Massimario di Giurisprudenza del LavoroISSN 0025-4959
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Procedure e limiti per il trasferimento del lavoratore (di Alfonso Tagliamonte, Dottore di ricerca in Diritto del lavoro e Docente a contratto – Università degli Studi del Molise)


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Corte di Cassazione, ordinanza 6 luglio 2021, n. 19143 – Pres. Paolo Negri Della Torre, Red. Elena Boghetich

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Qualora il datore di lavoro possa far fronte alle ragioni poste alla base del trasferimento avvalendosi di differenti soluzioni organizzative, per lui paritarie, è tenuto a preferire quella meno gravosa per il lavoratore, soprattutto nel caso in cui questi deduca e dimostri la sussistenza di serie ragioni familiari ostative al trasferimento.

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SOMMARIO:

1. Nozione di trasferimento e concetto di unità produttiva - 2. L’ambito di applicazione della norma ed i requisiti del provvedimento - 3. I limiti legali al potere di trasferimento - 4. Trasferimento di lavoratori con particolari tutele - 5. I rimedi contro il trasferimento illegittimo - 6. Considerazioni conclusive - NOTE


1. Nozione di trasferimento e concetto di unità produttiva

L’ordinanza che si annota offre lo spunto per analizzare le peculiarità del trasferimento del lavoratore, con specifico riferimento ai limiti legali dell’istituto previsti dal codice civile e alle tutele previste nei confronti dei prestatori di lavoro. In particolare, la decisione in commento affronta il tema della congruità del­l’onere a carico del datore di lavoro di fornire al dipendente interessato tutte le informazioni necessarie per verificare, da un lato, la sussistenza delle ragioni giustificative del trasferimento e, dall’altro, la correttezza dell’individuazione del lavoratore da trasferire. Nella specie, la Cassazione ha verificato che la Corte territoriale ha riscontrato la sussistenza del trasferimento del lavoratore nonché della “comunicazione di tale circostanza”, «ma ha ritenuto non sufficientemente “esaustivi” tali elementi, in quanto tali dati non erano “sufficienti a garantire al lavoratore la piena, chiara, trasparente conoscenza, della situazione sottostante fondante il trasferimento stesso e dei criteri posti alla base dell’individuazione della sua persona piuttosto che di altri lavoratori … criteri di scelta mutuati dalla legge n. 223/1991 e recepiti dall’art. 57 CCNL-FRT”. Ha aggiunto che non risultava giustificata nemmeno la “scelta di trasferire prima alcuni lavoratori, nel 2014, e poi altri, nel 2015, senza operare una preventiva graduatoria del punteggio complessivo, al fine di trasferire prima chi avesse minor punteggio”». Il giudice di legittimità sulla base di tali posizioni, con l’ordinanza del 6 luglio 2021, n. 19143, ha ritenuto opportuna la cassazione ed il rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano, in quanto «la sentenza impugnata non si è conformata ai principi consolidati in materia di trasferimento del lavoratore, e innanzi enunciati, in base ai quali il datore di lavoro non è tenuto né ad osservare alcun obbligo di forma per la comunicazione del provvedimento né a fornire al lavoratore l’indicazione dei motivi, avendo il datore di lavoro l’Onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che hanno determinato il trasferimento nonché il rispetto, soprattutto nell’ipotesi di trasferimento che abbia riguardato i un numero ampio di dipendenti, dei principi di buona fede e correttezza. La [continua ..]


2. L’ambito di applicazione della norma ed i requisiti del provvedimento

Le limitazioni dello ius variandi introdotte dall’art. 2103 c.c., nel testo modificato dall’art. 13 Stat. lav. e, da ultimo, dall’art. 3 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81, contenente “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni”, a norma dell’art. 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (c.d. Jobs Act), sono dirette ad incidere su quei provvedimenti unilaterali del datore di lavoro o su quelle clausole contrattuali che prevedono il mutamento di mansioni o il trasferimento non sorretti da ragioni tecniche, organizzative e produttive e mirano ad impedire che il cambiamento di mansioni od il trasferimento siano disposti contro la volontà del lavoratore ed in suo danno. Dette limitazioni, pertanto, non operano né nel caso in cui il mutamento di mansioni od il trasferimento siano stati disposti a richiesta del lavoratore, ossia in base ad un’esclusiva scelta dello stesso, pervenuto a tale unilaterale decisione senza alcuna sollecitazione, neppure indiretta, del datore di lavoro che l’abbia invece subìta [10]; né nell’ipotesi in cui il trasferimento del lavoratore costituisca una misura adottata nel suo interesse al fine di evitargli la perdita del posto nell’impossibilità di una prosecuzione dell’attività lavorativa nella sede d’origine [11]. Per quanto concerne i requisiti del trasferimento, occorre sottolineare che, secondo una reiterata giurisprudenza, sono assoggettate al principio generale della libertà della forma sia la comunicazione del provvedimento – cui non è applicabile la disposizione di cui al comma 1 dell’art. 2, legge 15 luglio 1966, n. 604 – sia la richiesta dei motivi e la relativa risposta, che non postulano, per legge, alcun requisito formale [12]. Tale orientamento è condiviso dalla dottrina maggioritaria [13] che argomenta affermando che, in assenza di un’espressa deroga al principio generale di cui all’art. 1325 c.c., l’interprete non può imporre la forma scritta. In coerenza con tale interpretazione è frequente che sia la contrattazione collettiva a prevedere il rispetto del requisito formale [14]. A ciò si aggiunga che, per quanto concerne l’efficacia del provvedimento, non è necessario che vengano contestualmente enunciate le ragioni del [continua ..]


3. I limiti legali al potere di trasferimento

Il limite legale posto dall’art. 2103 c.c. all’esercizio del potere di trasferimento è rappresentato dalla sussistenza di ragioni tecniche, organizzative e produttive che siano tali da giustificare l’atto in parola. Il controllo del giudice sulla legittimità del trasferimento è, quindi, limitato all’accertamento della sussistenza delle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive (previste dall’art. 2103 c.c.), mentre è insindacabile la scelta del datore di lavoro tra le diverse soluzioni organizzative utilizzabili [19]. La disposizione, inoltre, pur ponendo a favore del lavoratore la garanzia del rispetto delle ragioni alla base del suo spostamento potenzialmente stabile tra due unità produttive, evidenzia la prevalenza dell’interesse imprenditoriale alla mobilità della forza lavoro. Si salvaguarda, così, la discrezionalità e la insindacabilità di alcune scelte datoriali, imponendo, comunque, che le decisioni adottate non risultino lesive della libertà e dignità del lavoratore e non siano determinate da ragioni pretestuose o arbitrarie. In linea con il principio della intangibilità della libera iniziativa economica dell’imprenditore, garantito dall’art. 41 della Cost., l’interpretazione prevalente della dottrina e della giurisprudenza è nel senso che il controllo del giudice in merito alla sussistenza della legittimità del trasferimento del lavoratore è limitato all’acc­ertamento della sussistenza delle comprovate ragioni giustificative, essendo esclusa la possibilità di sindacare la scelta datoriale, e che è necessario il riscontro dell’e­sistenza del nesso di causalità tra il provvedimento di trasferimento e le ragioni organizzative. Quanto alla prova della sussistenza delle suddette ragioni richieste al datore di lavoro, considerato il particolare termine «comprovate» utilizzato dal legislatore, dottrina e giurisprudenza prevalenti ritengono che il datore di lavoro non sia obbligato a provare contestualmente al trasferimento i motivi che lo giustificano [20]. In particolare, si afferma che la giustificazione del trasferimento attiene a ragioni oggettive, inerenti alla più conveniente organizzazione tecnico-produttiva dell’a­zienda, realizzata mediante la migliore dislocazione del [continua ..]


4. Trasferimento di lavoratori con particolari tutele

Accanto ai limiti legali posti dalla disciplina sopra richiamata, il legislatore ha ritenuto di intervenire per rafforzare la tutela di alcune categorie di lavoratori. In particolare, dal combinato disposto degli artt. 2103 c.c. e 15, comma 1, Stat. lav., si evince la nullità del trasferimento del lavoratore attuato a causa della sua affiliazione o attività sindacale, ovvero della sua partecipazione ad uno sciopero (c.d. “trasferimento discriminatorio” o “di rappresaglia”) [29]. È altresì nullo il trasferimento determinato da fini di discriminazione politica, religiosa, razziale, di lingua o di sesso, handicap, di età o basata sull’orientamento sessuale o sulle convinzioni personali (art. 15, comma 2, Stat. lav., come modificato dall’art. 4, d.lgs. 9 luglio 2003, n. 216) [30]. Nell’ambito di applicazione dell’art. 15, Stat. lav. (più ampio di quello dell’art. 2103 c.c.) rientra: a) il trasferimento discriminatorio da un’unità produttiva ad un’altra; b) il trasferimento discriminatorio attuato all’interno di una medesima unità produttiva (ad es.: spostamento del lavoratore da un reparto ad un altro). Un’ulteriore ipotesi di limite legale è quella relativa al trasferimento disciplinare ex art. 7 dello Statuto dei lavoratori. Infatti, un provvedimento di trasferimento ad altra sede o ad altro reparto in tanto può essere qualificato come disciplinare (anche se non previsto come tale dal contratto di lavoro) in quanto esso sia ricollegabile ad una mancanza del lavoratore [31]. Ove invece il trasferimento sia dovuto all’esercizio del potere organizzatorio e gestionale del datore di lavoro, come nel caso di trasferimento nell’ambito della stessa unità produttiva, il provvedimento, in via generale, non ha natura di sanzione disciplinare, a meno che non sia espressamente prevista in quanto tale dal contratto collettivo applicabile [32]. Secondo l’orientamento della giurisprudenza [33], qualora la condotta del dipendente integri contemporaneamente gli estremi di un fatto disciplinarmente rilevante ed altresì una situazione d’incompatibilità nell’ambiente di lavoro (valutabile come una delle ragioni tecniche, organizzative e produttive che consentono il trasferimento ex art. 2103 c.c.), il datore di lavoro può, in via [continua ..]


5. I rimedi contro il trasferimento illegittimo

In caso di ritenuta illegittimità del trasferimento (per assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative o produttive), il lavoratore può accettare comunque il trasferimento (dando esecuzione al provvedimento) e successivamente impugnarlo davanti al giudice, oppure rifiutare il trasferimento (agendo in via di autotutela) [49]. In tal caso, ove, sul presupposto della inottemperanza al trasferimento, intervenga il licenziamento del lavoratore, spetta al datore di lavoro dimostrarne la legittimità, in quanto giustificato dalle prescritte ragioni tecniche, organizzative e produttive [50]. Il controllo giudiziale del trasferimento di un lavoratore va compiuto con riferimento alla sussistenza del nesso di causalità tra il provvedimento e le ragioni tecniche, organizzative e produttive poste a fondamento dello stesso, come richiesto dal­l’art. 2103 c.c., ma non si estende fino alla valutazione del merito della scelta del datore di lavoro per verificare se essa sia idonea, o meno, a soddisfare tali esigenze o se sia inevitabile [51]. Il lavoratore (a fronte di un trasferimento disposto in carenza dei requisiti obiettivi richiesti dall’art. 2103 c.c. e delle altre condizioni eventualmente poste dalla contrattazione collettiva) può, sul presupposto di un pregiudizio grave ed irreparabile, invocare anche la tutela d’urgenza ex art. 700 c.p.c., chiedendo al giudice la sospensione del trasferimento e la reintegra nel luogo di lavoro. Qualora il trasferimento del lavoratore sia stato dichiarato illegittimo (per mancanza delle ragioni ex art. 2103 c.c.), il lavoratore ha diritto al risarcimento del danno e ad essere riammesso presso la sua precedente sede di lavoro [52].


6. Considerazioni conclusive

Il nuovo art. 2103 c.c., così come modificato dall’art. 3 del d.lgs. n. 81/2015, disciplina, come nel passato, due vicende modificative del rapporto di lavoro: l’og­getto ed il luogo del contratto di lavoro. A differenza di quanto avvenuto per la materia delle mansioni, l’intervento del legislatore ha lasciato inalterato, come poc’anzi dedotto, il quadro legale della disciplina del trasferimento del lavoratore, rimanendo immutati sia la natura del provvedimento, che i presupposti e le sanzioni. In un mercato del lavoro globale, dove la flessibilità gestionale/organizzativa viene vista quale elemento che amplia le capacità competitive dell’impresa, il legislatore avrebbe dovuto cogliere l’opportunità di intervenire anche nel riordino della disciplina del trasferimento del lavoratore. Tale assunto trova la sua conferma nel­l’ordinanza in commento che, a margine delle particolarità della vicenda di merito, evidenzia ancora la presenza di dubbi applicativi della disciplina del trasferimento del lavoratore, che dal 1970 ancora viene dibattuta nelle aule di tribunale con altalenanti vicende [53]. Una rivisitazione organica della disciplina sarebbe stata, in effetti, opportuna anche per dirimere la questione concernente i requisiti procedurali, con particolare riguardo al profilo relativo al momento in cui sorge l’obbligo per il datore di comunicare i motivi che hanno determinato lo spostamento del dipendente da un’unità produttiva ad un’altra, nonché la questione relativa al significato da attribuire all’ag­gettivo “comprovate”, che caratterizza le ragioni del trasferimento, ed alle sue potenziali implicazioni riguardo agli aspetti centrali del “quando” della comunicazione del provvedimento di trasferimento [54].


NOTE