Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Sui magistrati onorari: la querelle è ancora aperta (di Maria Barberio, Assegnista di ricerca di Diritto del lavoro – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia)


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Corte di Giustizia, 7 aprile 2022, C-236/20

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L’articolo 7 della direttiva 2003/88/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 4 novembre 2003, concernente taluni aspetti dell’organizzazione dell’orario di lavoro, la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale, concluso il 6 giugno 1997, che figura in allegato alla direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997, relativa all’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale concluso dall’UNICE, dal CEEP e dalla CES, come modificata dalla direttiva 98/23/CE del Consiglio, del 7 aprile 1998, nonché la clausola 4 dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999, relativa all’accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato, devono essere interpretati nel senso che essi ostano a una normativa nazionale che non prevede, per il giudice di pace, alcun diritto a beneficiare di ferie annuali retribuite di 30 giorni né di un regime assistenziale e previdenziale che dipende dal rapporto di lavoro, come quello previsto per i magistrati ordinari, se tale giudice di pace rientra nella nozione di «lavoratore a tempo parziale» ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale e/o di «lavoratore a tempo determinato» ai sensi dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, e si trova in una situazione comparabile a quella di un magistrato ordinario.

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La clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, concluso il 18 marzo 1999, che figura in allegato alla direttiva 1999/70, deve essere interpretata nel senso che essa osta a una normativa nazionale in forza della quale un rapporto di lavoro a tempo determinato può essere oggetto, al massimo, di tre rinnovi successivi, ciascuno di quattro anni, per una durata totale non superiore a sedici anni, e che non prevede la possibilità di sanzionare in modo effettivo e dissuasivo il rinnovo abusivo di rapporti di lavoro.

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SOMMARIO:

1. La vexata quaestio dell’inquadramento dei magistrati onorari: introduzione - 2. La posizione almanaccata della riforma Orlando e i principi dettati dalla sentenza Ux del 16 luglio 2020 - 3. Le ambiguità della sentenza Ux e l’alimentazione riflessa del contenzioso interno - 4. Il nuovo (e insufficiente) intervento della Corte di Giustizia del 7 aprile 2022 - 5. La rimessione alla Corte Costituzionale per una parola che difficilmente sarà decisiva - 6. La (nuova) procedura di infrazione, la (nuova) rimessione alla Corte di Giustizia e la legge di Stabilità 2022: tutto (per nulla) risolto - NOTE


1. La vexata quaestio dell’inquadramento dei magistrati onorari: introduzione

La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 7 aprile 2022 [1], qui in commento, si inserisce nel tourbillon legislativo, oltre che istituzionale e giurisprudenziale nazionale e sovrannazionale, sull’inquadramento della magistratura onoraria. Quest’ultima ha vissuto storicamente vicende alterne: a giudizi lusinghieri in ordine al ruolo chiave svolto rispetto all’amministrazione della giustizia, cui è seguito anche l’ampliamento fiducioso delle relative competenze, si sono contrapposte valutazioni dequalificanti l’attività svolta come meramente accessoria ed occasionale, giustificando così il mancato riconoscimento di tutele [2]. L’altalenanza di giudizi e la mancanza di una visione chiara sulle funzioni effettivamente da assegnare alla magistratura onoraria nell’ottica dell’efficientamento della giustizia e della deflazione del contenzioso hanno impresso una forte eterogeneità alla categoria [3], che rende particolarmente complesso – e forse neppure opportuno – svolgere considerazioni unitarie intorno alla figura del magistrato onorario. La magistratura onoraria fa ingresso nell’ordinamento giuridico italiano con il r.d. 6 dicembre 1896, n. 2626 che istituisce il conciliatore e il vice-pretore onorario. A prescindere dalla diversità di funzioni assegnate, oltre che di modalità di nomina per l’incarico, entrambi i giudici onorari erano chiamati ad affrontare questioni bagatellari, rispetto alle quali lo svolgimento dell’attività giudicante era solo eventuale e, invero, neppure auspicabile, giacché l’andare a sentenza per il giudice onorario rappresentava quasi un default del sistema [4]. In questo senso, specie con riferimento al giudice conciliatore, si riconosceva alla magistratura onoraria un ruolo ausiliario e, più precisamente, di filtro rispetto al contenzioso di minore entità, che finiva per non occupare il giudice professionale [5], dedito a questioni di maggiore complessità. Era stato istituito, di fatto, un doppio binario nell’ammi­nistrazione della giustizia giudicato, peraltro, particolarmente efficiente, al punto da determinare l’Assemblea costituente ad istituzionalizzare il ruolo del magistrato onorario [6]. A legittimare l’esercizio di funzioni giurisdizionali in capo a magistrati onorari è, difatti, [continua ..]


2. La posizione almanaccata della riforma Orlando e i principi dettati dalla sentenza Ux del 16 luglio 2020

Lo status di magistrato onorario delineato dalla riforma Orlando, conferma pienamente la contraddizione endemica che connota la figura, giacché da un lato si registra un ampliamento delle sue competenze (art. 27) e dall’altro si realizza una chiara operazione di dequotazione dell’apporto nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali (art. 1, comma 3, ma non solo) [30]. Più nel dettaglio, la riforma distingue tra i magistrati onorari giudicanti e quelli destinati all’ufficio del processo (art. 9, comma 2), istituendo, per questi ultimi, un divieto di esercizio della giurisdizione civile e penale presso l’ufficio del giudice di pace (art. 9, comma 3). Pare, dunque, evidente che i magistrati onorari destinati all’ufficio del processo non svolgeranno funzioni giurisdizionali: si tratta, chiaramente, di attività tipiche degli ausiliari preposti all’amministrazione della giustizia. E in questo senso sarebbe opportuna una trattazione differenziata: i giudici addetti all’ufficio del processo, in realtà, non sono neppure “giudici” giacché non svolgono attività giurisdizionale e, dunque, devono essere inquadrati come funzionari. Se ne deve concludere che la disquisizione sull’inquadramento del magistrato onorario diventa spinosa unicamente quando ci si riferisce a figure che esercitano funzioni giurisdizionali, sebbene non a titolo professionale, giacché le attività meramente preparatorie e collaterali dovrebbero poter essere pacificamente svolte da personale di supporto all’amministrazione della giustizia assunto mediante concorso, senza che risulti particolarmente ostico il loro inquadramento. La riforma prevede, poi, che nei primi due anni dal conferimento dell’incarico, i giudici onorari di pace debbano essere assegnati all’ufficio del processo, escludendo qualsiasi attività giurisdizionale. Già solo questa previsione sarebbe sufficiente per smentire la natura occasionale di un incarico che può essere svolto soltanto dopo che per ben due anni si è stati funzionalmente assegnati all’ufficio del processo. Trascorso il biennio, i giudici onorari destinati all’ufficio del processo possono svolgere attività giurisdizionale di competenza del tribunale ordinario, nei limiti individuati dall’art. 11. Quest’ultima previsione riconosce l’assegnazione della [continua ..]


3. Le ambiguità della sentenza Ux e l’alimentazione riflessa del contenzioso interno

La pronuncia della Corte di Giustizia UE ha certamente il merito di aver affermato la ricorrenza di un rapporto di lavoro pubblico di cui è titolare il giudice onorario. Si tratta, però, di una conclusione forse scontata alla luce del precedente dei Recorders britannici [54], della pronuncia del CEDS del 16 novembre 2016 sul reclamo n. 102/2013 [55], nonché, guardando oltre l’UE, della Raccomandazione n. 12/2010 [56] del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa e al costante orientamento della Corte EDU [57]. Il punto nodale, però, è che la Corte europea ha deferito al giudice del rinvio importanti accertamenti – vuoi sulla marginalità dell’attività vuoi sulla effettiva comparabilità del magistrato professionale vuoi ancora, forse più problematicamente, sulla sussistenza di ragioni oggettive che suffraghino un trattamento differenziato – i quali potrebbero essere condotti dal giudice nazionale nell’ottica di una pervicace difesa della misura interna, vanificando l’effetto utile del riconoscimento del rapporto di lavoro pubblico sancito dalla pronuncia europea. In altri termini, la Corte ha lasciato margini interpretativi molto ampi che finiscono favorire orientamenti piuttosto diversificati, non impedendo neppure nette chiusure [58]: questa pronuncia, quindi, sembra confermare la crescente “difficoltà per i giudici europei di sindacare le decisioni degli attori politici nazionali” [59]. Pare, dunque, evidente che la querelle sia ancora in atto e coinvolge, peraltro, un elevato numero di giudici come evidenziato nella relazione del Primo Presidente della Corte di Cassazione, pubblicata il 21 gennaio 2022 (i magistrati onorari in servizio sono 4470, di cui 1124 giudici di pace, 1969 giudici onorari di Tribunale e n. 1677 viceprocuratori onorari) [60]. La reazione della giurisprudenza di legittimità e di merito, come anticipato, può definirsi variegata [61]. Pur non essendo il focus del presente lavoro si ritiene di evidenziare almeno l’evidente contrasto registratosi in tema di retribuzione del magistrato onorario. Il tribunale di Napoli [62], difatti, dopo aver evidenziato le ben note differenze circa la qualità e quantità del servizio, ha ritenuto di dover verificare il rispetto del parametro di proporzionalità, seguendo il crisma [continua ..]


4. Il nuovo (e insufficiente) intervento della Corte di Giustizia del 7 aprile 2022

Dopo la sentenza X del 16 luglio 2020 pendevano presso la Corte di Giustizia europea altri due rinvii pregiudiziali sull’inquadramento della magistratura onoraria, rispetto ai quali solo il TAR dell’Emilia-Romagna [66] ha reputato di dover insistere nella propria domanda nell’ottica di ottenere dalla Corte europea indicazioni più nette, specie in ordine ad una disciplina che consente per il magistrato onorario “prorogato” di portare avanti l’incarico per quattro quadrienni (v. art. 29 d.lgs. n. 116/2017). Alla base della nuova pronuncia pregiudiziale, difatti, vi era il rifiuto di accertare la sussistenza di un rapporto di pubblico impiego, a tempo parziale o pieno, tra il giudice di pace (PG) e il Ministero della giustizia, il quale aveva svolto le funzioni di giudice di pace dal 3 luglio 2002 al 31 maggio 2016, cessando dal servizio a causa del compimento del sessantottesimo anno di età. Si tratta, dunque, di un incarico svolto ininterrottamente per quasi quattordici anni, stante l’assenza nella normativa interna di sanzioni dissuasive per il rinnovo indebito ed ingiustificato del mandato. Il giudice del rinvio ha, dunque, reputato di investire la Corte di Giustizia UE di un’analisi più approfondita delle funzioni svolte dal giudice di pace, ritenendo che ciò potesse favorire interpretazioni più uniformi da parte dei giudici nazionali. In altre parole, il rimettente chiede alla Corte di Giustizia UE di lasciare meno margine di apprezzamento ai giudici italiani, endemicamente poco propensi ad ammettere l’esistenza di un vulnus di tutela nei confronti dei magistrati onorari. Dopo aver dichiarato irricevibile la prima questione limitatamente alla parte in cui si richiamano gli artt. 20, 21 e 31 della Carta, nonché la direttiva 2000/78 e la seconda questione inerente alla violazione della normativa italiana dell’art. 47 [67], la Corte di Giustizia UE analizza la figura del giudice onorario. In particolare, nella sentenza sono evidenziate le differenze con il giudice professionale al fine di verificare se sussistano le ragioni oggettive che la clausola 4.1. richiede per ammettere un trattamento differenziato tra lavoratori a tempo determinato ed indeterminato. Ragioni oggettive smentite dallo stesse rimettente che, nella propria ordinanza, spiega come la differente modalità di assunzione non possa giustificare l’assenza di ogni [continua ..]


5. La rimessione alla Corte Costituzionale per una parola che difficilmente sarà decisiva

Le fragilità argomentative contenute nelle sentenze della Corte di Giustizia UE rendono poco appaganti le prospettive di tutela emerse per il giudice onorario: la prima perché lascia ampia discrezionalità al giudice del rinvio, prestando il fianco alle interpretazioni più disparate della giurisprudenza nostrana; la seconda non ha analizzato compiutamente il punto nevralgico dell’adeguatezza del regime sanzionatorio previsto nell’ordinamento italiano. L’insoddisfazione, peraltro, potrebbe non trovare pieno appagamento neppure a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, investita dalla questione qualche tempo prima della sentenza di aprile della Corte di Giustizia UE. Ciò in quanto, come già chiarito in passato dalla Consulta, la normativa europea lascia la discrezionalità agli stati membri sull’individuazione dello strumento di repressione dell’abusiva reiterazione del contratto a termine e, dunque, solo la corte europea può vagliare l’effettiva dissuasività della sanzione prevista dall’art. 36 del d.lgs. n. 165/2001 [74]. Nello specifico, con ordinanza n. 225/2021, il Tribunale ordinario di Brescia ha sollevato una questione di legittimità costituzionale inerente alla possibilità riconosciuta dall’art. 7 della legge n. 374/1991 e dell’art. 1 del d.lgs. n. 92/2016 per contrasto con l’art. 5 dell’accordo quadro allegato alla direttiva 1999/70/CE sul contratto di lavoro a tempo determinato. Entrambe le normative menzionate, difatti, consentono la protrazione dell’incarico in astratto per complessivi ventidue anni, attuando una reiterazione selvaggia del rinnovo dei contratti a termine. Su questo profilo, invero, la Corte di Giustizia si è già pronunciata, acclarandone la difformità con il diritto europeo, ma rimangono aperti due problemi. Il primo concerne l’impossibilità di applicare direttamente la previsione della clausola 5 dell’accordo quadro sul tempo determinato, giacché, come affermato dalla stessa Corte di Giustizia, non ha un contenuto incondizionato e sufficientemente preciso. Né pare, invero, che il problema possa essere risolto a mezzo di una interpretazione conforme, atteso che mancherebbe proprio il parametro normativo che cristallizzi una protezione minima invocabile concordemente al contenuto della clausola 5. In altri [continua ..]


6. La (nuova) procedura di infrazione, la (nuova) rimessione alla Corte di Giustizia e la legge di Stabilità 2022: tutto (per nulla) risolto

L’insoddisfazione per gli interventi giurisprudenziali e normativi anzidetti ha portato all’avviamento, da parte della Commissione europea, di una nuova procedura di infrazione [75]. Nel frattempo, la Corte di Giustizia UE è stata nuovamente investita della questione, per la comprensione della quale occorre brevemente riassumere gli sviluppi interni della controversia che ha portato alla già menzionata rimessione con ordinanza del 7 marzo 2022 del Giudice di pace di Rimini. Il TAR dell’Emilia Romagna – nelle more del giudizio pregiudiziale europeo, poi, risoltosi con la sentenza del 7 aprile 2022 – aveva accolto in via cautelare, con ordinanza collegiale del 9 febbraio 2022, n. 59, l’istanza del Giudice di pace di Rimini di riammissione in servizio dopo la cessazione avvenuta a causa del raggiungimento del sessantottesimo anno di età, come previsto dall’art. 29, comma 2, d.lgs. n. 116/2017 [76]. Provvedimento, peraltro, estremamente contestato dalla VIII Commissione del CSM a mezzo del parere reso il 16-17 febbraio 2022. Nonostante ciò, il Presidente del Tribunale di Rimini aveva disposto, con decreto datato 1° marzo 2022, la riammissione della ricorrente in servizio fino al compimento del settantesimo anno di età. Nel mentre, però, il Consiglio di Stato ha accolto l’appello cautelare presentato dal Ministero della giustizia che si opponeva alla prosecuzione dell’incarico fino al raggiungimento dei settant’anni di età, senza tener conto dei principi dettati nella sentenza Ux del 16 luglio 2020. Ne è conseguita la cessazione dal ruolo del giudice di pace per raggiunto limite d’età, giacché alla ricorrente non si applica la previsione contenuta nel nuovo art. 29 del d.lgs. n. 116/2017, come modificato dagli artt. 629-633 della legge n. 234/2021, con cui si è realizzata la “stabilizzazione” dei giudici onorari. Nello specifico, la legge n. 234/2021 ha realizzato una “stabilizzazione” mediante tre procedure valutative – da tenersi nel triennio 2022-2024 – da parte del Csm che coinvolgono, rispettivamente, i magistrati onorari con oltre 16 anni di servizio, quelli con anni di servizio compresi tra 16 e 12 e quelli con meno di 12 anni, secondo le modalità del d.m. 3 marzo 2022. Il problema, oggetto di censura da parte del Giudice di pace di Rimini [77], [continua ..]


NOTE