Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Diritto al congedo parentale per la madre “intenzionale” o “sociale” (di Francesco Belmonte, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro – Università degli Studi del Molise)


Tribunale di Milano, Sez. lav., ordinanza 12 novembre 2020 – Giud. Riccardo Atanasio

La madre “intenzionale”, unita civilmente alla madre biologica, ha diritto al congedo parentale riservato, dall’art. 32, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 151/2001, al padre lavoratore, in presenza di un legame genitoriale documentato dagli atti di Stato Civile.

Right to parental leave for the “intentional” or “social” mother

Keywords: parental leave – civil union – parenting

SOMMARIO:

1. Il caso concreto - 2. La regolamentazione delle unioni civili: le questioni ancora aperte in tema di genitorialità - 3. La valorizzazione dell’aspetto funzionale della genitorialità - 4. Il congedo parentale riconosciuto alla madre “intenzionale” o “sociale” - 5. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Il caso concreto

La controversia esaminata dal Tribunale di Milano prende avvio dal ricorso presentato, ai sensi dell’art. 28, d.lgs. 1° settembre 2011, n. 150, dalla “seconda” madre (c.d. intenzionale) di un bambino di una coppia omosessuale, per ottenere la dichiarazione della natura discriminatoria della mancata concessione, da parte del datore di lavoro, del congedo parentale da lei richiesto, con conseguente riconoscimento del diritto alla sua fruizione e condanna dell’azienda alla cessazione della condotta discriminatoria, nonché al risarcimento del danno. Nella fattispecie, la ricorrente risulta unita civilmente con la madre biologica del minore dal 2018. Entrambe, nello sviluppo del loro progetto familiare, hanno deciso di avere un figlio, ricorrendo a tecniche di procreazione medicalmente assistita presso una clinica spagnola nel corso del 2019. Successivamente, le donne hanno provveduto al riconoscimento del nascituro innanzi all’Ufficiale di Stato Civile del Comune di Milano (come espressamente richiamato anche nell’atto di nascita del bambino). Ciò nonostante, di fronte alla richiesta della dipendente di fruizione del congedo parentale (e di quello per malattia del figlio nell’ipotesi in cui se ne fosse presentata la necessità), la società datrice ha opposto il suo diniego, sindacando il legame genitoriale risultante dagli atti pubblici, in ragione dell’incertezza normativa circa la genitorialità delle coppie omoaffettive e della mancata equiparazione, a tali fini, del matrimonio e dell’unione civile. Il Tribunale, nel ritenere che il datore di lavoro non possa vagliare la documentazione degli atti di Stato Civile, ha qualificato il comportamento datoriale come una discriminazione “diretta” (ex art. 2, lett. a), d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216) a causa dell’orientamento sessuale della lavoratrice, la quale se eterosessuale “avrebbe ricevuto un trattamento diverso e non si sarebbe vista negata il congedo parentale, per il cui riconoscimento sussiste in realtà il presupposto – dato dalla comprovata esistenza del rapporto di genitorialità con il minore – così come attestato dalla documentazione anagrafica”. In ragione di ciò, il giudice ha condannato il datore di lavoro alla cessazione del comportamento discriminatorio e – in parziale accoglimento delle richieste della [continua ..]


2. La regolamentazione delle unioni civili: le questioni ancora aperte in tema di genitorialità

Con l’entrata in vigore della legge 20 maggio 2016, n. 76 (c.d. Legge Cirinnà), il legislatore ha regolamentato (e formalizzato) le unioni civili tra persone dello stesso sesso ed attribuito maggiore rilevanza giuridica alle convivenze di fatto, ridisegnando profondamente i confini del diritto di famiglia, tradizionalmente basato sul monopolio giuridico del matrimonio, così come sancito dal­l’art. 29 Cost. [2]. Con particolare riferimento alle unioni civili, si è trattato di un intervento normativo largamente atteso, sollecitato da più fronti [3], che ha condotto ad una rilettura delle consuete nozioni di famiglia e matrimonio, saldamente radicate nel tessuto sociale e ancorate alla diversità di sesso tra i coniugi. Il legislatore, infatti, ha abbandonato una concezione “statica” degli istituti in questione, in favore di una loro interpretazione “dinamica”, quali concetti modellati dall’evoluzione storico-sociale. In tale linea, la famiglia è stata intesa come una categoria in continua trasformazione, che nasce spontaneamente nelle diverse realtà sociali, evolvendo di pari passo con le trasformazioni economiche, sociali e culturali nel corso del tempo. Tra i molteplici profili giuridici interessati dalla novella del 2016, emergono quelli concernenti l’ambito del diritto del lavoro [4], da sempre affine e vicino al diritto di famiglia [5], in ragione del rilievo qualificante che assume la prospettiva della tutela del soggetto debole – quale appunto il lavoratore o la lavoratrice appartenete ad un nucleo familiare – ma, soprattutto, in virtù della nota “implicazione della persona” nel contratto di lavoro [6]. L’introduzione delle regole lavoristiche è stata orientata lungo due differenti direttive: la prima, mediante specifiche previsioni riguardanti alcuni istituti connessi al rapporto di lavoro (il riferimento è all’art. 1, comma 17, legge n. 76/2016 che estende l’indennità di mancato preavviso ed il trattamento di fine rapporto in caso di morte dell’avente diritto [7], anche al partner unito civilmente con il lavoratore deceduto); la seconda, invece, si sostanzia in una clausola generale di equivalenza, definita anche come norma “di chiusura”, che impone l’applicazione ai partners del­l’unione delle [continua ..]


3. La valorizzazione dell’aspetto funzionale della genitorialità

Di fronte ad una tale lacuna normativa, una possibile chiave di lettura potrebbe essere rappresentata dalla valorizzazione della prospettiva funzionale della genitorialità più che quella biologica, in un’ottica protettiva del preminente interesse del bambino, seguendo un percorso già sperimentato dalla giurisprudenza [19]. In particolare, i giudici, sebbene abbiano escluso il riconoscimento di un pieno diritto alla genitorialità in favore delle coppie omosessuali, con specifico riguardo alla posizione del genitore intenzionale, hanno ammesso l’adozione c.d. non legittimante in favore del partner dello stesso sesso del genitore biologico del minore – ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), della legge 4 maggio 1983, n. 184 [20] –, al fine di realizzare il “migliore” interesse del bambino, in ossequio al principio del “best interest of child”, enunciato dalla convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 [21] (ratificata e resa esecutiva in Italia con la legge 27 maggio 1991, n. 176). Ciò sarebbe tra l’altro legittimato, in via indiretta, dalla stessa Legge Cirinnà, la quale, «fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti» (art. 1, comma 20, ult, per., legge n. 76/2016), riconosce la praticabilità del­l’adozione summenzionata, in virtù del dettato normativo, in questo modo valorizzando la tutela dell’interesse del minore. In tale prospettiva, la giurisprudenza ha escluso “che una valutazione negativa circa la sussistenza del requisito dell’interesse del minore possa fondarsi esclusivamente sull’orientamento sessuale del richiedente l’adozione e del suo partner, non incidendo l’orientamento sessuale della coppia sull’idoneità dell’individuo all’as­sunzione della responsabilità genitoriale” [22]. La tutela delle esigenze del minore viene posta al centro delle argomentazioni rese recentemente anche dalla Corte Costituzionale [23], chiamata a pronunciarsi sulle questioni di legittimità costituzione sollevate dal Tribunale di Venezia (ord. 3 aprile 2019) [24], con riferimento agli artt. 1, comma 20, legge n. 76/2016 e 29, comma 2, d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (in materia di ordinamento dello Stato [continua ..]


4. Il congedo parentale riconosciuto alla madre “intenzionale” o “sociale”

L’esistenza di un legame genitoriale tra la seconda madre ed il minore, discendente dalla documentazione anagrafica ritenuta legittima dal giudice, apre la strada al riconoscimento del congedo parentale [35] a beneficio della ricorrente. In altri termini, lo status di genitore conseguito dalla lavoratrice, unitamente alla richiesta di congedo rivolta all’azienda, rappresentano i (soli) presupposti necessari per accedere alla tutela in questione. Il Tribunale si sofferma, infine, ad individuare la tipologia di astensione riservata in concreto alla madre sociale, avvalendosi dei chiarimenti resi dall’Inps, interpellato dalla stessa lavoratrice prima di procedere con la richiesta di congedo al datore di lavoro. L’Ente previdenziale, nel preminente e superiore interesse del minore, ritiene possibile il riconoscimento dei diritti legati alla genitorialità in favore delle coppie same sex, pur in assenza di una disciplina legislativa di riferimento, laddove sussista una pronuncia di adozione “in casi particolari”, (art. 44, comma 1, lett. d), legge n. 184/1983), oppure, come nel caso di specie, l’attestazione dello status genitoriale da parte dell’Ufficiale di Stato Civile. In particolare, nel caso di copresenza di una madre biologica e di una madre che ha effettuato il riconoscimento, ex art. 254 c.c., come “altra madre” dello stesso figlio – innanzi all’Ufficiale di Stato Civile con conseguente registrazione dell’atto amministrativo –, alla madre naturale deve essere riconosciuta, in ragione del legame biologico con il nascituro, la tutela della maternità ed il congedo parentale riservato alla lavoratrice dall’art. 32, comma 1, lett. a), T.U.; mentre, la madre intenzionale è destinataria del congedo facoltativo del padre lavoratore, ex art. 32, comma 1, lett. b), T.U., nel pieno rispetto dei limiti di coppia tracciati dal legislatore, nel suddetto articolo, per le coppie eterosessuali. Il giudice milanese condivide la ricostruzione fornita dall’Inps, nonostante la norma citata si riferisca espressamente alla figura del padre lavoratore. Tale dato letterale deve essere inevitabilmente superato, in quanto solo il congedo di cui alla lett. b) può essere attribuito alla ricorrente, diversamente dall’astensione delineata nella precedente lettera a), la quale non [continua ..]


5. Considerazioni conclusive

La posizione adottata dal Tribunale di Milano, come visto, apre una nuova prospettiva all’inquadramento giuridico dell’omogenitorialità – e, più in generale, di tutte le forme di genitorialità non biologica – attraverso l’esaltazione del legame ge­nitoriale instauratosi tra il genitore sociale ed il minore, se corrispondente all’in­teresse superiore del bambino. In altri termini, la necessità di garantire una “piena” tutela del minore consentirebbe di equiparare il rapporto affettivo in essere tra il genitore intenzionale e il bambino al legame biunivoco fra attribuzione dello status di figlio e sussistenza di un legame genetico con il genitore. In tale direzione, l’istituto del congedo parentale, misura volta a tutelare la piena realizzazione del diritto alla genitorialità del lavoratore, non può che essere valorizzato in modo estensivo, nell’ottica del diritto del minore a godere dei benefici relazionali ed affettivi derivanti dalla presenza del genitore, sia biologico che sociale, nei primi mesi di vita. Emerge quindi la necessità di un intervento riformatore del legislatore, che, muovendo dalla valorizzazione della funzione genitoriale operata dalla giurisprudenza, possa, da un lato, scongiurare una possibile e (più che mai) realistica rimessione della questione di legittimità costituzionale alla Consulta – per dirimere i conflitti interpretativi circa la spettanza delle tutele in favore della madre non biologica, nell’equiparazione della sua funzione a quella del padre lavoratore –; e, dall’altro lato, condurre ad una rivisitazione dell’intera disciplina contenuta nel T.U. del 2001, rendendo “neutro” il suo funzionamento. Tale impasse, potrebbe agevolmente essere superata attraverso la sostituzione della terminologia qualificatoria presente nell’articolato della legge (madre, padre, lavoratrice e lavoratore), con vocaboli più neutri [41], in modo da ampliare le tutele ivi contenute e scongiurare qualsiasi discriminazione a scapito dei figli di coppie omo­affettive, preservando, tuttavia, quelle specifiche disposizioni legate alla salvaguardia della salute biologica della gestante [42]. Per tale via, si realizzerebbe un approccio onnicomprensivo alla tutela della genitorialità – in grado di [continua ..]


NOTE