Il saggio esamina le misure previste dalla legislazione emergenziale a tutela del lavoro autonomo in caso di riduzione del reddito professionale e di cessazione dell’attività. Tenendo conto dei principi costituzionali di cui all’art. 38, comma 2, Cost., l’indagine le confronta con gli ammortizzatori sociali per il lavoro dipendente, mettendo in luce profili differenziali e aspetti problematici derivanti dalla diversa struttura del rapporto di lavoro autonomo e dei connessi rapporti giuridici previdenziali.
The essay analyses the measures provided for by emergency legislation to protect self-employment in the case of a decrease in professional income and shutdown. Taking into account the constitutional principles referred to in Article 38, second paragraph, of the Constitution, the survey compares them with social safety nets for dependent work, highlighting differential profiles and problematic issues arising from the different structure of the self-employment relationship and the related social security relationships.
Keywords: Self-employment – social safety nets.
1. Lavoro autonomo e tutele emergenziali “assistenziali”: qualche precisazione - 2. Il lavoro autonomo nel prisma della previdenza sociale - 3. Lavoro autonomo e disoccupazione involontaria - 4. Lavoro autonomo e ammortizzatori in costanza di rapporto - 5. La funzione di ammortizzatore sociale della decontribuzione - 6. Tutela della continuità lavorativa per i lavoratori autonomi e mezzi adeguati alle esigenze di vita - NOTE
Tra le molteplici situazioni di bisogno rese trasparenti – non causate – dall’emergenza epidemiologica da Covid-19, quella riguardante il lavoro autonomo è forse stata una delle più evidenti ed avvertita. Il mondo dell’autonomia nelle sue varie articolazioni non è più un ambito “privilegiato” rispetto al lavoro subordinato: è venuta meno la sua tradizionale identificazione con una condizione socio-economica elevata. Da tale constatazione è derivata la presa d’atto di “buchi” o “lacune” nelle tutele di welfare e più precisamente l’assenza di ammortizzatori sociali in costanza di lavoro o non [1]. A tale bisogno, la legislazione dell’emergenza ha risposto con una disorganica serie di norme che hanno, da un lato, inseguito il protrarsi della pandemia oltre le iniziali aspettative, dall’altro, allargato la platea dei soggetti tutelati a categorie inizialmente dimenticate. Senza poter entrare in un’analisi di dettaglio [2], di questa messe normativa serve qui mettere in luce le coordinate essenziali per cercare di cogliere sia i nessi con la ormai risalente evoluzione della tutela previdenziale del lavoro autonomo sia, per altro verso, le suggestioni o indicazioni che offrono in prospettiva futura. Orbene, si è trattato di erogazioni economiche denominate ora “indennità” – semmai con l’ulteriore qualifica di “omnicomprensiva” oppure una tantum –, ora “contributo a fondo perduto”, formule, comunque, sempre evocative di occasionalità, temporaneità o eccezionalità. Ancora, si è trattato per lo più di prestazioni non collegate ad una situazione di bisogno effettivo, visto che, con l’esclusione dei titolari di pensione o dei lavoratori autonomi iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (oltre la Gestione separata INPS), a molte di esse è stato dato comunque accesso a prescindere da requisiti reddituali o d’altro tipo [3]. Laddove previsti, poi, soprattutto nelle misure di più recente previsione, quei requisiti, individuati nella riduzione del reddito, del fatturato o dei corrispettivi, in comparazione con l’anno precedente (2020 su 2019), a volte anche in termini di media mensile, restano semmai indicativi di una situazione di bisogno presunto e comunque [continua ..]
Al di là di ogni valutazione sul merito, il tratto propriamente emergenziale e l’insostenibilità finanziaria e sistemica di quelle misure risaltano dalla prospettiva adottata dalle proposte e dalle prime misure legislative per tamponare, se non per chiudere, quei “buchi” di tutela. Ancora in tempo d’emergenza, è ad esse comune il ritorno ad una logica previdenziale, perfino “assicurativa” secondo alcuni [10]. Si tratta, comunque, di un disegno di legge approntato dal CNEL (da ora d.d.l. CNEL) [11] e di una proposta di più complessiva riforma del sistema attuale di ammortizzatori sociali, predisposta da una Commissione ministeriale istituita durante il secondo esecutivo Conte (da ora Commissione Barbieri) [12], per arrivare poi, a due misure legislative, l’indennità straordinaria di continuità reddituale e operativa (da ora ISCRO) e l’indennità per i lavoratori autonomi dello spettacolo, dalla legge istitutiva indicata con l’acronimo ALAS. La prima può essere inquadrata tra gli ammortizzatori sociali in costanza di lavoro: introdotta in via sperimentale per il biennio 2021/2023 dall’art. 1, commi 386-401, l. n. 178/2020 (legge di bilancio 2021) essa è rivolta esclusivamente ai soggetti iscritti alla Gestione separata INPS, che esercitino per professione abituale attività di lavoro autonomo ai sensi dell’art. 53, d.P.R. n. 917/1986. La seconda, invece, è un trattamento in caso di disoccupazione espressamente indicata come “involontaria”, che l’INPS erogherà a decorrere dal 1° gennaio 2022, dunque, stando alla lettera della norma, quale misura definitiva, ai lavoratori autonomi dello spettacolo di cui all’art. 2, comma 1, lett. a) e b), d.lgs. n. 182/1997. Nel complessivo contesto finora delineato, allora, le pagine seguenti si propongono di verificare caratteri e criticità di eventuali misure di ammortizzatori sociali per i lavoratori autonomi, filtrando l’esperienza normativa emergenziale alla luce dei principi costituzionali di cui all’art. 38, comma2, nonché della peculiare struttura dei rapporti giuridici nella previdenza dei lavoratori autonomi. In premessa, tuttavia, va evidenziato il “paradosso” applicativo – se così si può definire – dell’art. 35, comma 1, Cost. La «tutela del [continua ..]
Nella prospettiva d’indagine prescelta, queste indicazioni tornano utili al fine di filtrare le proposte e le misure avanzate e introdotte, cui s’è accennato. In avvio, comunque, è bene sottolineare che il blocco autoritativo delle attività produttive e la sospensione della mobilità sociale ha sì reso trasparente l’assenza di tutele per il lavoro autonomo, ma ciò è dipeso dall’eccezionalità della situazione. In altri termini, quest’ultima è paragonabile al verificarsi, in contemporanea e per tutti i soggetti protetti, del rischio tutelato in un sistema d’assicurazione, anche sociale o, comunque, a finanziamento contributivo, anche parziale: l’effetto, in assenza dell’intervento statuale, sarebbe il default del sistema stesso. Questa considerazione aiuta a chiarire come, a prescindere dal modello solidaristico o assicurativo, qualsiasi misura ancorata a un finanziamento contributivo non può aspirare a rispondere ad eventi simili, è asimmetrica rispetto a problemi di tutela così generalizzata. Per le sue caratteristiche, l’emergenza pandemica ha reso inevitabile la risposta di tipo “assistenziale” – nel senso sopra indicato –, ma qualsiasi prospettiva riformista di lungo periodo richiede un approccio che tenga verso di essa una giusta distanza critica. Il riconoscimento di lacune nelle tutele di welfare non può andare disgiunto dall’inquadramento sistematico delle singole situazioni e, quindi, nel nostro caso, dalla considerazione delle diversità strutturali tra il lavoro subordinato e quello autonomo. Da questo punto di vista, è possibile evidenziare alcuni profili meritevoli di essere approfonditi. Il primo, è l’assenza nel lavoro autonomo della contrapposizione di interessi legati all’esistenza di un’organizzazione cui il lavoratore dipendente resta estraneo. Nel nostro caso, invece, l’eventuale attività organizzativa fa comunque capo al prestatore d’opera anche se non assume forma di (piccola) impresa [31]. Rileva, inoltre, che a qualificare i rapporti tra prestatore e committente è l’assunzione in capo al primo sia del rischio dell’utilità dell’opera sia, nei limiti fissati dall’art. 2228 c.c., dell’impossibilità sopravvenuta [32]. Né vanno [continua ..]
Diversamente dalla disoccupazione involontaria, la riduzione/sospensione dell’attività lavorativa – per cause non imputabili al datore di lavoro e ai lavoratori ovvero per situazioni di difficoltà dell’attività imprenditoriale – non è evento contemplato in Costituzione [46]. Il che non ne preclude certo la regolazione in via legislativa né, in tal caso, lo pone fuori dall’area previdenziale con la sua garanzia costituzionale. Semplifica, però, il problema regolatorio, lasciando al legislatore più ampi margini d’intervento. In relazione al lavoro autonomo, l’unica misura attivata al momento è, come accennato, l’ISCRO, introdotta per il triennio 2021-2023 dalla legge di Bilancio 2021 (art. 1, commi 386-401, legge n. 178/2021) e rivolta ai lavoratori autonomi iscritti alla Gestione separata che esercitano per professione abituale attività di lavoro autonomo produttiva di redditi ai sensi dell’art. 53 TUIR: sono dunque esclusi sia i lavoratori occasionali sia i collaboratori coordinati e continuativi, il cui reddito è assimilato a quello di lavoro subordinato. I requisiti richiesti a questi lavoratori per accedere alla prestazione sono numerosi: a) non essere titolari di trattamento pensionistico diretto e non essere assicurati presso altre forme previdenziali obbligatorie, per tutta la durata della prestazione; b) non essere beneficiari di Reddito di cittadinanza, sempre durante il periodo di erogazione dell’indennità; c) avere prodotto, nell’anno precedente alla presentazione della domanda, un reddito di lavoro autonomo inferiore al cinquanta per cento della media dei redditi da lavoro autonomo conseguiti nei tre anni anteriori a quello precedente la presentazione della domanda; d) avere dichiarato, nell’anno precedente alla presentazione della domanda, un reddito non superiore a 8.145 euro, annualmente rivalutato; e) essere in regola con la contribuzione previdenziale obbligatoria; f) essere titolari di partita IVA attiva da almeno quattro anni, alla data di presentazione della domanda (comma 388). L’indennità è erogata per sei mensilità, può essere richiesta una sola volta nel triennio (commi 390 e 394) ed è condizionata alla partecipazione a percorsi di aggiornamento professionale, la cui definizione è rimessa ad un decreto ministeriale, previa [continua ..]
Una peculiare forma di ammortizzatore sociale, almeno quanto alla finalità realizzata, è ravvisabile nel Fondo per l’esonero dei contributi previdenziali dovuti dai lavoratori autonomi e dai professionisti. Istituito dall’art. 1, commi 20-24, della legge di bilancio 2021, il Fondo opera nei limiti delle risorse ad esso destinate – pari a 2.500 milioni di euro per il 2021 –, ma non è al momento operativo, mancando ancora la pubblicazione in G.U. del decreto che deve definire i criteri e le modalità dell’esonero contributivo. Il beneficio consiste in una riduzione contributiva [50] – esclusi i premi INAIL – e i requisiti per goderne sono la percezione, nel periodo d’imposta 2019, di un reddito, qualificato come complessivo, non superiore a 50.000 euro e un calo del fatturato o dei corrispettivi nel 2020 non inferiore al 33% rispetto all’anno precedente. Diversamente dall’ISCRO, quindi, sembrerebbe che la legge prenda in considerazione il reddito complessivamente prodotto dal lavoratore. La bozza del decreto ministeriale, tuttavia, parla di «reddito complessivo di lavoro o derivante dall’attività che comporta l’iscrizione alla gestione» previdenziale. Ulteriore differenza determinata dalla tipologia del beneficio è il suo riconoscimento sia ai lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali INPS – commercianti, artigiani, coltivatori diretti – sia ai professionisti iscritti alle casse privatizzate o nate private (d.lgs. 103/1996), anche se ad essi la legge (comma 21) precisa che le risorse sono destinate «in via eccezionale», forse per ribadire indirettamente la regola generale che esclude finanziamenti pubblici diretti o indiretti a tali enti. È da notare come la misura emergenziale in materia contributiva adottata dal legislatore in favore dei datori di lavoro sia stata di massima la sospensione dell’obbligazione contributiva, mentre l’esonero è stato previsto per sostenere e rilanciare i settori agricolo, della pesca e dell’acquacoltura [51]. Nel nostro caso, invece, la coincidenza nel lavoratore autonomo delle posizioni di debitore della contribuzione e beneficiario della prestazione fa sì che, anche in assenza di una prestazione economica in senso tecnico, il risparmio contributivo influisca comunque sul reddito professionale in funzione [continua ..]
In conclusione, qualche breve considerazione va riservata al tema dell’adeguatezza delle prestazioni. Superata la fase pandemica il ritorno al finanziamento contributivo sarà inevitabile per evidenti ragioni di sostenibilità della spesa pubblica ed è, in realtà, già avvenuto sia con l’ALAS (art. 66, comma 14, d.l. n. 73/2021) sia con l’ISCRO (art. 1, commi 397 e 398, legge n. 178/2020). L’indennità per i lavoratori autonomi dello spettacolo è rapportata al reddito imponibile ai fini previdenziali ed è stabilita nella medesima misura della CIGO-CIGS (art. 66, commi 11 e 12, d.l. n. 73/2021). Una regola differente vale per l’ISCRO, la cui misura è sì rapportata al reddito – l’ultimo certificato dall’Agenzia delle Entrate precisa la legge – senza però chiarire se si tratti soltanto di quello professionale, nei limiti, s’è visto, di una soglia minima garantita (250 euro) e di un tetto massimo invalicabile (800). La legge ha poi quantificato la spesa prevista per ogni anno di sperimentazione [52] e subordinato l’erogazione all’effettiva disponibilità delle risorse, replicando la formula prevista per tutte le misure emergenziali a finanziamento fiscale, secondo cui l’INPS monitora il rispetto dei limiti di spesa annuali e ove riscontri scostamenti, «anche in via prospettica … non sono adottati altri provvedimenti di concessione dell’indennità» (comma 397). Questo meccanismo sembra presupporre eventuali compensazioni solidaristiche tra i potenziali beneficiari, almeno quanto al minimale che di principio prescinde dagli effettivi livelli di contribuzione versata, ammettendo, d’altra parte, che la tutela possa essere negata a chi pure l’ha finanziata. In questa sede, peraltro, non si intende affrontare il dibattuto tema dei diritti economicamente condizionati [53]. Piuttosto, anche se sembra arduo sostenere che i livelli dell’indennità, soprattutto nel suo limite inferire, siano conformi alla garanzia costituzionale, l’impostazione metodologica prescelta va apprezzata proprio nell’ottica del principio di adeguatezza. In effetti, è ormai tradizionale in dottrina e giurisprudenza ricondurre, se non identificare, il problema attuativo di quella garanzia alla definizione dei criteri di calcolo della [continua ..]