Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Lo smart working emergenziale tra (nuovi) diritti ed esigibilità della prestazione (di Giuseppe Gentile)


Tribunale di Grosseto, Sez. lav., 23 aprile 2020

La normativa straordinaria ed emergenziale da Covid-19 mira a coniugare la salvaguardia dell’attività lavorativa nei settori essenziali con le esigenze di tutela della salute e di contenimento della diffusione dell’epidemia. In tale contesto, al lavoratore portatore di una invalidità civile per grave patologia deve essere consentito di svolgere l’attività lavorativa in modalità agile qualora l’attività possa essere svolta a distanza, e conseguentemente il ricorso alle ferie non può essere indiscriminato.

 

Tribunale di Bologna, Sez. lav., 23 aprile 2020

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L’art. 39 del decreto legge n. 18/2020 prevede che nel periodo dell’emergenza Covid-19 i lavoratori del settore privato in condizione di disabilità o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità, in entrambi i casi nelle condizioni di cui all’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, abbiano diritto a svolgere la prestazione in modalità agile ai sensi degli artt. da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81.

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SOMMARIO:

1. Premessa: le questioni oggetto dei due giudizi - 2. Il quadro regolativo tra normativa emergenziale e legislazione di sistema - 3. La rimozione dei vincoli legislativi: volontarietà versus obbligatorietà - 4. (Segue): il diritto al lavoro agile dei disabili e le prerogative datoriali - 5. Brevi riflessioni conclusive - NOTE


1. Premessa: le questioni oggetto dei due giudizi

Le questioni affrontate dai giudici del lavoro di Grosseto e di Bologna pongono un primo importante tassello nell’inquadramento sistematico della normativa emergenziale sullo smart working, adottata in chiave promozionale dal Governo ai fini del contenimento e della gestione della crisi sanitaria ed economica da Covid-19. Le pronunce sono maturate all’esito di ricorsi azionati con procedimento d’ur­genza ex art. 700 c.p.c., nel pieno della diffusione della pandemia, da due lavoratori inquadrati con mansioni impiegatizie alle dipendenze di imprese del settore commercio e terziario: in un caso, all’esame del Giudice di Grosseto, il ricorrente – addetto al servizio di assistenza legale e contenzioso – ha lamentato di essere stato illegittimamente escluso dall’adibizione al lavoro agile, sebbene tutti i colleghi del suo reparto lo fossero già stati, e di essere stato invitato dal proprio datore di lavoro a ricorrere a ferie da computarsi in parte sul monte già maturato ed in parte su quello da maturare, e dunque con la prospettazione di un “godimento” di ferie anticipate; in un altro caso, dinanzi al Giudice di Bologna, la lavoratrice – addetta al settore fiscale – aveva invece lamentato di essere stata forzatamente collocata in cassa integrazione guadagni con l’avvertenza che soltanto alla ripresa dell’attività produttiva l’azienda avrebbe preso in considerazione la richiesta di poter usufruire della formula lavorativa dello smart working. È necessario specificare come entrambi i ricorrenti fossero affetti da patologie gravi determinanti il riconoscimento di un’invalidità civile con riduzione della capacità lavorativa al 60%. Di tal che essi, in virtù della personale condizione patologica, hanno denunciato il carattere pretestuoso ed illegittimo del rifiuto di adibizione al lavoro agile da parte delle rispettive aziende, ritenendo di vantare un vero e proprio diritto ai sensi e per gli effetti della normativa emergenziale da Covid-19 che – se per la generalità dei casi si limita a raccomandarne l’utilizzo da parte delle imprese, ove possibile – ai lavoratori dipendenti disabili (o che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona con disabilità) riconosce un diritto transitorio al lavoro agile compatibilmente con le caratteristiche della prestazione [continua ..]


2. Il quadro regolativo tra normativa emergenziale e legislazione di sistema

Tra le primissime misure adottate dal Governo Conte-bis per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, l’intervento relativo alla promozione del lavoro da remoto ha inevitabilmente rianimato il dibattito, fin qui piut­tosto flebile, sul lavoro agile. Si è trattato del più grande esperimento di lavoro a distanza mai attuato nel nostro Paese: una sperimentazione ovviamente “forzata” che molte aziende ed amministrazioni pubbliche si sono trovate costrette a gestire per la prima volta, mentre per altre si è trattato di cogliere l’occasione per mettere in atto modelli organizzativi che avevano già previsto di adottare o ancora di approfittarne per rafforzare pratiche già in uso [4]. L’utilizzo dello smart working è andato via via crescendo con il trascorrere delle settimane, man mano che il Governo – non senza una iniziale e comprensibile incertezza e confusione – ha definitivamente preso coscienza della portata complessiva di una crisi sanitaria che in breve tempo ha comportato gravi conseguenze sulla gestione economica e sociale del Paese, consentendo così un rapido accesso a questo istituto di flessibilità organizzativa del lavoro dipendente, anche al fine di evitare gli spostamenti e di contenere così i contagi. La normativa emergenziale sul lavoro agile è stata diramata a mezzo di provvedi­menti normativi ed amministrativi d’urgenza, susseguitisi a scansione incessante: di fronte all’esigenza improvvisa di intervenire con regole chiare ed efficaci per limitare il diffondersi del virus, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha deciso di a­dottare decreti legge e di fare un ampio uso di d.P.C.M. ad essi assegnati [5]. Prescindendo, qui, da ogni interrogativo in ordine alla adeguatezza della strumentazione giuridica utilizzata, anche rispetto al dettato costituzionale, ed anzi con la consapevolezza della necessità e della inevitabilità di misure draconiane per il contenimento dell’epidemia, ci si limiterà qui ad una breve descrizione del merito dei provvedimenti attraverso cui si è voluto incentivare il ricorso al lavoro agile, anche allo scopo di raffrontarne i tratti distintivi rispetto alla disciplina organica dettata dalla legge n. 81/2017, sui quali rilievi gli stessi giudici hanno fondato le proprie [continua ..]


3. La rimozione dei vincoli legislativi: volontarietà versus obbligatorietà

Al di là del carattere certamente frammentato delle disposizioni emergenziali, accomunate dalla sola finalità di favorire la modalità agile per le attività lavorative compatibili, e nonostante il rinvio generalizzato alla disciplina istitutiva di cui agli artt. 18-23 della legge n. 81/2017, non sono pochi né marginali i punti di diversa identità giuridica tra le due forme di lavoro agile. A partire già dai principi e dalle finalità cui si ispirano le disposizioni regolative dello smart working emergenziale, rispetto a quelle tipiche dell’incremento della produttività o della conciliazione dei tempi vita/lavoro: finalità che qui postulano garanzie e tutele di ordine sanitario ed economico che prescindono dalle dinamiche contrattuali del rapporto di lavoro. La novità certamente più rilevante è la deroga all’obbligo dell’accordo individuale, frutto di una previsione molto ragionevole finalizzata a semplificare e a velocizzare l’adozione dell’istituto in relazione ad un termine temporale ben determinato [11]. Il principio volontaristico/consensuale è qui volutamente immolato dal legislatore emergenziale alle esigenze di ordine sanitario di contenimento dell’epidemia che hanno imposto il distanziamento fisico (…più che sociale, si direbbe) anche nei luo­ghi di lavoro. L’esclusione della pattuizione individuale quale elemento costitutivo e fonte regolativa della fattispecie tipologica [12] delinea la frattura più significativa: non più la volontarietà quale presupposto legittimante, ma al contrario l’obbligato­rietà del ricorso al lavoro agile che la normativa emergenziale realizza nella duplice direzione dell’obbligo di conformazione del prestatore di lavoro al disposto unilaterale del datore di lavoro, ma anche dell’obbligo, in positivo, per quest’ultimo di accettare la prestazione lavorativa in modalità agile su espressa richiesta del dipendente qualora le caratteristiche della prestazione lo consentano. Già in chiave costitutiva siamo al cospetto di due identità giuridiche differenti: nella normativa Covid-19 la fonte istitutiva e di regolazione del lavoro agile non è il patto indirizzato tra le parti del contratto. Ad esso subentrano, a vario titolo: il potere unilaterale del [continua ..]


4. (Segue): il diritto al lavoro agile dei disabili e le prerogative datoriali

Con riguardo ai profili normativi oggetto delle pronunce, è ben evidente il rafforzamento delle prerogative dei lavoratori disabili in condizione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge n. 104/1992 (o per coloro che abbiano nel proprio nucleo familiare una persona disabile in condizione di gravità) rispetto all’impianto normativo del 2017 nell’accesso allo smart working: qui la logica si fonda proprio sulla stretta connessione tra la condizione di salute del dipendente e la peculiare situazione sanitaria da pandemia Covid-19. Tuttavia, se è lecito parlare di diritto soggettivo allo smart working, è pur vero che esso è sottoposto alla condizione che «tale modalità di lavoro sia compatibile con le caratteristiche della prestazione». Nondimeno, tale ultimo assunto rimanda inevitabilmente alla questione – rimessa all’indagine fattuale – della sussistenza o meno dei presupposti organizzativi che possano rendere utile la prestazione lavorativa in modalità agile: non è ipotizzabile la pretesa di accesso al lavoro agile emergenziale da parte del dipendente in difetto, ad esempio, delle condizioni anche tecniche per tale modalità; così come non è ipotizzabile il diniego immotivato del lavoratore alla richiesta del datore di lavoro di applicare lo smart working, ove quest’ultimo ritenga possibile la prosecuzione del rapporto da remoto. Diverso è invece il caso – come quello che ci occupa – in cui, a fronte di una richiesta specifica del lavoratore e dell’esistenza delle condizioni oggettive anche tecnologiche, oltre che di compatibilità con le caratteristiche della prestazione lavorativa, vi sia un rifiuto immotivato da parte del datore di lavoro ad accettare la modalità agile. Qui non va sottaciuto che, pur non essendo imposto in via generale ed indiscriminata, nel contesto normativo emergenziale il lavoro agile è considerato comunque una priorità fortemente raccomandata, addirittura la modalità ordinaria di svolgimento della prestazione lavorativa nel pubblico impiego; ne discende che l’eventuale diniego del datore di lavoro deve essere concretamente ed oggettivamente giustificato, non potendo quest’ultimo agire in maniera immotivata e discriminatoria nei [continua ..]


5. Brevi riflessioni conclusive

Le pronunce e le riflessioni sin qui formulate confermano che lo smart working sperimentato con la legislazione emergenziale da Covid-19 presenta esigui punti di convergenza con l’istituto disciplinato dalla legge n. 81/2017, configurandone al massimo un surrogato significativamente utile ai fini del contenimento degli effetti dell’emergenza sanitaria coronavirus, ma fattualmente molto distante dall’archetipo congegnato dal legislatore del 2017. D’altra parte, il rinvio alla disciplina del lavoro agile non poteva che muoversi, sotto la spinta del distanziamento sociale e dell’isolamento domiciliare conseguenti all’emergenza sanitaria, nella direzione di rimuovere i vincoli e superare i principi fissati proprio da quella legge [21]. Più concretamente si può parlare di un modello di smart working in deroga, che realizza una deviazione già sotto il profilo causale rispetto alla normativa di sistema. Lo stato di eccezionalità nel quale si colloca la forzata e repentina sperimentazione empirica suggerisce un’occasione storicamente irripetibile per rianimare il di­battito su un istituto che sin qui ha suscitato una scarsa attenzione e, per certi versi, perfino una certa ritrosia non soltanto nella dottrina giuslavorista ma anche nella parte più tradizionale del modo sindacale ed imprenditoriale [22]. Comprensibilmente, superata la condizione di eccezionalità il regime derogatorio perderà la sua ragion d’essere e occorrerà far tesoro dei punti di forza e di debolezza che la normativa emergenziale avrà lasciato, nella prospettiva finanche di consolidare alcune suggestioni (si pensi, per l’appunto, al diritto al lavoro agile – ove sia compatibile con la prestazione lavorativa – per i lavoratori disabili o maturato in talune peculiari condizioni familiari). Ci saranno margini per un nuovo approccio regolatorio, auspicando in una centralità (sin qui assente) della negoziazione aziendale o del regolamento interno – quale volano per recuperare un obiettivo ritardo nell’accettazione anche culturale dell’i­stituto [23] e favorire così un modello di “impresa agile” – senza sminuire, s’intenda, il ruolo di attivazione e di co-regolazione dell’autonomia individuale. Discutibile, viceversa, lo scenario di un contratto nazionale [continua ..]


NOTE