Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Responsabilità solidale negli appalti, obbligazione contributiva e termine di decadenza biennale (di Paolo Bernardo, Dottorando di ricerca in Diritto e Impresa – Università degli Studi di Roma “Luiss Guido Carli”.)


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Cassazione civile, Sez. lav., 4 settembre 2019, n. 22110 – Pres. Manna-Rel. Mancino-P.M. Celeste

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In tema di responsabilità solidale nell’appalto di opere o di servizi, il termine di decadenza di due anni previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 non è ap­plicabile all’azione promossa nei confronti del committente dagli Enti previdenziali, giacché essa è soggetta alla sola prescrizione.

SOMMARIO:

1. Il caso - 2. La responsabilità solidale del committente di cui all’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 - 3. Segue: il termine di decadenza biennale - 4. Il ragionamento della Suprema Corte - 5. Sull’unicità del regime solidale (e decadenziale): l’interpretazio­ne del dato letterale - 6. L’obbligazione contributiva del committente - 7. La distinzione tra il regime decadenziale di cui alla legge n. 1369/1960 e quello di cui al d.lgs. n. 276/2003 - NOTE


1. Il caso

Con la sentenza in commento la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’an­nosa e controversa questione relativa all’applicabilità, nei confronti degli Enti pre­videnziali, del termine di decadenza biennale previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 [1] in tema di responsabilità solidale negli appalti. La Corte d’Appello di Torino confermando la sentenza di primo grado, aveva accolto l’eccezione di decadenza ex art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, formulata dalla società committente, annullando, di conseguenza, l’avviso di addebito dell’INPS, in quanto notificato dopo il decorso di oltre due anni dalla cessazione dell’appalto [2]. Avverso la sentenza di secondo grado, l’INPS proponeva ricorso per cassazione, lamentandone l’illegittimità nella parte in cui aveva ritenuto applicabile anche all’En­te previdenziale, e non ai soli lavoratori, il termine di decadenza biennale, senza con­siderare che l’INPS, nell’esercizio dei suoi poteri d’ufficio, non potrebbe decadere. La Suprema Corte, accogliendo il ricorso dell’INPS, ha enunciato il principio di diritto in base al quale «il termine di due anni previsto dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non è applicabile all’azione promossa dagli enti previdenziali, soggetti alla sola prescrizione».


2. La responsabilità solidale del committente di cui all’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003

Prima di procedere con l’analisi del ragionamento sotteso alla decisione in com­mento, occorre soffermarsi brevemente – seguendo, peraltro, l’iter argomentativo proposto della stessa Corte di Cassazione – sulla ricostruzione, in termini giuridici, delle principali caratteristiche dell’istituto della solidarietà tra appaltante e appaltatore di cui all’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003. Tale disposizione, nella sua versione ratione temporis applicabile al caso di specie [3], prevede(va) che «in caso di appalto di opere o di servizi il committente imprenditore o datore di lavoro è obbligato in solido con l’appaltatore, nonché con ciascuno degli eventuali ulteriori subappaltatori entro il limite di due anni dalla ces­sazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali dovuti». La configurazione in capo all’appaltante di tale autonoma e specifica posizione di garanzia, risponde all’esigenza di rafforzare la tutela degli interessi (soprattutto pa­trimoniali) del lavoratore, in ragione dell’utilizzazione indiretta del lavoro altrui che caratterizza la posizione del committente nel contratto di appalto [4]. E ciò con la finalità, come affermato dalla sentenza annotata, di porre «a carico dell’imprenditore che impiega lavoratori dipendenti da altro imprenditore il rischio economico di dovere rispondere in prima persona delle eventuali omissioni di tale imprenditore» [5]. Inoltre, il legislatore vuole «indurre ogni singolo soggetto che interviene nell’o­perazione di decentramento a selezionare controparti contrattuali che offrano garanzie sufficienti di un’attenta, rigorosa, responsabile gestione dei rapporti di lavoro» onde «realizzare un decentramento virtuoso, sulla scorta della considerazione che la prima e migliore tutela per i lavoratori deriva dal fatto che il loro datore di lavoro sia serio, affidabile, ossia, in un’espressione, economicamente solido» [6]. Quindi, ai sensi della norma in analisi, «il committente è in via diretta obbligato in solido con l’appaltatore all’adempimento degli obblighi retributivi e contributivi» [7], prestando «una garanzia in favore del datore di lavoro ed a vantaggio del [continua ..]


3. Segue: il termine di decadenza biennale

Come visto, l’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, stabilisce che l’appaltante risponde, in solido con l’appaltatore, per i trattamenti retributivi e contributivi dei lavoratori di quest’ultimo, «entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto». La parte prevalente della giurisprudenza configura tale “limite” in termini di decadenza, evitabile solo attraverso l’introduzione di un giudizio [10]. La ratio sottesa all’introduzione di tale regime decadenziale va riscontrata nella finalità di «contenere il rischio di insolvenza dell’appaltatore, relativamente ai crediti di lavoro, previdenziali e contributivi, gravante sul committente, che diversamente potrebbe essere chiamato a rispondere di un debito altrui entro un termine ordinario di prescrizione dalla cessazione dell’appalto, con evidenti difficoltà di difesa in giudizio, oltre che di rivalsa nei confronti dell’obbligato in via principale» [11]. Pertanto, in un’ottica di bilanciamento con l’interesse di protezione del lavoratore, la decadenza prevista dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 risponde a un’esi­genza di certezza della posizione del committente che, essendo stato gravato di una responsabilità solidale per inadempimenti altrui, può almeno contare su una limitazione temporale dei rischi derivanti dal suo rapporto giuridico con il creditore. Ciò posto, la questione decisa dalla sentenza annotata – di «centrale importanza in ordine alla delimitazione dell’ambito di applicazione della disciplina dettata dal­l’art. 29» [12] e che «assume particolare rilievo sul piano pratico» [13] – riguarda l’ap­plicabilità del termine decadenziale di due anni dalla cessazione dell’appalto anche all’Ente previdenziale che azioni la responsabilità solidale per ottenere dal committente il pagamento dei contributi previdenziali relativi ai lavoratori dell’appaltatore. Come evidenziato in dottrina, infatti, dal punto di vista dell’obbligo contributivo, «la formulazione della norma non pare particolarmente felice nella parte in cui dispone che oggetto della solidarietà siano i contributi previdenziali e assicurativi do­vuti in favore del lavoratore» giacché [continua ..]


4. Il ragionamento della Suprema Corte

La Corte di Cassazione rileva, anzitutto, che, nell’esegesi dell’art. 29, comma 2, del d.lgs. n. 276/2003, con riferimento all’obbligazione contributiva ivi prevista in capo al committente, possono individuarsi due diverse opzioni interpretative. Da un lato, vi è l’opzione interpretativa «secondo la quale si tratterebbe di una peculiare obbligazione contributiva che, pur legittimando il solo Ente previdenziale alla pretesa – posto che il lavoratore non può certo ricevere i contributi – sia del tutto conformata alla speciale azione riconosciuta al lavoratore e, quindi, soggetta al termine di decadenza di due anni» [15]. Dall’altro lato, si pone l’opzione – cui aderisce la sentenza annotata – «ispirata a ragioni di ordine sistematico, che proprio dall’assenza, nel D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, di espresse regole relative alla pretesa contributiva ed in considerazione della diversa natura delle due obbligazioni, induce a ritenere applicabile alla fattispecie la disciplina generale dell’obbligazione contributiva che non prevede alcun termine di decadenza per l’esercizio dell’azione di accertamento dell’obbligo contributivo, soggetto solo al termine prescrizionale» [16]. Il ragionamento della Corte di Cassazione muove dalla considerazione che l’ob­bligazione contributiva prevista dalla legge [17] «è distinta ed autonoma rispetto a quella retributiva» [18], ed è indisponibile [19], essendo prevista in modo imperativo. La Suprema Corte, quindi, ritiene di dover respingere, per ragioni di ordine sistematico, «l’interpretazione (n.d.r. art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003) che comporterebbe la possibilità, addirittura prevista implicitamente dalla legge come effetto fisiologico, che alla corresponsione di una retribuzione – a seguito dell’azione tempestivamente proposta dal lavoratore – non possa seguire il soddisfacimento anche dall’obbligo contributivo solo perché l’ente previdenziale non ha azionato la propria pretesa nel termine di due anni dalla cessazione dell’appalto». Ciò in quanto «si spezzerebbe, in altri termini e senza alcuna plausibile ragione logica e giuridica apprezzabile, il nesso stretto tra retribuzione dovuta (in ipotesi addirittura effettivamente [continua ..]


5. Sull’unicità del regime solidale (e decadenziale): l’interpretazio­ne del dato letterale

Va rilevato come l’orientamento espresso dalla sentenza annotata appaia in via di consolidamento in seno alla giurisprudenza di legittimità [20]. Pur tuttavia, ad un esame più approfondito, quell’orientamento non appare del tutto convincente, in quanto non sembra aver adeguatamente esaminato diversi argomenti che sembrerebbero condurre ad una diversa conclusione. In primo luogo, la soluzione individuata dalla Corte di Cassazione suscita non poche perplessità nella parte in cui, sebbene individui nel regime di responsabilità solidale previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, la fonte dell’obbligazio­ne contributiva del committente, ritenga, poi, inapplicabile agli Enti previdenziali (titolari attivi della stessa obbligazione) il termine decadenziale ivi previsto. In realtà, analizzando il dato letterale della norma, sembrerebbe che, al contrario, il legislatore del 2003 abbia inteso introdurre un regime decadenziale operante non solo nei confronti dei trattamenti retributivi, ma anche con riferimento ai versamenti contributivi, uniformando le due obbligazioni (retributiva e contributiva) sotto tale aspetto. Come già evidenziato, ai sensi dell’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003, il committente è obbligato in solido con l’appaltatore «entro il limite di due anni dalla ces­sazione dell’appalto, a corrispondere ai lavoratori i trattamenti retributivi e i contributi previdenziali» [21]. Dall’analisi logica e grammaticale della proposizione normativa si evince che le parole «entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto» sono riferite al­l’obbligazione solidale del committente di “corrispondere ...”. A sua volta, il verbo “corrispondere” regge due diverse strutture sintattiche: nella prima è indicato sia il complemento di termine che il complemento oggetto (“ai lavoratori i trattamenti retributivi”); nella seconda è indicato soltanto il complemento oggetto (“i contributi previdenziali”), avendo il legislatore implicitamente dato per presupposto che questi ultimi sono dovuti imperativamente agli Enti previdenziali individuati per legge. In altri termini, l’interpretazione più piana della norma, che la sottrae anche alla censura di atecnicismo, è quella di legare le parole “ai [continua ..]


6. L’obbligazione contributiva del committente

Alla luce di tali considerazioni, neanche appare condivisibile fondare la soluzione dell’inapplicabilità del termine decadenziale all’Ente previdenziale sul principio di autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro. Ed invero, come evidenziato dalla già citata dottrina, «autonomia dei rapporti non significa infatti che gli stessi siano necessariamente sottoposti ad un differente regime giuridico, ma soltanto che vicende modificative od estintive dell’uno non modificano od estinguono automaticamente anche l’altro», ben potendo «diritti derivanti da rapporti autonomi ... anche essere sottoposti al medesimo regime giuridico». Onde, poiché nell’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 «il debito contributivo viene trattato dal punto di vista sostanziale, senza alcun specifico riferimento al soggetto che agisca per ottenerne l’adempimento, si deve concludere che la disciplina prevista trovi applicazione a tutti i soggetti che potrebbero avanzare la relativa pretesa: lavoratore o ente previdenziale» [26]. D’altra parte, va anche considerato che la delimitazione dell’ambito temporale di operatività dell’obbligo contributivo del committente, se, da un lato, contrasterebbe con la «finalità di finanziamento della gestione previdenziale» (propria dell’obbliga­zione contributiva nel sistema previdenziale), dall’altro lato, acquisisce razionalità ove si consideri che tale delimitazione è prevista – nell’ambito dello speciale regime di responsabilità solidale posto dal legislatore in capo al committente – onde soddisfare l’esigenza di certezza del diritto del committente stesso (cfr., supra, par. 3) [27]. Ed invero, l’eccezionale responsabilità solidale di quest’ultimo è prevista sì a tutela del lavoratore dell’appaltatore (e, in particolare, anche della sua posizione assicurativa) ma pur sempre a garanzia di un inadempimento altrui [28]. La giustificazione dell’imposizione del termine di decadenza biennale (anche al­l’obbligazione contributiva del committente) va, quindi, riscontrata nell’esigenza di contemperamento tra tutela del lavoratore e quella dell’appaltante, in termini di limitazione del suo rischio. Né, da ultimo, potrebbe considerarsi [continua ..]


7. La distinzione tra il regime decadenziale di cui alla legge n. 1369/1960 e quello di cui al d.lgs. n. 276/2003

La Suprema Corte, infine, per corroborare la decisione adottata nella sentenza an­notata, rileva come essa si ponga «in analogia» con l’orientamento della giurisprudenza di legittimità precedentemente formatosi nel vigore dell’abrogato art. 4, legge n. 1369/1960. In particolare, la Corte ricorda che «nel precedente contesto normativo» la giurisprudenza di legittimità «ha avuto modo di affermare che la L. 23 ottobre 1960, n. 1369, art. 4 (sul divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro), che poneva il termine di decadenza di un anno dalla cessazione dell’appal­to per l’esercizio dei diritti dei prestatori di lavoro, dipendenti da imprese appaltatrici di opere e servizi nei confronti degli imprenditori appaltanti – pur facendo riferimento, oltre che ai diritti al trattamento economico e normativo, anche al diritto di pretendere l’adempimento degli obblighi derivanti dalle leggi previdenziali – limitava l’ambito di efficacia del suddetto termine ai diritti suscettibili di essere fatti valere direttamente dal lavoratore, non potendosi estendere invece l’efficacia del­l’anzidetta disposizione legislativa ad un soggetto terzo, quale l’ente previdenziale, i cui diritti scaturenti dal rapporto di lavoro disciplinato dalla legge si sottraggono, pertanto, al predetto termine annuale decadenziale» [29]. Senonché, in termini di rigore interpretativo, anche tale argomentazione non sem­bra essere convincente alla luce di una più approfondita analisi comparatistica tra il regime decadenziale previsto dagli artt. 3 e 4 della legge n. 1369/1960 (concernenti gli appalti endoaziendali), oggi abrogati, e quello, diverso, previsto dall’art. 29, com­ma 2, d.lgs. n. 276/2003. Come noto, l’art. 3, legge n. 1369/1960 prevedeva, al comma 1, che «gli impren­ditori che appaltano opere o servizi ... sono tenuti in solido con quest’ultimo (n.d.r. l’appaltatore) a corrispondere ai lavoratori da esso dipendenti un trattamento minimo inderogabile retributivo e ad assicurare un trattamento normativo, non inferiore a quelli spettanti ai lavoratori da loro dipendenti». Solo nel comma 3 – e, quindi, in una norma distinta – tale articolo prevedeva che «gli imprenditori sono altresì tenuti in solido con [continua ..]


NOTE
Fascicolo 4 - 2019