Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
G. Giappichelli Editore

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Prescrizione dei crediti retributivi: novità (di Anna Maria Battisti, Professoressa associata di Diritto del lavoro – Università degli Studi Roma “Tor Vergata”)


L’Autrice esamina il tema della prescrizione dei crediti retributivi segnalando le recenti novità introdotte dalle riforme normative e dalla giurisprudenza.

 

News about remuneration credits’ prescription

The Author examines the topic of remuneration credits’ prescription highlighting the recent regulatory reforms and judgements.

 

SOMMARIO:

1. Premessa - 2. La giurisprudenza creativa della Corte Costituzionale prima della riforma Fornero - 3. Prescrizione e stabilità del rapporto di lavoro nel nuovo art. 18 Stat. lav. - 4. La prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego - 5. Osservazioni conclusive - NOTE


1. Premessa

Le numerose pronunce intervenute, negli ultimi anni, in tema di prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore subordinato sono emblematiche dell’incertezza che ruota intorno alla questione del dies a quo di decorrenza dell’istituto [1]. L’assetto [2] regolatorio, venuto a comporsi sulla scorta dei pronunciamenti del giudice costituzionale, è stato infatti messo in discussione dapprima dalla legge n. 92/2012 (c.d. legge Fornero) che ha modificato la disciplina dei licenziamenti individuali sia negli aspetti sostanziali che procedurali e, successivamente, dal d.lgs. n. 23/2015 (nell’ambito della complessiva riforma del diritto del lavoro nota come Jobs Act). Come è noto, entrambe le riforme– pur profondamente diverse tra loro– hanno inciso sull’originaria portata del regime di stabilità reale contemplato dallo Statuto dei lavoratori, ridimensionandola e rendendo nei fatti eccezionale la garanzia di effettivo ripristino del rapporto in caso di licenziamento ingiustificato [3]. Il depotenziamento delle tutele ha conseguentemente influito sulla decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi, conducendo gli interpreti [4] ad interrogarsi nuovamente sulla tenuta dei principi elaborati dalla giurisprudenza. È dunque da quest’ultima che occorre ripartire, al fine di verificare quanto sia attuale la disciplina speciale, che ne è scaturita, della prescrizione nel rapporto di lavoro.


2. La giurisprudenza creativa della Corte Costituzionale prima della riforma Fornero

Giova infatti ricordare che la regola generale è quella dettata dall’art. 2935 c.c. secondo cui la prescrizione comincia a decorrere dal giorno stesso in cui il diritto può essere fatto valere, sicché i diritti del lavoratore che maturano durante lo svolgimento del rapporto possono estinguersi a causa dell’inerzia del titolare. Il principio, ora evocato, ha trovato un temperamento ad opera della giurisprudenza costituzionale, intervenuta a più riprese a partire dal 1966. In proposito, la famosa sentenza interpretativa n. 63 [5], prima dell’entrata in vigore della legge n. 604/1966 e dello Statuto dei lavoratori, aveva posto un importante principio di diritto vivente in forza del quale la decorrenza della prescrizione dei crediti retributivi veniva differita al momento della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, la Corte ha dichiarato l’illegittimità delle norme codicistiche sulla prescrizione breve (art. 2948, n. 4, c.c.) [6] e presuntiva (art. 2955, n. 2 e art. 2956, n. 1, c.c.) dei diritti del prestatore di lavoro subordinato «limitatamente alla parte in cui consentono che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorra durante il rapporto» [7] perché contrastano con l’art. 36 Cost., così scegliendo la strada della c.d. imprescrittibilità temporanea o prescrittibilità differita [8]. La ratio della decisione è tutta nella ritenuta equivalenza tra rinunzia e inerzia del lavoratore: il giudice delle leggi, avendo desunto dall’art. 36 Cost. un principio di irrinunziabilità della retribuzione, ha ritenuto che la prescrizione possa configurare, indirettamente, un atto dispositivo assimilabile alla rinuncia, in quanto il lavoratore può essere indotto a non esercitare il proprio diritto dal timore reverenziale nei confronti del datore di lavoro. Il timore determina, infatti, una situazione di soggezione psicologica del prestatore di lavoro, con conseguente inerzia necessitata nell’esercizio dei diritti e sostanziale abdicazione degli stessi per via dell’effetto prescrittivo. L’effetto estintivo così prodotto sarebbe sostanzialmente equivalente (pur permanendo la non assimilabilità tra i due fenomeni sul piano tecnico-giuridico) a quello determinato dall’atto dismissivo posto in essere con le rinunzie e le transazioni ex art. 2113 c.c. (per le quali, [continua ..]


3. Prescrizione e stabilità del rapporto di lavoro nel nuovo art. 18 Stat. lav.

Ed invero, il regime, da ultimo richiamato, è stato oggetto di attenzione, come già accennato, da parte delle ultime riforme, che hanno inteso ridurre il perimetro di operatività della tutela reintegratoria a favore di quella indennitaria, dapprima dalla riforma Fornero (con la legge n. 92/2012) e, successivamente, dal Jobs Act (con il d.lgs. n. 23/2015) [31]. La prima ha infatti sostituito alla monolitica tutela reale [32] un ventaglio di sanzioni, graduate e differenziate in ragione dell’intensità del disvalore della condotta datoriale, al fine di emarginare l’applicazione della reintegrazione alle sole ipotesi di nullità del licenziamento o di “torto marcio” del datore [33], con la conseguenza che il prestatore di lavoro si trova in una condizione soggettiva di incertezza circa la tutela (reintegratoria o indennitaria) applicabile nell’ipotesi di licenziamento illegittimo, accertabile solo ex post nell’ipotesi di contestazione giudiziale del recesso datoriale. Il secondo ha confermato il regime a tutele differenziate contemplato dalla legge n. 92/2012, e completato per così dire la riforma nel senso che, differenziando tra “vecchi” rapporti di lavoro a tempo indeterminato (quelli in essere fino al 6 marzo 2015) e “nuovi” rapporti (quelli costituiti a partire dal 7 marzo 2015), ha accentuato il ridimensionamento delle tutele sempre al dichiarato fine di far ripartire l’occupa­zione con contratti a tempo indeterminato [34]. Di conseguenza, il progressivo ridimensionamento della tutela reintegratoria in caso di declaratoria giudiziale della illegittimità del licenziamento, a favore di una netta espansione del rimedio economico-indennitario, ha messo in discussione la tradizionale impostazione dicotomica, elaborata dalla giurisprudenza della Corte co­stituzionale e, a seguire, dalla Cassazione, tra prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore il cui rapporto di lavoro è assistito dalla mera tutela obbligatoria in caso di illegittimità del licenziamento (di cui all’art. 8 della legge n. 604/1966) e prescrizione dei crediti retributivi del lavoratore il cui rapporto di lavoro è assistito dalla tutela reale (di cui all’art. 18 Stat. lav.) in caso di illegittimità del licenziamento [35]. È stato attentamente rilevato che la riforma del regime sanzionatorio [continua ..]


4. La prescrizione dei crediti retributivi nel pubblico impiego

E, del resto, la specialità del rapporto del pubblico impiego era stata già rilevata nella sentenza n. 63/1966, che aveva introdotto un regime di prescrizione dei crediti del lavoratore differenziato a seconda della “resistenza” di cui è dotato il rapporto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo. Il giudice costituzionale riscontrava infatti l’assenza della situazione psicologica di metus del lavoratore nel rapporto di impiego pubblico, dotato di una resistenza tale da escludere il timore del recesso inteso come condizione in grado di spingere il lavoratore «sulla via della rinuncia a una parte dei propri diritti». Inoltre, la sentenza 20 novembre 1969, n. 143, riprendendo testualmente l’inciso contenuto nella motivazione della n. 63/1966, aveva riaffermato la particolare forza di resistenza, di cui è naturalmente dotato il rapporto di impiego pubblico, escludendo il collegamento tra il timore del licenziamento e l’effetto abdicativo implicito nel decorso della prescrizione [54]. È importante notare che la sentenza n. 143/1969 – oltre a negare che nella diversità del dies a quo della prescrizione nei rapporti di pubblico impiego da una parte e, dall’altra, nei rapporti privati di lavoro subordinato (dunque tra lavoratori ugualmente dipendenti), possa essere ravvisata una violazione dell’art. 3 Cost., perciò una lesione del principio di uguaglianza –ha avuto cura di definire i connotati caratteristici della c.d. forza di resistenza inerente ai rapporti di pubblico impiego. Questa resistenza «è data da una disciplina che normalmente assicura la stabilità del rapporto o delle garanzie di rimedi giurisdizionali contro l’illegittima risoluzione di esso, le quali escludono che il timore del licenziamento possa indurre l’impie­gato a rinunciare». A ciò si aggiunga il fatto che la stessa sentenza ha ritenuto tale caratteristica presente anche nei rapporti di pubblico impiego a carattere temporaneo (e dunque per definizione non stabili): anche qui, a detta della Corte, sono previsti rimedi giurisdizionali contro l’arbitraria risoluzione anticipata, mentre la non rinnovazione del rapporto si configura quale evento avente carattere di normalità [55]. In buona sostanza, secondo la Corte, è la natura pubblica del datore di lavoro a fare la differenza, ciò che [continua ..]


5. Osservazioni conclusive

Le considerazioni che precedono evidenziano una endemica instabilità in cui si trova l’istituto della prescrizione essendo stato ripensato, di volta in volta, alla luce delle modifiche che il legislatore ha apportato alla disciplina delle conseguenze del­l’illegittimità del recesso datoriale. D’altro canto, rimettere al giudice l’accertamento, caso per caso, delle regole del rapporto e perciò dell’operatività in concreto della causa impeditiva della decorrenza della prescrizione è qualcosa di anomalo alla funzione propria di un istituto che, al fine di impedire l’insorgenza delle liti, utilizza il decorso del tempo per adeguare la situazione di diritto a quella di fatto e, in questo modo, garantire la certezza dei rapporti intersoggettivi [60]. Non si può negare che la certezza del diritto e dei rapporti costituisca la ragion d’essere dell’istituto della prescrizione [61], essendo un principio fondamentale del­l’ordinamento giuridico e, pertanto, va con ogni mezzo perseguita. Da qui le sollecitazioni dottrinali ad un intervento del legislatore per una nuova normativa organica in tema di prescrizione dei crediti di lavoro, intervento, che faccia in ogni caso decorrere la prescrizione dei crediti retributivi solo a partire dalla cessazione del rapporto di lavoro, sia pur con la fissazione di un termine di durata più breve [62] e che dovrebbe occuparsi pure dell’eventuale estensione della disciplina di favore all’area del lavoro “parasubordinato” [63]. L’impressione è il legislatore, nonostante le riforme in materia di tutela in caso di licenziamento illegittimo, abbia completamente ignorato il problema della decorrenza della prescrizione per i crediti di lavoro [64]. In altri termini, «è forse lecito concludere che il legislatore storico, sia quello della cd. riforma Fornero, che quello del c.d. Jobs act, possono anche avere deciso di non occuparsi della prescrizione dei diritti di credito dei lavoratori. Lo stesso, però, possono star certi che la prescrizione si sta, intanto, occupando del nostro diritto del lavoro» [65]. Del resto, la necessità di conferire certezza al quadro normativo di riferimento [66] è importante in quanto non si può ancora sostenere che ci sia stato quello sviluppo economico del Paese, di certo [continua ..]


NOTE