte le decisioni che applicano il criterio nella giurisprudenza civile, potendosi giusto menzionare (scandagliando la parte motiva e senza che se ne ritrovi evidenza nelle massime) alcune sentenze di merito in tema di ritardata diagnosi di una patologia letale [67]. Di contro, è più prolifico il settore giuslavoristico. Nel 2001 la Suprema Corte cassa la decisione che liquida nel 70% delle differenze retributive parametrate sulla superiore qualifica per un periodo di cinque anni il danno da perdita di chances lamentato da un lavoratore escluso dalla dirigenza, nonostante il “brillante superamento” della prova di idoneità finale del corso di formazione all’esito del quale altri 30 dipendenti, sui 44 idonei, erano invece stati promossi [68]. Altra pronuncia del 2006 conferma poi che l’accertamento della probabilità– sempre stimata in base “alla [continua ..]


6. Alcune conclusioni

Un noto studio di alcuni anni fa – assieme alla letteratura citata in apertura – può indurre alla sconfortante conclusione per cui la causalità certa è morta [85]. E la chance, di suo, viene sempre più criticata in quanto ritenuta il surrogato di una certezza che non si riesce a raggiungere in forza della prima [86]. Ebbene, anche il confronto con l’esperienza giuslavoristica sembra confermare che la chance non è che una tecnica per applicare un nesso in condizioni di ineliminabile incertezza sostanziale o processuale, della qual cosa occorre prendere coscienza per meglio governarla [87]. Peraltro, il contributo che detto confronto può dare non si esaurisce ai fini della pars destruens del discorso, da altri già intrapresa. In effetti, dopo aver preso atto delle criticità connesse alle varie teorie volte a ricostruire la chance in termini di danno emergente, lucro cessante o doppio elemento sia del nesso sia del danno (e altre ancora, fra cui il citato modello giurisprudenziale dominante che ora la inquadra come bene leso “più probabilmente che no” dalla condotta del convenuto), esso induce a definirla piuttosto in termini funzionali e a procedere ad una maggiore delineazione dei suoi confini (e delle sue sotto-funzio­ni), sempre indicando le ragioni di policy eventualmente idonee a giustificare la deviazione dall’ordinario modo di applicare il nesso causale. Più in particolare, proprio la considerazione della “struttura” della fattispecie nel caso delle gare può portare a individuare una delle aree tipiche della chance, perché l’attore non è in grado di provare la sussistenza del nesso senza che gli si possa muovere un qualche rimprovero sul piano degli oneri di allegazione e probatori: riprendendo un’espressione di sintesi, è solo con la macchina del tempo che si sarebbe potuto sapere come le cose sarebbero realmente andate in presenza della condotta doverosa corretta. E qui si profila peraltro la possibilità di ricostruire la chance come danno punitivo (paradossalmente) sotto-compensativo, perché concede all’attore meno di quanto egli avrebbe ottenuto secondo i canoni ordinari, ma al contempo pone sul convenuto un qualche onere invece di mandarlo esente da responsabilità, finendo – [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2020