Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Riders e lavoro in piattaforma: un problema (ir)risolto? (di Marco Mocella )


L’articolo analizza la sentenza n. 1663/2020 evidenziando come il rapporto di lavoro dei riders presenti numerose criticità solo in parte superate dalla sentenza, esaminando altresì il concetto di eterodirezione che costituisce la linea di demarcazione per l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato.

Riders and platform work: a (ir)solved problem

The article analyzes judgment n. 1663/2020 highlighting how the employment relationship of riders presents many critical issues only partially overcome by the Supreme Court, also examining the concept of heterodirection that today constitutes the dividing line for the application of the discipline of employment.

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SOMMARIO:

1. La sentenza - 2. Lavoro in piattaforma e problematiche giuslavoristiche - 3. Il problema del controllo sui riders e le discriminazioni reputazionali - NOTE


1. La sentenza

Se la vicenda dei riders di Foodora sembra trovare un definitivo assestamento nella sentenza della Cassazione n. 1663/2020, non altrettanto può dirsi della questione relativa all’inquadramento del lavoro tramite piattaforma. Certo la Suprema Corte, individuando analiticamente le modalità con cui il rapporto si è realizzato, fornisce una chiara indicazione di metodo per la sua qualificazione, evidenziando implicitamente la volontà di ricorrere al classico meccanismo tipologico per l’individuazione della subordinazione. Nel correggere le motivazioni della sentenza di Appello che, ribaltando quella di primo grado, aveva confermato l’applicabilità alla fattispecie del­l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015, sia pure nel testo applicabile ratione temporis, la stessa Corte precisa come tale norma non identifichi un “terzo genere” tra la subordinazione e le collaborazioni, mostrando di aderire all’interpretazione che inquadra l’art. 2, comma 1, in combinato disposto con l’art. 409, n. 3, c.p.c., come novellato dal­l’art. 15, legge n. 81/2017, come norma definitoria generale in materia di collaborazioni [1]. In certa misura, essa viene ricondotta ad una funzione probatoria, nel senso di costituire una sorta di facilitazione dell’onere della prova: in presenza degli elementi ivi previsti, anche se il lavoratore non riuscisse a provare l’esistenza della subordinazione, invece di ricadere nel novero delle collaborazioni di cui al 409, n. 3, c.p.c. o del lavoro autonomo, e quindi della disciplina dell’art. 47 bis ss., d.lgs. 5 giugno 2015, n. 81, si applicherà comunque quella del lavoro subordinato. Ma soprattutto la sentenza ritiene applicabile alla tipologia di cui all’art. 2 non una parte ma l’intero corpus normativo del lavoro subordinato, sebbene senza interrogarsi sulle modalità con cui ciò sarebbe possibile. Invero, la Cassazione sembra sottendere che, qualora i lavoratori avessero proposto ricorso incidentale tendente al ri­conoscimento della natura subordinata del loro rapporto, la soluzione avrebbe potuto essere diversa, ravvisandosi nella fattispecie i tipici elementi della subordinazione quali continuità, personalità, etero-organizzazione e controllo su tempo e luogo della prestazione. In ogni caso, sia che si [continua ..]


2. Lavoro in piattaforma e problematiche giuslavoristiche

Il lavoro in piattaforma, sia esso web-based, o location-based, può ricondursi alla fattispecie del lavoro a chiamata senza obbligo di risposta in una variante tecnologicamente avanzata, ovvero una subordinazione intermittente, priva naturalmente dei limiti soggettivi e oggettivi previsti da tale normativa [6]. Tale meccanismo viene regolato da algoritmi, di cui si ignorano i dettagli ma probabilmente basati su approcci deep learning, che si alimentano di dati grazie ai quali gli stessi mutano e si evolvono incessantemente in una sorta di loop tecnologico, favorito dall’aumento di potenza computazionale cui si ricollega la possibilità di immagazzinare maggiori dati, a volte creati involontariamente (storage), e un incremento delle comunicazioni delle informazioni [7]. La piattaforma potrà svolgere un ruolo attivo nell’incontro tra domanda ed offerta di lavoro, svolgendo un’attività di mediazione di manodopera, ovvero realizzare un segmento di un’attività imprenditoriale. Ciò nonostante, la difficoltà di inquadra­mento del lavoro generato da tali piattaforme è notevole, giacché anche il potere uni­laterale di dettare le condizioni contrattuali, il corrispettivo, i controlli sull’adempi­mento della prestazione, la disconnessione dalla piattaforma, non sono univocamente in grado di identificare un rapporto di lavoro subordinato ma evidenziano soltanto uno squilibrio contrattuale compatibile anche con il lavoro autonomo. Sebbene oggi la normativa garantisca anche al rider indipendente la piena libertà di rispondere o meno all’offerta di lavoro, senza doversi giustificare e senza subire valutazioni e/o sanzioni da parte della piattaforma, non può evitare il potere «di registrare l’attività dei lavoratori, la rapidità delle consegne, il numero delle stesse, i giorni e le ore di lavoro e così via, tutti dati che vengono normalmente immagazzinati e gestiti dall’algoritmo» [8]. È stato pertanto ritenuto che la nozione di etero-organizzazione accolta non determina alcuna sovrapposizione fra lavoro etero-organizzato e subordinato, neppure nella sua variante “attenuata”, in quanto l’art. 2, d.lgs. n. 81/2015 resta comunque nel­l’area del lavoro autonomo [continua ..]


3. Il problema del controllo sui riders e le discriminazioni reputazionali

Indipendentemente dalle considerazioni giuridiche innanzi svolte, non pare contestabile che i riders, e più in generale i lavoratori delle piattaforme, vivano una con­dizione di precariato estrema [16]. Il capitalismo digitale esaspera lo sfruttamento dei lavoratori coinvolti riecheggiando gli albori del diritto del lavoro [17]. Si è parlato, non a caso, di un vero e proprio caporalato digitale, ma forse sarebbe più opportuno chiedersi se, almeno in alcuni casi, la normativa sul caporalato come recentemente riformulata non possa trovare effettiva applicazione [18]. D’altra parte, paradossalmente, le piattaforme, che sono dichiaratamente intermediatrici tra lavoratori e committenti di beni e/o servizi, sfuggono alla normativa sull’interme­diazione di manodopera [19]! Ma quale soluzione può offrire il diritto del lavoro? La riconduzione drastica al lavoro subordinato proposta dal legislatore non pare in grado di arginare un fenomeno in continua evoluzione, in grado di sfuggire costantemente alle maglie giuridiche che cercano di imbrigliarlo. Occorre piuttosto affinare strumenti nuovi, possibili solo operando sinergicamente con altre discipline, per offrire tutela a questi lavoratori. Un approccio interessante può essere trovato ribaltando quello che è uno dei problemi principali dei riders, vale a dire il c.d. controllo reputazionale che, come innanzi visto, costituisce fin dal principio la ragion d’essere dell’esistenza della piattaforma, che vive e si alimenta con essa [20]. Indubbiamente, occorre evitare i rischi di discriminazione che sono effettivamente presenti e che possono riguardare proprio quei fattori protetti dalla normativa antidiscriminatoria interna ed europea [21]. Il rating reputazionale non può costituire una causa di giustificazione per le discriminazioni che esso può celare, anche se al fine di assecondare il gradimento della clientela; e indubbiamente l’impiego di uno strumento di calcolo e classificazione apparentemente neutrale è certamente in grado di operare una forma di discriminazione diretta o indiretta. D’altra parte, anche la CGUE ha chiarito che l’art. 4 della direttiva 2000/78/CE non consente deroghe basate sul desiderio dei clienti, che non può essere considerato un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento [continua ..]


NOTE
Numero straordinario - 2020